Ci segnalano i nostri contatti un articolo titolato «I migranti non sono profughi». Ecco il rapporto Onu che fa impallidire la Bellanova, riportato in questi giorni da alcune testate come il Secolo di Italia ed alcune pagine social.
Si parte dalla premessa di uno studio dell’ONU, scoperto dai social recentemente che dimostrerebbe come
La realtà descritta dalle Nazioni Unite è infatti ben diversa. I migranti, arrivati quasi tutti con i barconi, per il 49 per cento avevano un lavoro, in molti casi uno stipendio maggiore e un livello di istruzione più alto della media dei connazionali. In molti gli intervistati assicurano che guadagnavano a sufficienza per vivere dignitosamente anche in Africa. E il 12 per cento ha assicurato che era in grado anche di mettere via risparmi. Situazione ben diversa da quella che la sinistra coi suoi proclami vuole propinare agli italiani. Ma c’è di più. Secondo quanto si legge sul dossier gli stranieri che sono partiti stavano relativamente meglio rispetto ai loro coetanei.
È tutta una questione di percezioni, ma andiamo con ordine. Lo studio lo conosciamo infatti benissimo. Così bene che ne avevamo già parlato a Novembre del 2019.
E non vediamo come la Bellanova, o chiunque altro, dovrebbe temere oggi qualcosa che è noto da mesi.
Abbiamo visto in passato bufale e leggende metropolitane attribuire all’OMS bizzarre affermazioni sulla Cannabis, nonché l’introduzione di programmi di educazione sessuale con dimostrazioni pratiche a bambini di 4 anni.
Il pregiudizio corrompe e acceca, inoltre rende davvero difficile fermare una disinformazione: se un tuo amico, un condivisore su Internet, uno che parla come te diffonde un appello contorto e modificato, sei portato a dargli credito. Chi invece ti chiederà di esibire la fonte verrà accusato di essere un professorone.
Il continuo insistere sul lo dice l’ONU, lo dice l’ONU invoca il c.d. “Argomento di Autorità”, attinto da un vago senso di famo a fidasse.
Ma male! Fidarsi è sempre male, bisogna procurarsi una copia del testo. E lo faremo. Il testo.
Si tratta di “Scaling Fences: Voices of irregular African Migrants to Europe”
Potete semplicemente scaricarlo e leggerlo. Il nostro Fact Checking si esaurirebbe qui, come l’altra volta si sarebbe esaurito. Ma parliamo del presunto rapporto Onu che fa impallidire la Bellanova
E dove lo direbbe esattamente?
Anzi, pagina 5, e non parliamo di una delle ultime pagine, dice l’esatto contrario
Just 38 percent said they earned enough ‘to get by’, 50 percent felt they were not earning enough, and only 12 percent reported being able to save. Economic motivations, closely tied to self-actualization and a sense that aspiration can only be fulfilled through departure from Africa, were fundamental motivations shared by respondents — who at the same time predominantly pointed to multiple reasons informing their decision to leave. Answers to questions on the governance contexts at home in Africa suggest a strong sense of identity-based social exclusion by, and alienation from, state duty bearers that has informed decisions to migrate. Disappointment in the quality of service provision was high among all respondents. Their overall youthfulness indicates there are significant age-related constraints on opportunity in Africa, with young people finding few avenues through which to pursue their aspirations and dreams, or to accelerate their own prospects and those of their families within the country contexts. The advances of recent decades have only served to inspire a will to migrate and an ability to do so, yet legal channels facilitating migration remain largely closed to this class of traveller.Irregular migration, for those interviewed, is an investment in a better future: embraced by individuals whose development trajectory is already in ascendance, enabling a radical rejection of the constraining circumstances at home in order to scale metaphorical and even physical fences to personal fulfilment
Solo il 38 percento dice di guadagnare abbastanza per “tirare avanti”, il 50% sente di non ottenere abbastanza, e solo il 12% è riuscito ad avere risparmi. Le motivazioni economiche, legate al concetto di autorealizzazione e aspirazioni che possono essere raggiunte solo andando via dall’Africa sono tra le motivazioni fondamentali condivise dagli intervistati. I quali allo stesso tempo hanno dichiarato di avere molteplici ragioni per andar via. Le risposte alle domande sul contesto di governo in Africa suggeriscono un forte senso di identità basato sull’emarginazione sociale e sull’alienazione nei confronti dello Stato che ha formato la decisione di fuggire. Il disappunto nella qualità dei servizi offerta era alto tra gli intervistati. La loro giovinezza relativa dimostra che ci sono una serie di problemi legati all’età in Afriga, coi giovani posti nella crescente di difficoltà di poter seguire i loro sogni ed aspirazioni, o di poter avere prospettive per se stessi e la loro famiglia nel contesto del paese di origine. I progressi delle ultime decadi hanno solamente creato un desiderio di migrare ed una abilità, ma i canali legali per la migrazione restano inibiti a questi viaggiatori. La migrazione irregolare, per gli intervistati, significa investire in un futuro migliore, abbracciata da individui che sono in grado di migliorarsi, rigettare radicalmente le condizioni avverse e imprigionanti a casa significa scalare muri metaforici e fisici per perfezionarsi.
È come noi stessi vi abbiamo detto più volte in articoli di cui vi consigliamo la lettura: non dovete pensare all’immigrato come una creatura del fantasy, se non come un miserabile elfo domestico privo di tutto.
Il migrante è come me, come te, come noi. Spesso un giovane uomo o donna che sogna di avere una famiglia, e delle prospettive.
In un paese dove spesso non riesce a costruire o risparmiare per il futuro, talora situazioni di discriminazione, disagio o emarginazione sociale gli rubano il futuro che ha.
Non è certo una passeggiata rischiare la morte su un barcone: ma quale giovane padre o madre negherebbe a suo figlio la possibilità di crescere in un posto dove, forse pensandola ingenuamente, la sua etnia non sarà un ostacolo al suo sviluppo e non sarà in balia di elementi fuori dal suo controllo?
Certo, poi si troverà comunque in un luogo dove il colore della sua pelle autorizza il prossimo a lapidarlo a mezzo Facebook, ma intanto il tentativo è stato fatto.
Il campione di riferimento in realtà è descritto da pagina 16 a pagina 22, e la percentuale del 91 si riferisce agli arrivi via mare, escludendo il fatto che sul totale di chi è arrivato in Europa con mezzi illegali, il 18% ha provato, con insuccesso, la tratta legale altrimenti.
E come avrebbe potuto? Nell’articolo da noi citato precisiamo che esistono in Africa luoghi dove ammesso che tu possa avere documenti validi per l’espatrio, nella pratica è impossibile che ti siano concessi.
Comunque, questa iterazione giornalistica, va ammesso, è assai più onesta della propaganda Social di Novembre: nella quale il condivisore, non vincolato alla deontologia giornalistica, si spingeva a parlare di “Barcone dei trafficanti”.
Evidentemente, si riconosce la mano di un giornalista che, sia pur non tenendo conto di alcuni fattori che è meglio riportare nell’equazione, ha comunque mantenuto un linguaggio commendevole, e di questo va tenuto conto.
La premessa del campione di rilevazione recita così
Scaling Fences draws on a detailed questionnaire administered in person to 3,069 adult African migrants (over 18 years of age at the time of interview) who had travelled from a total of 43 African countries of origin and were interviewed across 13 European countries. They had all arrived in Europe through irregular means at least six months before they were interviewed for this study. In the absence of any independent or verifiable means of determining who among the survey respondents travelled for what reasons, the research team used, as a proxy indicator, answers to a key question in the interviews about respondents’ self-reported most important reason for coming to Europe. Analysis of answers given to this question enabled the identification of 1,099 individuals (36 percent of total interviewed) who cited the following reasons as being most important: ‘avoid war/conflict’; ‘avoid persecution from government’; ‘avoid violent extremism/terrorism’; and ‘avoid gang violence’. For analytical purposes, across the data, these 1,099 individuals were separated from the rest of the sample, who cited economic or other reasons as their most important reason for coming to Europe. It must be kept in mind that assessment of asylum status falls under the jurisdiction of the state in question and claims can only be assessed by specialized national agencies. The classification made in this report is simply based on respondents’ own self-reported primary motivation.
Scaling fences si basa su un questionario dettagliato somministrato a 3069 migranti africani adulti, ovvero maggiori di anni 18 al tempo dell’intervista, provenienti da 43 paesi africani diversi e intervistati attraverso 13 paesi europei. Sono tutti arrivati in Europa irregolarmente almeno sei mesi prima di questo studio. Non potendo verificare in modo indipendente o verificabile le risposte relative ai motivi del viaggio, il team di ricerca ha usato come indicatore mediato la risposta alla domanda sulle ragioni più importanti per il viaggio in europa. Le analisi delle risposte hanno consentito di identificare 1099 individui ovvero il 36% del totale intervistato che hanno dichiarato come ragione più importante ‘fuggire dalla guerra/dal conflitto”; ‘Evitare persecuzioni dal governo”, “evitare il terrorismo e l’estremismo”, “fuggire dalle bande criminali”. Per motivi di analisi, questi individui sono stati separati dal resto del campione che ha citato ragioni economiche o affini come motivo più importante per giungere in Europa. Va tenuto presente che la verifica sull’asilo ricade nella giurisdizione del paese in questione e quindi può essere verificata solo da agenzie governative specializzate. La classificazione in questo rapporto deriva dalle ragioni primarie indicate.
Riassumendo: ogni migrante ha più ragioni per fuggire dalla sua patria, le ragioni si accavallano, e il provenire da un paese tecnicamente in pace non esclude automaticamente discriminazioni etniche, religiose, sociali o dettate da crimine ed estremismo.
Inoltre, la distinzione sessile tra i campioni, non può essere considerata rappresentativa dell’intero fenomeno migratorio, essendo il campione decisamente ristretto.
Ma è interessante per un fenomeno di cui parleremo ora: fugge chi non solo fugge dalla guerra, ma ha speranza di sviluppare una vita migliore in futuro.
E come dimostra la testimonianza di Carole dal Camerun, citata nel testo, parliamo di luoghi dove l’istruzione superiore è ancora negata alle donne, spesso adibite ai lavori domestici.
Amettiamo che la percentuale dell’85% non sia prelevata dal dato della popolazione urbana, che per motivi misteriosi è stata trasfigurata in paesi non in guerra.
Quale parte di si fugge anche per discriminazione e calo della qualità della vita?
Dalla tavola sinottica a pagina 48 impariamo che il 77% del campione viene da luoghi dove non vi è alcuna fiducia della possibilità per il governo locale di garantire stabilità e sicurezza alle loro vite, ed il 51% munito di lavoro semplicemente ritiene di non poter avere possibilità di crescita e sviluppo.
Sostanzialmente, se tu, mio buon lettore, sapessi di poter guadagnare abbastanza per dare un’esistenza sicura ai tuoi figli, consentirgli di studiare e viaggiare dove potranno crescere e maturare come individui, e ti fosse detto che per quanto abile, per quanto capace, per quanto in grado di ottenere di meglio dovrai sempre sgobbare per un minimo che potrebbe esserti tolto in ogni momento, senza possibilità di sbocco o miglioramento, che anche se i tuoi figli studieranno con profitto resteranno sempre bloccati nella stessa palude dove morirai senza aver mai combinato nulla di buono nella vita, e così i loro figli, nipoti e generazioni future, tu cosa faresti?
Prenditi del tempo per rispondere, e poi valuteremo la tua sincerità o ipocrisia.
Ripetiamo una premessa che non ci stancheremo mai di ripetere: investire in una vita migliore non significa investire in un rientro economico.
Semplicemente, parliamo di persone che una vita la avevano, o sognavano una vita migliore, quindi un cellulare anche di poco conto se lo potevano permettere, e se lo tengono stretto perchè in un solo pezzetto di plastica hanno foto dei loro cari, mappe e la possibilità di comunicare con chi hanno lasciato in patria.
La stessa tavola sinottica ci ricorda che il 78% dei migranti manda rimesse in madre patria che diventano il 90% del reddito delle loro famiglie, in luoghi dove il divario tra sessi erode il 26% degli stipendi femminili e lo stipendio dell’emigrato medio supera (pag. 63) di tre volte quello di chi resta.
Semplicemente quindi, parliamo di costruire una possibilità di una vita migliore.
Curiosamente, i nostri nonni e bisnonni partiti per le Americhe per mandare i dollari in Italia per costruire case e far sposare i figli sono da sempre ricordati come veri e propri eroi civici.
Ma quando sono gli immigrati stranieri a far la stessa cosa, ecco che quello che per noi era un dono prezioso, diventa una specie di vizio inutile.
Quindi non al ministro, ma ai lettori ci rivolgiamo.
Leggete ora il rapporto, ma quello vero, e per intero.
Se avete bisogno di dare un volto alle storie che leggete, potrete procurarvi una copia di Storie Migranti, di Sio e Bernardi per Feltrinelli.
Che vi dimostrerà come il bisogno di una vita migliore è qualcosa di deliziosamente umano. Il resto? Sovrastruttura.
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