Il caso del pastore protestante contro il ddl Zan è altamente discusso dagli ambienti Pro Vita e da tutti i detrattori del disegno di legge. L. C. e sua moglie E.S. avevano postato sui social una foto che li ritraeva insieme alla loro bambina. Lui sulla mano portava la scritta “papà”, lei “mamma” e sul pannolino della piccola si leggeva la scritta “No ddl Zan”. Nei giorni scorsi la coppia ha fatto notare che il loro post era stato rimosso dai vertici di Facebook con la motivazione dell’incitamento all’odio. Approfondiamo insieme.
Il caso è stato ignorato dalle testate nazionali, ma lo troviamo su vari siti tra cui il portale ufficiale di Pro Vita e Famiglia che, in questo articolo del 18 maggio 2021, ha intervistato l’uomo.
Qualche giorno fa ho fatto un post, insieme a mia moglie e mia figlia, una foto, dove sulle mani avevamo la scritta “papà” e “mamma”, mentre la mia bambina aveva lo slogan “no ddl Zan” scritto sul pannolino. Il senso era che ognuno faccia ciò che vuole, ma non tocchi quello che è un vero e proprio patrimonio, costituito dalle figure uniche di papà e mamma, evitando il concetto generalizzato di “genitore1” e “genitore2”. Un messaggio senza nessuna forma di violenza, senza nessuna discriminazione. Successivamente l’ho pubblicato anche in una mia pagina, dove abbiamo 7000 followers. La verità è che nel profilo personale ho 5000 amicizie, sono tutti credenti e la pensano come noi, nella pagina, invece, c’è di tutto di più e il nostro post è andato a finire in profili di alcune associazioni LGBT e ovviamente l’hanno condiviso in una delle loro pagine, generando una condivisione di massa dove il post è diventato virale. Le condivisioni erano accompagnate da commenti a dir poco offensivi.
[…]
Non parliamo poi dei commenti privati, dove sono passati alle minacce. Poi è successo che qualcuno è entrato nel mio profilo e ha fatto in modo che venisse cancellato il post. E facebook mi ha mandato un messaggio dicendo che avrebbero cancellato il post in quanto considerato offensivo verso le minoranze, io ho risposto con una contestazione e Facebook mi ha chiesto scusa dicendo che avevo ragione e sarebbe stato ripubblicato e così è accaduto. Questo nella pagina privata. Invece, sul mio profilo pubblico è stato tolto.
Il pastore protestante, dunque, aveva condiviso l’immagine sia sul suo profilo personale che su una pagina che gestisce insieme alla moglie. In entrambi i casi si erano moltiplicate le segnalazioni per “incitamento all’odio” e ciò aveva fatto in modo che il post venisse rimosso dagli amministratori di Facebook. A questo punto l’uomo aveva risposto con una contestazione e il post, anche se solamente sul profilo personale, oggi è di nuovo online con data 2 maggio 2021 (qui la versione archiviata).
Il caso è stato ripreso, dicevamo, da alcuni siti. La comunità LGBT lo avrebbe attaccato, diffamato e minacciato con interventi incrociati e di massa, fino ad ottenere la rimozione del post di cui L.C. ha riportato lo screenshot:
L.C. ha rilasciato dichiarazioni anche a La Pressa:
In questi ultimi cinquant’anni, le leggi che hanno toccato le famiglie come il divorzio, l’aborto le unioni civili, la bioetica, hanno destrutturato la società. In tutto questo credo che la Chiesa, non nel senso delle denominazioni, ma nella sua totalità si debba esporre per difendere i valori che la società attuale vuole annichilire e sottomettere.
Il caso del pastore protestante contro il ddl Zan, come dicevamo, è oggetto di dibattito specialmente tra gli utenti che credono nella famiglia tradizionale e tra coloro che si oppongono al disegno di legge. Il pensiero più condiviso è che quanto accaduto sia una diretta conseguenza del ddl Zan, anche se non è ancora stato convertito in legge.
Chi sostiene questo non conosce le dinamiche delle segnalazioni di massa su Facebook. In questo articolo leggiamo la spiegazione più semplice da comprendere:
Facebook è governato più che da uomini da un grande algoritmo che cerca di mantenere l’ordine all’interno dell’immensa giungla virtuale seguendo le linee-guida dettate e impostate dai tecnici. Un sistema che più volte ha mostrato forti limiti perché l’algoritmo, essendo una macchina, non sempre riesce a distinguere le vere pagine offensive o violente da altre. Inoltre tende a dare molta importanza alle segnalazioni sono se arrivano da un alto numero di persone.
Le linee guida di Facebook non sono chiare in tal senso, ma ricordiamo che nel 2018 fu chiuso l’account di Selvaggia Lucarelli per un attacco incrociato (si presume) dei no vax. Sull’argomento era intervenuta anche Laura Bononcini, capo delle relazioni istituzionali di Facebook Italia, che su Linkiesta aveva spiegato che le segnalazioni vengono gestite sì da un team di professionisti al lavoro 24 su 24, diviso in 4 squadre sparse su 4 sedi dagli Stati Uniti all’India (in Italia non c’è una sede), ma che l’errore umano dell’operatore è sempre una possibilità: “Siamo umani, non algoritmi”.
A ritenere offensivo il post di L.C., per chiarire una volta per tutte, sono stati i segnalatori e non i moderatori, e la cancellazione del post è avvenuta a seguito della segnalazione di massa e non di una violazione, dettaglio sul quale c’è stato un errore. Proprio per questo il post del pastore protestante contro il ddl Zan è di nuovo online, dal momento che chi ha verificato la contestazione si è accorto che in realtà l’immagine non risultava offensiva. Il dibattito, ovviamente, è ben più polarizzato.
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