Ci segnalano i nostri contatti una card che molti di voi avranno riconosciuto, tranne che per un “piccolo” particolare che di fatto la rende un Cicerone Pro Boomer e la mette in continuity con Tucidide novax, Cicerone antikasta contro il Green Pass e la politica e Pertini violento e sbavante cavernicolo che durante un fantomatico “discorso per la pace” avrebbe urlato con la mascella incordata e la voce gutturale il suo desiderio di prendere “i politici a mazze e pietre” mentre il compianto Pasolini scriveva lettere ad Alberto Moravia ed Alberto Sordi citando tormentoni di Sabina Guzzanti del 2003 come il più rimbecillito dei teledipendenti che non riesce a mettere assieme una frase senza dover usare un tormentone a caso.
Semplicemente è di fatto uno di quei quadretti boomer che puoi comprare nel più scalcinato autogrill per meno di cinque euro già incorniciati al quale qualcuno ha applicato il nome del noto oratore.
Sembra piuttosto bizzarro che in un’epoca in cui di fatto la professione forense non esisteva come la intendiamo noi Cicerone si dedicasse a battute su una professione inesistente di cui in realtà ricopriva il ruolo ad esempio.
Cosa nota a tutti, una legge del 204 a.C., la lex Cincia, faceva esplicito di accettare denaro per aver difeso una causa, rendendo di fatto il concetto stesso di professione forense impossibile (ancorché era sempre possibile, come è sempre accaduto nella storia di ogni mestiere e professore, accettare regalie e favori “in nero”).
Il cittadino Romano si difendeva da sé, avvalendosi talora dei servigi di un giureconsulto (persona perita nelle leggi che lo imbeccava) e di un oratore, persona che scriveva i discorsi che il cittadino avrebbe detto e/o partecipava con lui al giudizio perorandone la causa.
Sommando il tutto ad una società essenzialmente censitaria dove di fatto era il proprio censo, quindi le proprie ricchezze, a definire il tuo ruolo, anche il concetto di “ricco che sfrutta il povero” cozzava contro i precetti standard della società Romana, o quantomeno contro l’ormai celebre apologo di Menenio Agrippa, noto a chiunque abbia mai aperto un sussidiario in vita sua, nel quale si equiparano i ceti patrizi e i ceti plebei ad organi interni del corpo ed ogni loro dissidio ad una malattia terminale che ucciderebbe l’organismo.
La soluzione è semplice: potete trovare questo stesso testo non nella ricca produzione letteraria di Cicerone, ma in autogrill e altri negozietti di scalcinati gadget.
Come dicemmo nell’occasione degli altri bizzarri apocrifi di Cicerone, non possiamo che postulare l’esistenza di un cugino boomer e complottista del famoso oratore, “Napalm51” della sua epoca, pronto a imbarazzare il famoso cugino mentre Giulio Cesare ci metteva in guardia dai rischi di Internet.
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