I dati ISTAT sulla Pandemia non dimostrano quello che volete voi: smettetela
I dati ISTAT sulla Pandemia non dimostrano quello che volete voi: potremmo chiudere questo fact checking così.
Potremmo semplicemente dichiararvi, dall’alto di ben tre articoli in cui ne abbiamo parlato con ogni dettaglio possibile nell’ultimo anno che non avete ragione.
Che la stessa ISTAT ha preso le distanze da ogni tentativo di rilettura creativa del dato fornito.
Detto questo, sarebbe tematicamente più corretto capire di cosa stiamo parlando.
Parliamo dell’ennesima bufala dei dati ISTAT sulla Pandemia che dimostrano che la Pandemia non esiste
Ovviamente il martello torna sempre a battere sullo stesso chiodo.
Partiamo da una nota interpretativa dell’ISTAT stessa, l’istituto citato a vuoto
Trascritto per chi usa sistemi automatici di conversione di testo in voce in
L’incremento della mortalità complessiva osservato nel mese di marzo rappresenta una brusca inversione di tendenza dell’andamento della mortalità giornaliera dei mesi di gennaio e febbraio 2020. Nei primi due mesi del nuovo anno, infatti, i decessi erano stati inferiori al numero medio osservato nello stesso periodo nel 2015-2019. Un fenomeno che può ritenersi attribuibile al ridotto impatto nei primi due mesi dell’anno dei fattori di rischio stagionali (condizioni climatiche ed epidemie influenzali). Ciò spiega come mai, se si considera il complesso dei decessi dal primo gennaio al 21 marzo 2020, in diversi comuni non si ravvisa un aumento, ma piuttosto una diminuzione del numero dei morti, rispetto al dato medio dello stesso periodo degli anni 2015-2019.
L’incremento dei decessi per il complesso delle cause è, dunque, ravvisabile solo a partire dalla fine di febbraio e dalla prima settimana di marzo ed è concentrato nei comuni del nord e del centro in cui l’epidemia si è diffusa di più. In queste aree si osservano aumenti ragguardevoli non solo nei centri urbani maggiori, ma anche in realtà comunali di dimensioni demografiche più contenute
Riassumendo ulteriormente
Quando c’è stato il primo focolaio Italiano di COVID19 in Italia?
Come tutti sanno, il primo focolaio è stato rilevato il 21 Febbraio del 2020.
Vale a dire che per tutto Gennaio e Febbraio 2020 stavamo bene. Anzi, le condizioni climatiche veramente clementi, unita ad una diffusione inferiore dell’influenza stagionale “normale” avevano portato ad una situazione di benessere rispetto agli anni passati.
Statisticamente parlando, il 2020 era iniziato coi migliori auspici, e siccome la Statistica interpreta i dati e non vede nel futuro, nessuno poteva sapere che Marzo ci avrebbe accolto col disastro.
Ricordate l’esempio che abbiamo fatto? Gennaio e Febbraio sono il tizio a digiuno da due mesi, Marzo è l’ingordo che ingurgita due polli arrosto interi ad ogni pranzo.
Ovviamente, se noi prendiamo il dato di tutto il trimestre e lo spalmiamo su tre mesi, agli occhi della statistica esso risulta ridotto e quindi la Pandemia che stiamo vivendo risulta meno grave.
Ma tenendo conto del dato così come è pervenuto, arriviamo a scoprire che Marzo e l’Aprile che stiamo vivendo non solo sono mesi terribili, luttuosi e dove l’Italia è stata scossa dalla Pandemia, ma stiamo parlando dei soli casi verificati mediante tampone coi dubbi che sappiamo sulle casistiche “sospette”.
In due mesi, come una perversa versione del voto di Alessandro Borghese che può confermare o ribaltare la situazione, la Pandemia da COVID19 ha completamente ribaltato un anno nato con tutti i migliori auspici dell’anno nuovo in un vero e proprio “anno terribile” al quale stiamo ancora rimediando.
Se COVID19 è così letale, perché negli anni passati c’erano lo stesso decessi in numero elevato? E le morti per Influenza dove sono?
Siamo assai prossimi alla fallacia di falsa causa o difetto di continuità qui.
“Sapendo che se un essere umano cade nella lava muore, se cade nell’acido solforico muore, perché ci preoccupiamo della lava che è nei vulcani quando l’Acido Solforico lo trovi in ogni laboratorio che è più vicino dei vulcani?”
Sostanzialmente ogni statistica sul numero di morti impatta, cosa di cui abbiamo ampiamente parlato, su una lunga serie di fattori che impattano il campione.
Premesso questo, c’è una ragione ben precisa per la quale anche gli esperti che abbiamo interpellato (medici e virologi) giudichino senza senso il confronto tra morti per influenza in Italia nel 2018 e 2019 e le cifre emerse di recente con il Covid. La questione Coronavirus, infatti, si differenzia dall’influenza per l’assenza di un vaccino. Quello attualmente disponibile per i malanni di stagione, al contrario, fa calare sensibilmente la probabilità di beccare virus stagionali. Possibilità non azzerata, ma di gran lunga inferiore rispetto agli standard.
La “straordinarietà” del Covid-19, poi, si concentra sulla facilità con cui il virus si trasmette. Scenario purtroppo più facilmente configurabile rispetto a quanto avviene con il virus stagionale. Aspetto, questo, che ci dà un’altra chiave di lettura anche sui morti per influenza in Italia tra il 2018 ed il 2019. Infine, quest’anno l’influenza stagionale potrebbe essere meno diffusa proprio “grazie al Covid”.
In questi mesi, infatti, con il lockdown c’è stato un calo significativo di tante infezioni virali respiratorie, proprio perché non c’è stata promiscuità. Del resto, questo è lo stesso motivo per cui se si fa attenzione all’igiene, limitando di conseguenza tutte le infezioni respiratorie. Che si tratti di Covid, influenza, o semplice raffreddore. Motivo per cui i giapponesi indossano la mascherina quando hanno un raffreddore, in modo tale da non infettare gli altri, per puro spirito di civiltà.
Al mutare delle condizioni, muta il dato fornito.
E le condizioni in cui stiamo vivendo, speriamo fino alla diffusione del vaccino, sono condizioni eccezionali.
I decessi per COVID: sovrastima o sottostima?
Lieto tu l’abbia chiesto, amico mio.
Non è infatti automatico come trovare il SARS-CoV-2 nel corpo di qualcuno. Ci ricorda l’ISS
I criteri per definire un decesso per COVID-19 sono indicati nel rapporto sopracitato e comprendono:
· Decesso occorso in un paziente definibile come caso confermato microbiologicamente (tampone molecolare) di COVID-19
· Presenza di un quadro clinico e strumentale suggestivo di COVID-19
· Assenza di una chiara causa di morte diversa dal COVID-19
· Assenza di periodo di recupero clinico completo tra la malattia e il decesso.
Se la morte è causata da un evento non immediatamente riconducibile al COVID-19, ad esempio un infarto, ma il soggetto è positivo, come deve essere classificato il decesso?
La positività al Sars-Cov-2 non è sufficiente per considerare il decesso come dovuto al COVID-19, ma è necessaria la presenza di tutte le condizioni sopra menzionate, inclusa l’assenza di chiara altra causa di morte. Va precisato però che non sono da considerarsi tra le chiare cause di morte diverse da COVID-19 le patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo dell’infezione (per esempio cancro, patologie cardiovascolari, renali ed epatiche, demenza, patologie psichiatriche e diabete). Sono da considerarsi cause di morte associate a COVID-19 le complicazioni o gli esiti collegati a patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo un paziente con quadro clinico compatibile con COVID-19. Nel caso specifico, se l’infarto avviene in un paziente cardiopatico con una polmonite COVID-19, è ipotizzabile che l’infarto rappresenti una complicanza del COVID-19 e quindi il decesso deve essere classificato come dovuto a COVID-19. Se l’infarto avviene in un paziente che non ha un quadro clinico compatibile con COVID-19, il decesso non deve essere classificato come dovuto a tale condizione.
La risposta è quindi sottostima. Una decisa sottostima, quantomeno nelle fasi iniziali del monitoraggio.
O come dice l’Istituto Superiore della Sanità: è probabile anzi che siano sottostimati nei mesi di marzo e aprile. In questo periodo molti pazienti sono deceduti senza essere testati e perciò le loro informazioni non sono state inserite nel Sistema di Sorveglianza. La stima fatta nel rapporto congiunto ISS-Istat sull’eccesso di mortalità è che nei mesi di marzo e aprile i decessi legati in maniera diretta o indiretta al COVID-19 siano circa il doppio rispetto a quelli misurati nel Sistema di Sorveglianza. Questa sottostima dei decessi si è comunque molta ridotta e quasi azzerata da maggio fino a fine estate. Nei mesi più recenti i Sistemi di Sorveglianza stanno osservando un nuovo aumento dei decessi. A breve sarà possibile valutare un eventuale eccesso di mortalità nei mesi autunnali/invernali tramite il confronto con i dati di mortalità Istat.
Confronto che abbiamo visto nei paragrafi precedenti.
In ogni caso, le “morti da COVID” non sono tutte le morti di pazienti COVID.
Un malato COVID investito da un’automobile o infartuato non è ovviamente un morto per COVID19.
Ma un cardiopatico, quindi sensibile alle polmoniti, che muore di polmonite interstiziale causata da COVID19, ovviamente è un “morto da COVID”. Purtroppo.
E quindi? Cosa concludi?
Concludo quello di cui abbiamo parlato all’inizio.
I Dati Istat sulla Pandemia dimostrano che siamo nel pieno di una Pandemia.
Possiamo uscirne: ne abbiamo gli strumenti.
Abbiamo un programma vaccinale in atto, abbiamo un sistema di monitoraggio che, facendoci furbi, potrebbe consentire lockdown e interventi mirati e non onerosi sul tessuto sociale come l’ultima risorsa del lockdown totale.
Soprattutto abbiamo la vaccinazione.
Quello che non abbiamo è tempo da perdere per inventarci scuse per restare lì a farci belli sperando che la Pandemia vada via da sola atterrita da click e condivisioni.
Non accadrà.
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