I Rebra: la “Musica di Ossa” con la quale i giovani Russi superavano la censura
Più le cose cambiano, più le cose non cambiano. Esiste un tempo moderno in cui la Russia guarda all’Occidente in cagnesco, quasi con odio, dandoci dei nazisti e paventando immagini di sterminio, esisteva un tempo storico in cui la Russia guardava all’Occidente in cagnesco, quasi con odio, dandoci dei nazisti e paventando immagini di sterminio.
In quel periodo procurarsi i prodotti tecnologici, ludici e artistici di un mondo che negli anni della corsa allo Spazio era più lontano della Luna stessa era un’impresa difficile, e spesso pericolosa.
Un giovane Russo che volesse rischiare la reclusione o peggio per ascoltare i brani di Pyotr Leshchenko, cantante bandito in madrepatria in quanto considerato “volgare e anticomunista”, oppure la musica di Elvis Presley, Ella Fitzgerald e Glenn Miller, o ogni altro genere di musica “non conforme” poteva rivolgersi solo ad una improbabile fonte.
Il Rebra, Roentgenizdat o “disco di ossa“: bootleg, ovvero copia abusiva di dischi, un tipo di flexidisc (disco flessibile) creato riciclando vecchie lastre radiografiche tagliate alla bene e meglio.
Gli “Stilyagi” e l’amore-odio Sovietico per l’Occidente
Come abbiamo avuto modo di vedere in un capitolo precedente di questa rubrica, l’Unione Sovietica ha sempre avuto un rapporto di amore ed odio con l’Occidente.
Eravamo “Capitalisti”, a tratti nazisti, nemici della Rivoluzione Comunista e del Proletariato tutto: eppure generazioni di giovani Russi hanno usato cloni fatti in Russia delle nostre calcolatrici CASIO e dei nostri orologi al quarzo, si sono baloccati con copie dei nostri “Scacciapensieri”, ovvero i Game&Watch Nintendo rifatti con personaggi dell’animazione Russa al posto dei personaggi Americani e Giapponesi e per tutti gli anni ’90 hanno visto il loro mercato inondato dal Dendy, clone abbastanza pezzotto del NES ribattezzato con una storpiatura della parola “Dandy”.
La scelta non era causale: l’Occidentale era visto come un “decadente Dandy”. Ostile sì, nemico del proletariato sicuro. Ma qualcuno che sapeva godere del lusso e si circondava di oggetti lussuosi e piaceri che nel “Paradiso del Lavoratore” non arrivavano.
I “Dandy”, pardon i “Dendy” degli anni ’50 (e fino agli anni ’80) Russi si chiamavano gli Stilyagi, ovvero i “Cacciatori di Stile”.
Apparsi già negli anni ’50, ebbero la loro esplosione con la controcultura degli anni ’60: in una società fortemente politicizzata e identificata col “Partito”, gli Stilyagi si tenevano ben lontani dalla politica stessa.
Sgargianti come i moderni Sapeur (movimento di controcultura nel Congo che imita con abiti colorati, forse anche troppo, la “Sgargiante eleganza del mondo Occidentale”) gli Stilyagi imitavano in modo pedissequo ancorché feticisticamente e ingenuamente amatoriale l’aspetto delle loro controparti occidentali.
Del resto sia l’Hippy Americano che lo Stilyagi Sovietico si ribellavano ai rispettivi conformismi: quello Americano che diceva loro cosa consumare e quello sovietico che li tacciava di tradimento per il solo desiderio di avere qualcosa di adatto a loro.
Lo Stilyagi iniziò dunque indossando stivaletti alla “Austin Powers” e abiti colorati a quadretti per gli uomini, lustrini, pailette e tacchi alti da “Grease” per le donne, ascoltando la proibitissima Musica Occidentale e piazzando nel loro linguaggio parole inglesi a casaccio appena imparate.
Negli anni ’80 lo Stilyagi divenne il “Biker”: anche chi non aveva una moto si faceva cucire una giacca di similpelle dalle “donne della casa” ed era felice così.
Ma anche il “Breakdancer” o il “Robot”, imitando i goffi passi di danza appresi dal Cinema o il Punk, la cui espressione di ribellione era urlare improperi ai matrimoni indossando creste, borchie e giacchini cuciti da mamma per assenza di negozi di moda.
Ma se come abbiamo visto lo Stilyagi lo vestiva mammà, non possiamo certo ipotizzare che la mamma cantasse loro i successi dei Beatles o dei Black Sabbath.
E in un mondo in cui era tutto “fatto in casa”, saremmo arrivati al paradosso di una comunità musicale molto chiusa e attenta ad “evitare il Poser” in cui tutti erano Poser.
Qualcosa faceva la differenza: e questo “Fattore X” era l’accesso alla musica.
E non abbiamo usato “Fattore X” per caso: X come raggio X. Parola chiave almeno fino agli anni ’60.
L’arrivo dei Rebra
Nel 1946 un immigrato polacco di nome Stanislav Philo arrivò in Russia con un reperto interessante: un incisore per dischi fonografici Telefunken perfettamente (o quasi) funzionante.
Un oggetto che oggi sarebbe poco più che una curiosità, usato sui campi di battaglia per registrare “quasi al volo” discorsi e distribuirli facilmente in un’epoca in cui il corrispondente di guerra non aveva a disposizione mezzi moderni come i nostri cellulari, o anche solo registratori a bobine come gli Uher Report 4000 (arrivati negli anni ’60)
Sia i tedeschi che gli Alleati avevano incisori fonografici per scopi bellici e propagandistici: Philo decise di usarli per tirar su qualche soldo con gli Stilyagi.
Vi abbiamo parlato già a suo tempo del fatto che la Seconda Guerra Mondiale diede sia impulso che ostacolo al disco in vinile come lo conosciamo, suggerendo di usare il vinile o materiali plastici per mandare musica al fronte (essendo il vinile più robusto del disco di lacca) ma sottraendo i materiali plastici all’uso civile.
Stanislav di fatto usò quell’incisore, per gli standard attuali poco più che un misero giocattolo e per gli standard dell’epoca un’alternativa a bassissimo costo agli studi di registrazione ed a macchinari ben più complessi, che chiedevano però personale adatto, per incidere flexidisc in Decelith.
Per quel che potevano saperne il KGB e le autorità Russe, nel negozietto di Stanislav Philo potevi entrare con una chitarra sgangherata o una canzone su un foglio di carta, chiedere a Philo di poter cantare una canzonetta o incidere un discorso e accordarti per uscire dal negozio col tuo bravo “flexidisc” da usare sul grammofono di casa.
Ovviamente il Decelith costava troppo (era pur sempre un materiale prodotto in Germania in tempo di guerra) e in Russia la costosa mercanzia Occidentale non arrivava, quindi ci si arrangiava con pellicole fotografiche da aerei (di roba militare “fatta in casa” nella Russia della Guerra Fredda ce ne era in abbondanza).
Ovviamente anche così non si facevano i soldi veri: quando di notte Stanislav Philo chiudeva “Lettere Sonore” cominciavano i veri affari.
Grazie all’aiuto del giovanissimo (19 anni ai suoi esordi, poi letteralmente invecchiato assieme alla storia del Rebra) ingegnere sonoro e Stilyagi Ruslan Bogoslowski, che riuscì ad esaminare, migliorare (almeno in parte) e replicare la preziosa macchinetta Telefunken Philo potè partire col suo business primario: la creazione dei bootleg chiamati Rebra.
Con un piccolo aiuto della burocrazia e della corruzione già tipiche della Russia dell’epoca.
Un piccolo aiuto dalla corruzione
Se procurarsi il Decelith o dei dischi in gommalacca (o addirittura il vinile) da tagliare era impossibile, se procurarsi lastre fotografiche “pulite” avrebbe portato il KGB e tutto il PCUS in negozio alla caccia dei “Capitalisti traditori Occidentali”, procurarsi lastre fotografiche “sporche” era facilissimo.
Le normative di sicurezza degli ospedali imponevano di smaltire correttamente le lastre radiografiche: Ruslan Bogoslowski e Boris Taigin, altro Stilyagi frequentatore del negozietto di Philo, pensarono di comprare pacchi di lastre usate per pochi rubli, se non offrendone direttamente lo “smaltimento”.
Del resto tutti ci guadagnavano: gli ospedali non dovevano smaltirle correttamente, esse “sparivano” come per magia e i soldi destinati alla corretta gestione dei rifiuti potevano entrare nei rivoli della corruzione e delle regalie.
Di contro Bogoslowski e Taigin (cui si aggiungerà Evgeny Sankov, fotografo, oggetto dei prossimi paragrafi), ribattezzatisi “La gang del Cane d’Oro” (dal logo dell’editore “La Voce del Padrone“, che raffigurava un cagnolino curioso intento a guardare un Grammofono, stampato su etichette color seppia, quindi gialline) poterono così ottenere materiale adatto a stampare i loro flexidisc.
Partendo da copie abusive di un congegno che oggi i ragazzini giapponesi possono comprare per 160 Euro circa per “Registrare la loro voce su dischi a bassa qualità” la “Gang del Cane d’Oro” potè rifornire gli Stilyagi della musica proibita di ogni tipo, stampata su immagini di femori fracassati, tibie in male arnese, teschi, costole e altre ossa.
Da cui il nome “Rebra”: i dischi di “ossa”, altrimenti noti come “Roentgenizdat”, lastre radiografiche.
Un Rebra dalla sua aveva il costo infimo, il fatto di essere facilmente reperibile in un posto dove un disco in vinile ti avrebbe spedito in galera o in Siberia e la flessibilità che lo rendeva facilissimo da “farsi scivolare” nella giacca, arrotolare nelle maniche o nascondere in un libro.
Ovviamente un Rebra durava pochissimo: già i dischi che avete in casa spesso si graffiano e logorano, figurarsi un affare stampato su lastre usate tagliate a mano e con un foro malcentrato fatto con una sigaretta accesa o altro strumento arroventato.
Come moltissimi Stilyagi sapevano, un Rebra non suonava affatto come un vinile, ma neppure come il flexidisc omaggio di una rivista.
Il Rebra era brutto a vedersi, suonava malissimo, era mal centrato ed era pieno di distorsioni dovute al fatto che non sempre la stessa musica era registrata con la stessa velocità in ogni sezione.
Il Rebra aveva un sacco di “Wow and flutter”, saltava e scivolava: ma era il meglio che i giovani Russi potessero avere.
Nella migliore delle ipotesi un Rebra suonava come un sibilo appena audibile con una musica dal volume basso e la qualità scadente riconoscibile in un grammofono o uno dei primi giradischi da 78 giri (i Rebra da 33 giri, vedremo, arrivarono dopo). Dal costo infimo, parliamo di un rublo, un rublo e mezzo massimo, il Rebra poteva essere ascoltato senza ulteriormente degradarsi al massimo una decina di volte, ma a quel punto ne avresti semplicemente comprato un altro.
Ma anche così, era più che sufficiente per ascoltare musica in compagnia e sperare di non trovarsi un delatore pronto a mandarti “sorprese” in casa.
Pratica questa assai comune anche all’epoca: se la cronaca recente ci ha portato casi di delazione in danno di persone “critiche verso la guerra/operazione speciale” i delatori erano i principali nemici della “Musica di Ossa”.
I guai dei Cani d’Oro
Ovviamente ingannare il Partito Comunista Russo non era una cosa così semplice, ma la “Gang del Cane d’Oro” ci provò: dal dopoguerra al 1950 i Rebra ebbero una diffusione rapidissima, e il fotografo fisarmonicista Evgeny Sankov suggerì un procedimento per “rivestire” i goffi Rebra di pellicole fotosensibili fatte in casa (naturalmente cercando di mantenere segretezza e costi) in modo da sbiancare le macabre immagini di ossa altrui e sostituirle con imitazioni delle colorate etichette dei vinili occidentali oppure, non senza una certa vanità, l’immagine del Cavaliere di bronzo (la statua equestre di Pietro il Grande a San Pietroburgo) e la scritta apposta intorno al cerchio “Studio di registrazione artistica musicale di Leningrado”.
Il 5 novembre del 1950, con l’approssimarsi della festa della Grande Rivoluzione Socialista, i “Cani d’oro” furono catturati dal Regime e processati a tempo di record per la “produzione e la distribuzione di dischi per grammofono su nastro a raggi X con registrazioni del repertorio degli emigrati bianchi” nonché per “la composizione e l’esecuzione di canzoni e per la registrazione su dischi del repertorio Blatny”.
Dove per Blatny si intendeva quello che noi chiameremmo “musica underground”, la musica ribelle di Gulag e galere e che ad essa faceva riferimento.
Nel 1951 furono condannati a cinque anni di reclusione, interrotti però dall’amnistia per la morte di Stalin del 1953. Probabilmente se Stalin non fosse morto, la storia dei Rebra sarebbe stata molto diversa: la propaganda sovietica tendeva a descrivere gli Stilyagi come dei parassiti, dei nemici del proletariato e della rivoluzione.
Chi invece accettava di vendere loro musica, abiti e oggetti di importazione veniva trattato ancora peggio: per la propaganda russa erano avvoltoi che corrompevano i giovani per profittare, di loro, un virus che infetta e impoverisce la società bolscevica e che avrebbero dovuto essere umiliati, picchiati, perseguitati e deportati nei campi di rieducazione fino alla morte o, in alternativa, all’accettazione del “Sol dell’Avvenir e del glorioso comunismo sovietico”.
Il film propagandistico “Ombre sull’asfalto” descrive tra le terrificanti minacce che la polizia e i servizi di sicurezza Sovietici dovevano affrontare ogni giorno per preservare la sicurezza dei cittadini anche “I venditori di musica abusiva per grammofono”, infilati surrettiziamente in un elenco che comprende gli ubriaconi, i giovani vestiti all’Occidentale tra i bersagli che il commentatore insegna ad odiare e disprezzare, condannare e denunciare alle autorità costituite perché siano “marchiati a vita” ed espulsi dalla perfetta società del Comunismo Sovietico.
Descritti con accenti esasperati, grotteschi: un gruppo composto da alcuni ragazzi ed una sola ragazza (per il “principio di Puffetta”, una sorta di pari opportunità buttate a caso nel mondo del crimine) viene accolto da un rude commentatore pronto ad additarli al popolo come si farebbe con dei mostri.
Questi giovani, che hanno barattato la scuola con il retrobottega dei grandi magazzini GUM, vendono merce fatta da loro stessi: dischi per grammofono su radiografie, le cui immagini simboleggiano l’anatomia danneggiata della loro miseria spirituale“.
Questo è ciò che diciamo a coloro che vivono la loro vita nei vicoli e nei corridoi bui. Chiunque essi siano, questi oscuri venditori di vestiti stranieri o adoratori del rock and roll, questi fannulloni cresciuti che non vogliono lavorare, noi li marchieremo col marchio dell’infamia! Noi sappiamo bene come condannare ed emettere giudizi. Non vogliamo che le loro sudice ombre macchino i nostri marciapiedi”.
Lo scopo era ovviamente contrapporre i corrotti Stilyagi ai puri giovani dell’Unione della Gioventù Comunista Leninista di tutta l’Unione, detta anche KOMSOMOL, spesso sguinzagliati per le strade per delare e catturare i loro consimili dalla testa piena di sogni, musica e ideali “anticomunisti”.
Fortunatamente per la storia della musica e per questa rubrica i “Cani d’oro” erano teste durissime: nel 1953, freschi di liberazione, Bogoslowski, Sankov e Taigin cominciarono la produzione dei 33 giri (mentre Philo continuò a produrre 78 giri, più facili da incidere e che non richiedevano i microsolchi).
E altrettanto fortunatamente spero abbiate capito che una volta che Bogoslowski era riuscito a riprodurre gli incisori per dischi musicali il mercato dei Rebra si diffuse: arrestare un singolo produttore, sia pur importante come i “Cani d’oro” non avrebbe fermato il mercato (anche se fermarne i primi istigatori e menti era un obiettivo desiderabile).
Nel 1957 Bogoslowski tornò nuovamente in cella, incastrato da un delatore: dopo tre anni nelle carceri di Belyye Stolby Bogoslowski tornò, punito ma non spezzato, con l’idea di prodursi vinile e gommalacca in proprio per creare bootleg “all’Occidentale”.
Siamo però qui già lontani dall’epoca del “Rebra”, il disco di ossa (che pure continuò ad esistere per tutti i vantaggi evidenziati): ci limiteremo a dire che i “Cani d’Oro” nel 1960 erano ormai in grado di creare bootleg dei 45 giri più famosi (o almeno quelli che riuscivano a contrabbandare) con etichette stampate da Sankov finché Bogoslowski non fu di nuovo arrestato e condannato a 3 anni di galera.
Secondo alcuni interpreti, fu proprio una delle fonti di vinile scelta da Bogoslowski per stampare i “suoi” dischi ad attirare l’attenzione di autorità e delatori: Bogoslowski non disdegnava infatti comprare quantità sospette di dischi con discorsi “patriottici” dei leader sovietici passati per poi “rifonderli” in bianchi da incidere e obliterare le voci di Stalin e Lenin che lodavano la Rivoluzione Comunista sostituendole con le voci di cantanti americani e ribelli culturali locali, i “reietti” che gli inflessibili capi del PCUS avrebbero odiato.
Ovviamente, se sei un pregiudicato con la fedina penale lurida per il “grave crimine” di aver stampato e autoprodotto dischi di Elvis, dei Beatles e dei peggiori “Pariah” della cultura sovietica, nessuno prenderà sul serio il tuo desiderio di detenere decine di copie di vinili di Stalin e Lenin che neppure i bravi Russi compravano.
In quel periodo però una serie di fattori portarono al tramonto dell’era del Rebra.
Come la tecnologia e Kruscev posero fine all’epoca del Rebra
Col “disgelo” di Kruscev molti dei divieti tradizionali della Russia fino a quel momento furono allentati. Nei negozi di musica arrivò il jazz “legale”, ed abbiamo visto come Bogoslowski fosse riuscito a ricreare i Bootleg come li conosciamo noi, ovvero fatti di vinile come gli originali.
Ma arrivarono anche i registratori a nastro: nel disgelo di Kruscev cominciarono a diffondersi i primi registratori a nastro magnetico, bobine e cassette.
A quel punto il Magnitizdat sostituì il Roentgenizdat: gli Stilyagi della generazione successiva erano ormai liberi di sfidare il KGB e la censura con le loro mani, anziché dover cercare un negozio compiacente.
Nel 1960 ogni Russo in grado di permetterselo poteva avere un registratore a bobine magnetiche, e al contrario ad esempio di un apparato di stampa, non vi erano limiti al possesso ed alla copia di nastri. Purché naturalmente non contenessero contenuti illegali, ma a quel punto stava allo Stilyagi nascondere le sue bobine di musica occidentale, e gli era possibile fare copie per gli amici e farle girare ancora più rapidamente.
Un buco legislativo nella burocrazia sovietica comportava limitare il numero di copie che si potesse fare di ogni documento, avere una tolleranza zero per i Rebra e le copie abusive della musica Occidentale ma consentire l’uso e la vendita di registratori a nastro e nastri, per mancanza di conoscenza del fenomeno o nella speranza che essi servissero per registrare i discorsi dei leader del Partito e agevolare la fedeltà dei cittadini.
Naturalmente la censura russa non finì per questo, ma i Rebra erano stati di fatto sostituiti nelle preferenze. Bobine magnetiche e in seguito audiocassette garantivano una qualità pari alle copie nostrane, il supremo equalizzatore che rendeva ogni Stilyagi un potenziale ed efficace pirata.
Ancora una volta il problema era il costo: un registratore a nastro “Tembr” costava circa 275 rubli (grossomodo 248 dollari dell’epoca, se vi fosse stato un cambio legale), una somma piuttosto elevata contando lo stipendio medio del lavoratore.
Ma ancora una volta, di tutto questo lo Stilyagi poco si curava: aveva la sua musica, era pronto a sacrificarsi e stringere la cinghia per essa e tanto gli bastava. Con un po’ di fortuna avrebbe potuto procurarsi copie di testi della letteratura occidentale “proibita”, aveva la sua giacca all’occidentale cucita in casa e si sentiva più vicino ad uno stile di vita fuori dalla Cortina.
Sicuramente non era un parassita borghese, ma un ribelle culturale che ebbe quello che desiderava solo negli anni ’90, quando la Perestrojika e la caduta del Muro di Berlino, ed un McDonald’s nella Piazza Rossa, unirono finalmente il mondo di due gioventù diverse unite da un desiderio di libertà che la cronaca moderna ci dimostra hanno troppo presto dimenticato, diventando presto simili ai loro genitori e nonni.
C’è come avete visto uno stranissimo parallelo tra la pirateria “ufficiale” promossa quando non direttamente voluta da Mosca e la pirateria “esecrabile” dei giovani Stilyagi e degli oppositori politici.
Entrambe finirono non quando le autorità Russe o gli aventi diritto usarono la forza della legge, ma quando i Russi trovarono di meglio.
I Russi smisero di comprare giochi portatili, calcolatrici e orologi del Minelektronprom quando poterono avere gli originali Nintendo e Casio. Smisero di comprare le console “vendute in Russia” Dendy quando Nintendo cominciò a vendere loro il SNES originale.
Smisero di comprare i Rebra, i “dischi di ossa” quando poterono passare ai nastri magnetici ed all’importazione legale.
Arginare la pirateria, “legale o illegale” era come cercare di svuotare l’oceano con un secchiello: solo fornire un’alternativa al prodotto “copia” avrebbe cessato la sua diffusione in un mondo che ci spiava dalla Cortina di Ferro desiderando ciò che noi avevamo.
L’importanza e la repressione del Rebra
Come per i Samizisdat e i Magnitizdat, i Rebra erano molto più che un mezzo per i “giovani parassiti traviati dall’Occidente” di avere musica occidentale a basso prezzo.
Quello faceva parte della tipica, e ancora attuale, attitudine dei regimi nel gettare fango sul dissenso, mentendo spudoratamente per fare in modo che i fedelissimi al regime avessero in odio il diverso e fomentare ulteriormente la citata divisione tra i “bravi giovani” del KOMSOMOL, ligi allo “spirito del comunismo” e i “volgari teppisti Stilyagi” tutti vizio, pantaloni stretti, “teppismo” e musica rock.
Sul portale “Bone Music” è possibile ancora oggi ascoltare diverse canzoni di autori anonimi, autoprodotte con temi ostili al Regime Comunista. E non parliamo di canzoni che incitano alla violenza verso Stalin e successori, ma semplicemente canzonette leggere, ispirate ai temi della musica Occidentale (e tanto basta per finire nel mirino), musica folk e musica d’amore con temi cupi e poco adatti al “paradiso del proletariato“.
Nonché la citata “musica carceraria”, canti di repressione e deportazione, dolore e commiserazione che sfiguravano l’immagine perfetta dell’URSS.
I Rebra hanno quindi non solo mantenuto in vita il movimento Stilyagi facendo in modo che i giovani Russi potessero conoscere la musica Occidentale, ma come i Samizisdat sono stati per molti anni l’unico modo con cui artisti non allineati hanno fatto conoscere la loro opera.
Il problema era la semplice autoproduzione, che rese la riproduzione dei Rebra un titolo di reato a se stesso: la censura poteva controllare gli editori, ma non gruppetti di “avanzi di galera” pronti a tutto per produrre musica libera.
Interi generi musicali di controcultura e protesta sociale nacquero nel mondo dei dissidenti, degli esiliati e dei prigionieri e camminarono sulle scheletriche gambe dei Rebra grazie ai “Cani d’oro” e ai loro epigoni.
E questo faceva paura al regime, che decise che se la prigione non poteva più funzionare, si sarebbe passati ad umiliare, demonizzare e criminalizzare l’essenza stessa della gioventù.
La censura che come abbiamo visto “sapeva come umiliare e mettere alla gogna” riuscì a trovare le stringhe giuste per far risuonare non il desiderio di musica, ma il desiderio di delazione.
Ora come allora, se c’era una cosa in cui le “fonti russe” eccellevano era distorcere la realtà: quando ad esempio un russo veniva arrestato per il possesso o la creazione di un Samizdat o un Roentgenizdat, per aver stampato o riprodotto con carta copiativa e macchina da scrivere un libro illegalmente prodotto o duplicato una canzone “proibita”, non era certo un cittadino quello che veniva censurato.
Si puniva “uno sporco borghese” che violava i diritti di autore dei cittadini perché, ovviamente, un “Compagno cittadino” non avrebbe mai potuto permettersi di stampare il proprio libro, procurarsi un tornio per dischi e pile di lastre fotografiche, quando non addirittura vinile e gommalacca o comprare tutto il necessario per darsi al mercato della pirateria, no?
Ovviamente parliamo di borghesi parassiti capitalisti che rubano il pane di bocca ai poveri proletari, che hanno tutti quei soldi da usare e non partecipano alle Rivoluzioni Gioiose del Popolo, no?
Ovviamente (e se non avete capito, siamo sarcastici), quando la polizia entrava in un negozio di musica per trascinare via per anni ed anni dei ragazzi che copiavano dischi o in una casa privata per portare via la poca carta che si riusciva a comprare senza essere “attenzionati” e macchine da scrivere, ufficialmente non stava né commettendo un sopruso in danno di ragazzini amanti della libertà, e non stava neppure riconoscendo loro la dignità di un leale avversario.
Stava semplicemente, come descritto nel film “Ombre sull’asfalto”, umiliando un branco di borghesi capitalisti, parassiti che a loro dire accumulavano enormi ricchezze in danno del popolo non rispettando le leggi sul diritto d’autore e sulla produzione e “drogando” la gioventù con prodotti che li allontanavano dal giusto cammino, nobilitando quindi la delazione e la censura come “atti di giustizia proletaria”.
Le “feste in cucina”, le khrushchevkas e la controcultura ai tempi dell’URSS
L’espressione tipica del dissenso e della controcultura della Russia Sovietica non erano dunque i Café Bohemienne, e neppure club pieni di fumo e alcol. Erano le cucine.
Ancora fino alla morte di Stalin nel 1953 se c’era una cosa ignota al popolo russo delle grandi città che si rendevano industriali, Mosca in testa, era la privacy. Si viveva ammassati in enormi case-casermoni, con appartamenti in comune dove famiglie di estrazioni sociali diverse si ritrovavano a condividere bagno e cucina in una situazione spesso assurda. Nella stessa cucina potevi trovare la famiglia di un agente del KGB e la moglie e il figlio del lavoratore che l’agente del KGB aveva fatto arrestare per aver rubato del pane dal posto di lavoro.
Dove i rapporti erano tesi, e la “cabin fever” era all’ordine del giorno, trovavi padelle con incisi i nomi dei proprietari, liti per chi dovesse usarle, cassetti e scaffali lucchettati e gente che si affrettava a cucinare per mangiare nei corridoi, con delatori pronti a fare la spia su tutto quello che vedevano in un posto dove la privacy era impossibile.
Kruscev, preso il potere, decise di tentare di cambiare la situazione, introducendo le khrushchevkas. Casermoni di cinque piani con muri troppo sottili per non sentire il tuo vicino, ma dove almeno le famiglie potevano avere una propria cucina e non mangiare con addosso l’alito di uno sconosciuto pronto a delarti per pochi rubli o desideroso di invadere il tuo spazio vitale.
Le cucine private divennero simbolo del dissenso: se avevi comprato un Rebra, se avevi in tasca un Samizdat, sicuramente non saresti andato a leggere un libro proibito o vantarti di avere della “musica vietata” in un café, luogo pubblico dove le autorità o “quei bravi ragazzi” del KOMSOMOL ti avrebbero trovato, delato, arrestato e umiliato.
Non avresti cercato di parlare di politica, cultura o tempi leggeri sul posto di lavoro: uno zelante collega sarebbe corso a delarti al datore di lavoro mettendoti il KGB alle costole per vantaggio personale, fanatismo politico o semplicemente per liberare un posto di lavoro per qualcun altro.
L’unico posto che ti restava era casa, e grazie alle khrushchevkas potevi farlo in relativa “sicurezza”.
Certo, lo facevi staccando il telefono (quando lo avevi) e imbottendolo con lenzuola e cuscini temendo intercettazioni, aprendo i rubinetti e lasciandoli aperti per disturbare vicini zelanti che vedendovi in compagnia avrebbero poggiato l’orecchio al muro per captare suoni proibiti, ma le cucine private divennero salotti di cultura e coltivazione del pensiero libero.
Mettevi su un Rebra, aprivi un libro proibito, discutevi di politica o qualsiasi altra cosa vietata fuori da quelle quattro mura e ti sentivi libero. Le cucine divennero club, luoghi per appuntamenti amorosi, festini, danze e musica: versavi una vodka, tiravi fuori stuzzichini lasciati in fresco sul balcone per assenza di frigorifero, e se il KGB non bussava alla tua porta ce l’avevi fatta. Eri riuscito ad essere libero.
Anche grazie ai “Cani d’oro” ed ai loro “dischi di ossa”.
Cosa accadde dopo?
Stiamo parlando di giovani no? Quindi non possiamo che chiudere questa esibizione come faremmo con Animal House e American Graffiti, mostrando alla fine dove sono finiti i “Cani d’oro” e i Rebra, protagonisti di questa storia.
Bogoslowski è morto di vecchiaia da poverissimo pensionato di San Pietroburgo nel 2003, e un incendio negli anni ’90 ha distrutto buona parte dei suoi ricordi, perlopiù macchinari da lui usati nei suoi anni da “Cane d’oro” e parte degli amati bootleg.
Taigin morì invece nel 2008, facendo in tempo a raccontare la storia degli altri “cani”: al fotografo Sankov andò invece peggio che a tutti gli altri, e morì negli anni ’70 per le conseguenze del suo alcolismo.
I Rebra hanno formalmente cessato di esistere, poco alla volta, sostituiti dai nastri magnetici, ma oggi sono oggetto di collezionismo assai pregiato nonostante le loro umilissime origini , con un Rebra di “Istanbul (Not Constantinople)” venduto per 50 dollari nella trasmissione “Affari di Famiglia”.
Prima che eBay tagliasse fuori i venditori Russi per causa delle sanzioni, non era inconsueto avere prezzi tra i 50 e i 100 euro per un “rebra” da un venditore Russo: per lo stesso prezzo è ancora possibile acquistarne da venditori in Ucraina o con qualcosa di più comprarli da chi ha fatto in tempo ad “esportarli prima”.
Nonostante per i “Cani d’oro” i prodotti più pregiati fossero gli ultimi, quelli con etichette personalizzate se non riprodotti coi materiali “adatti”, particolarmente amati dal collezionismo attuale sono i primi, i 78 giri stampati con immagini di ossa umane, strumenti chirurgici e malattie umane, dove i morti sembrano suonare coi vivi musiche rese deboli, fioche e distorte.
Non male per un oggetto che all’epoca non sarebbe costato più di un Rublo o un Rublo e mezzo: peraltro potrete approfittare del link ad “Affari di Famiglia” per avere un ascolto di quello che un giovane russo degli anni ’50 e della prima parte degli anni ’60 avrebbe potuto ascoltare, prima di potersi permettere un registratore a nastro.
Naturalmente, se intendete acquistare un Rebra da un venditore Ucraino (contribuendo dunque ad alleviare le sofferenze di un popolo piagato dalla guerra), vi ricordo un’ultima volta che fino alla fine dell’era della pirateria su disco gli stessi erano stampati a 78 giri, quindi vi servirà un giradischi adatto e i “tremuli piatti sonori” in vostro possesso potrebbero degradare ulteriormente un suono già degradato.
Dettagli li troverete in questo mio precedente articolo, che vi spiegherà quali sono i giradischi più adatti ad ascoltare un 78 giri, quindi anche un Rebra. Non troppe volte però: i Rebra non sono fatti per essere ascoltati con costanza, e se decidete di comprarne uno vi converrà registrarne l’audio e conservarli con cura.
Per una storia ancora più completa dei Rebra la redazione vi raccomanda pertanto il libro
Nessuno mi paga, nessuno ci paga, ma è molto bello da avere.
Infine, dopo il ritorno in scena del vinile e dei retrocomputer anche i Rebra hanno avuto un loro ritorno, con la casa indie “Blank City Records” che nel 2017 stampò propri flexidisc ispirati ai Rebra, a imitazione e ricordo di quella volta che la battaglia tra cultura e dittatura fu vinta grazie a scarti industriali e tanta fantasia.
Immagine di Copertina: “Rock on bones” Gramophone record (USSR, 1950-s). Gallery “Vinzavod”, Moscow, Dmitry Rozhkov
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