Ci è stata segnalata la seguente notizia, pubblicata in data odierna:
Il governo è al lavoro per far pagare il canone a Rai a tutti, anche a chi non possiede una Tv. Secondo questa riforma chiunque dovrebbe pagarlo perché potrebbe accedere ai servizi della Tv di stato tramite tablet o smartphone. Si tratterebbe di una somma minore dei soliti 113,50 euro annuali: la cifra si aggirerebbe tra i 35 e gli 80 euro e sarebbe inclusa direttamente nella bolletta dell’elettricità.
La riforma ha, però, ancora un ostacolo da affrontare: l’Authority per l’Energia. La coesione tra il Pagamento del canone e quello della bolletta elettrica ha smosso alcuni dubbi da parte dell’Authority per le potenziali ripercussioni sulla privacy del cittadino. Al momento la situazione è incerta ma, dal momento che Il Presidente del ConsiglioMatteo Renzi ha dato il via ufficiale alle operazioni di revisione del canone Rai, è molto probabile che la riforma vada in porto entro la fine dell’anno.
In realtà la seconda parte della notizia è più importante della prima, il che ci porta a ritenere questa breve nota un caso di allarmismo.
Abbiamo già approfondito più volte, ultima negli articoli ALLARMISMO INUTILE Canone RAI in bolletta Ancora problemi e ALLARMISMO CANONE RAI lo pagherà anche chi non ha la TV, il fatto che la seconda parte del testo, ovvero l’inclusione del canone nella bolletta dell’elettricità è una proposta ormai vecchia di anni, che rimbalza di governo in governo come tentativo di emarginare un’evasione che arriva a picchi territoriali del 90%, con una media del 26% per tutte le famiglie Italiane e del 70% degli esercizi commerciali.
Tocca adesso approfondire il tema dei dispositivi connessi, anche questo letteralmente vecchio quanto Internet.
Già nel 2012 la RAI si pronunciò sull’argomento, dichiarando che:
La Rai, a seguito di un confronto avvenuto questa mattina con il Ministero dello Sviluppo Economico, precisa che non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer collegato alla rete, i tablet e gli smartphone.
La lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti Rai si riferisce esclusivamente al canone speciale dovuto da imprese, società ed enti nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori (digital signage) fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti abbiamo già provveduto al pagamento per il possesso di uno o più’ televisori. Cio’ quindi limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (BBC…) che nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla Rete, i tablet e gli smartphone.
Si ribadisce pertanto che in Italia il canone ordinario deve essere pagato solo per il possesso di un televisore.
Va infatti rimarcato che la circolare nomina il diverso istituto del Digital Signage, ovvero la possibilità di usare alcuni computer e monitor in un luogo pubblico per distribuire contenuti multimediali tra cui anche canali televisivi: per i quali era, evidentemente, necessario detenere un apparecchio.
Nonostante, ricordiamo, sia possibile astrattamente, con una spesa modica munire anche un PC di appositi decoder per il Digitale Terrestre, al momento il mero possesso di un PC o uno Smartphone non comporta l’applicazione di alcun tributo.
Si vocifera che in sede governativa si stia, appunto, discutendo invece di riallinearsi alla situazione europea, dove non solo l’apparato adatto alla trasmissione televisiva, ma anche l’apparato che possa essere, con minimo sforzo, adattabile, venga sottoposto a tassazione.
Tale voce viene acuita dal fatto che ormai ubiquitari sono diventati strumenti per cui, anche senza sostenere il minimo esborso necessario ad un decoder, PC e Smartphone possano ormai godere, per scelta della RAI, della possibilità di accedere all’intero bouquet RAI, TV e Radio compresa, in streaming mediante portale web o mediante apposite applicazioni reperibili sui maggiori “Store” online per i dispositivi mobili (Android, iOS).
Ma in realtà tale manovra, sia pur ad apparenza coerente con l’evoluzione tecnologica in atto non risulta coerente con l’attuale impianto normativo Italiano.
Giusto recentemente è intervenuta a fare chiarezza l’Avvocato Milena Maggi, interpellata dall’autorevole rivista Sole 24 Ore, esprimendo tutte le doverose perplessità del caso.
Riporteremo i suoi dubbi, che riteniamo tanto coerenti quanto ostativi all’applicazione, almeno in tempi rapidi, della misura che ha destato tanto allarme:
Pare infatti che verrà previsto che anche tutti i possessori di pc, tablet e smartphone tecnicamente in grado di vedere i canali RAI attraverso il web saranno tenuti al pagamento del canone, solo per il fatto quindi – ripeto – di possedere un mezzo per accedervi e quindi di avere una connessione ad Internet. C’è da domandarsi fra l’altro se ci sarà o meno un cumulo, nel senso che i possessori di televisori che sono anche possessori di pc e magari anche di uno smartphone vedranno moltiplicarsi la tassa e se all’interno della stessa famiglia o della stessa impresa il fatto di possedere più mezzi di accesso a tv ed Internet genererà anche in questi casi una moltiplicazione o comunque un incremento proporzionale di tasse.
La misura in questione, penalizzando la rete, mi sembra che si presti anzitutto a profili di contrarietà alla normativa comunitaria.
Vorrei ricordare che il diritto all’accesso via web è al centro dei lavori dell’Agenda Digitale della Commissione UE e senz’altro anche dell’Italia (come dichiarato dal premier Renzi) sia come ampliamento delle reti di accesso wi-fi per i cittadini, sia come necessità di garantire l’accesso alla rete ad ogni cittadino a prezzo abbordabile.
La direttiva 2002/22/CE (cosiddetto “pacchetto telecom”), già in vigore da anni, prescrive che ciascuno Stato membro sia tenuto a garantire ai cittadini ed utenti l’accesso al web e ad attuare una serie di misure per fare si che ciò avvenga “a prezzi abbordabili”. Questo è noto come principio del servizio universale. Se il Governo istituisse una tassa sul possesso di mezzi di accesso ad Internet e quindi nei confronti di chiunque abbia una connessione al web si porrebbe in contrasto la direttiva appena citata, che fra l’altro stabilisce esattamente il contrario. E non dimentichiamo che la violazione delle direttive da parte degli Stati membri genera sanzioni e multe a carico, alla fine dei conti, di noi cittadini.
Oserei dire poi che una tassa che colpisca l’accesso ad Internet potrebbe essere incostituzionale e contraria alla Convenzione dei diritti umani, perché colpirebbe la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, oltre al diritto alla partecipazione dei cittadini alla democrazia, diritto che oggi più che mai dipende dall’accesso alle informazioni e dalla libertà di comunicazione di scambio consentite dalla rete.
In Italia, il diritto di accesso al web si considera ricompreso nell’art. 21 della Costituzione, che garantisce appunto la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, anche come diritto dei cittadini ad una concreta partecipazione alla democrazia. Questa prospettazione è stata ribadita anche dopo che a più riprese, su proposta del prof. Stefano Rodotà, si era tentato di inserire nella Costituzione della Repubblica Italiana un art. 21-bis secondo cui “tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale” per sottolineare l’esistenza di questo diritto. Molti Paesi europei hanno introdotto nelle loro costituzioni una norma espressa. Quindi un diritto di rango costituzionale esiste e verrebbe violato se la tassa di cui sopra fosse introdotta.
Non dimentichiamo poi che anche l’art. 10 della Convenzione dei diritti umani tutela il diritto alla libertà d’espressione specificando che esso include “la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
Ed infine: anche le norme sul trattamento dei dati personali e sulle comunicazioni elettroniche e internet sarebbero violate perché non vedo come sarebbe possibile risalire al possesso di un mezzo per accedere al web da parte dell’utente, se non richiedendo ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, Internet service provider (ISP) e società di servizi di telefonia mobile i nomi dei fruitori. Il profilo relativo alla privacy è stato sollevato anche in relazione al fatto di inserire la tassa nella bolletta dell’energia elettrica.
Valgono pertanto le medesime prospettazioni che avevamo già fornito relativamente all’ipotesi del canone in bolletta: né l’autorità per l’Energia, né gli ISP, né i gestori di telefonia, sarebbero probabilmente pronti ad accettare, rischiando quindi di incorrere nelle “ire” del Garante della Privacy, il ruolo di “spioni autorizzati”, arrivando a compilare e consegnare elenchi di individui muniti di connessione a banda larga, elenchi di utenti che hanno ricevuto smartphone in comodato, o anche solo compilare elenchi di abbonati ai servizi dati 3G, HSDPA ed LTE/4G idonei a supportare il traffico dati adeguato.
Esattamente per lo stesso motivo per cui abbiamo, nei precedenti articoli, definita peregrina l’idea delle varie compagnie per la distribuzione di energia elettrica che si sobbarcano l’incarico di fornire elenchi per utenza distinti in modo da discernere, ad esempio, tra udienze condominiali, private, imprenditoriali e simili.
Oltretutto, restano gli ulteriori dubbi rettamente citati: davvero dovremmo ipotizzare che il Governo, con una norma “affrettata”, rischi di incorrere anche in sanzioni europee, colpendo acriticamente l’intera Internet?
È ovvio che il problema è risalente: già la circolare di chiarimento del 2012 arriva alla fine della presa d’atto che lo sviluppo tecnologico potrebbe portare alla ricerca di immutazioni nell’alveo giuridico.
Ma ciò non toglie che c’è ancora molta strada da fare, e le ragioni ostative nei confronti di una riforma che introduca smartphones e PC nel novero dei dispositivi “atti a ricevere trasmissioni radiotelevisive” sono tanto cogenti e difficili da rimuovere quanto quelle nei confronti dell’inclusione del canone RAI nella bolletta dell’elettricità.
Quindi, al momento, siamo ancora al grado di allarmistiche voci di corridoio.
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