Il caso Patrick Zaki, tutto quello che sappiamo e tutto quello che sentiamo dire
Quello che sentiamo dire e quello che sappiamo sono due insiemi diversi. Il caso Patrick Zaki lo dimostra: una vicenda giuridica ed umana spesso tende a diventare oggetto di narrazioni complottistiche e confuse.
Specialmente grave quando si parla di un ragazzo. Di una vita umana. Facciamo quindi ordine, con l’aiuto di alcune fonti responsabili. Sia, ad esempio, benedetto il Post, tra i pochi hub di informazione a non cedere alle sirene del paywall e del clickbait.
Chi è Patrick Zaki?
Studente, giovane, ventotto anni. Laureando in Studi di Genere a Bologna.
Ci riporta il Resto del Carlino
Attivista per i diritti umani e collaboratore dell’associazione Eipr (Egyptian initiative for personal rights), Patrick è stato anche ex manager della campagna presidenziale di Khaled Ali, oppositore dell’attuale presidente al-Sisi.
Il che, nonostante quanto ne dica il mondo della “controinformazione” è precisamente e assolutamente normale.
Se bastasse essere un attivista per i diritti umani e collaborare alla campagna elettorale dell’opposizione per essere definito un nemico o un “attivista delle ONG” con tono derogatorio, sostanzialmente ad ogni caduta di Governo in Italia metà della popolazione dovrebbe dare il cambio all’altra nelle Patrie Galere.
Giovanissimo, si è trovato ad esercitare in un contesto dove l’indipendenza stessa delle professioni legali viene spesso messa a rischio, in uno scenario descritto come basato “su intercettazioni telefoniche arbitrarie e campagne d’odio verso gli stessi”.
Con l’ulteriore complicazione di una partecipazione politica all’opposizione, ecco che ci si avvicina a grandi passi al disastro.
Cosa è accaduto a Patrick Zaki?
Succede che ora possiamo passare la parola a Il Post
Zaki ha 28 anni e prima del suo arresto stava studiando per il suo corso di laurea magistrale (indirizzo in studi di genere) all’Università di Bologna. Il giorno in cui è stato arrestato si trovava in Egitto per una breve vacanza nella sua città natale, Mansoura. Inizialmente non si era capito il motivo dell’arresto e solo in un secondo momento le autorità egiziane lo hanno informato di essere accusato di propaganda sovversiva. Subito dopo l’arresto è stato portato a Mansoura e hanno cominciato a circolare racconti del suo interrogatorio, durante il quale sarebbe stato minacciato, picchiato e sottoposto a scosse elettriche.
Le accuse nei confronti di Zaki sono di aver pubblicato notizie false con l’intento di disturbare la pace sociale, di aver incoraggiato le proteste contro l’autorità pubblica e il rovesciamento dello stato egiziano. Sono accuse che di solito il regime egiziano – noto per essere repressivo e violento – rivolge ai dissidenti o a chi è critico nei confronti del governo. Secondo Amnesty Zaki rischia fino a 25 anni di carcere, a causa di alcuni post su Facebook che gli avvocati di Zaki sostengono essere falsi.
Tutti, comunque hanno diritto ad un giusto processo.
È giusto che se l’accusa parla di “pubblicazione di notizie false”, e Amnesty International si unisce alla conferma della falsità di tale addebito, alla fine vi sia un giudizio che faccia luce, n0?
Il clima di sospetto di cui parliamo però rende impossibile anche questo.
Sappiamo infatti che le prime udienze del processo contro Zaki si sono tenute solamente a luglio del 2020, 5 mesi dopo l’arresto. Lo scorso 7 dicembre il giudice della terza sezione del tribunale antiterrorismo del Cairo ha stabilito un primo prolungamento del carcere preventivo, rinnovato nuovamente il 2 febbraio 2021.
Ora, tutti sappiamo che in ogni ordinamento la carcerazione preventiva è un rito cautelare: dovrebbe essere irrogata per il minimo tempo possibile, e per “arrivare al processo” senza che l’imputato possa sottrarvisi o inquinare le prove.
Quello che la carcerazione preventiva non può essere è una anticipazione di fatto di una sentenza inesistente, in un contraddittorio mai iniziato, con un’opinione pubblica che sembra confondere attivismo e sana attività politica col crimine.
Amnesty International descrive una situazione molto, molto deteriore
I suoi avvocati ci hanno riferito che gli agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale (NSA) hanno tenuto Patrick bendato e ammanettato durante il suo interrogatorio all’aeroporto durato 17 ore. Patrick è stato picchiato sulla pancia e sulla schiena e torturato con scosse elettriche.
Gli agenti della NSA lo hanno interrogato sul suo lavoro in materia di diritti umani durante il suo soggiorno in Egitto e sullo scopo della sua residenza in Italia.
In un sistema legislativo dove l’accusa di terrorismo consente di trasformare la citata carcerazione preventiva in un sistema all’infinito dove ai primi 150 giorni di carcerazione possono conseguire proroghe concatenate che si sono spinte, in un inquietante precedente, fino a 1263 giorni.
La comunità Internazionale si è mobilitata sul caso: ma al momento Patrick Zaki è ancora lì.
E sicuramente non ha bisogno di complottismo, ma di informazione.
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