Hong Kong e lo scoppio di una crisi: storia, fatti e ultimi aggiornamenti
Il 28 maggio il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo ha approvato la Legge sulla Sicurezza Nazionale, successivamente firmata dal Presidente Xi Jinping e operativa dal 1 luglio. Quanto contenuto nella norma si appresta a diventare uno spartiacque nelle relazioni diplomatiche tra la Cina da una parte e UK e USA, in primis, dall’altra.
L’elemento cardine di quanto previsto dalla legge è l’estensione della giurisdizione cinese, relativa alla estradizione di persone ree di determinati crimini, non più alla sola Cina ma anche ad Hong Kong. La legge è stata infatti inserita all’interno della “mini-costituzione” di Hong Kong, la Basic Law. I crimini in questione riguardano attività di collusione con potenze straniere, atti di sovversione o azioni volte alla secessione di Hong Kong dalla Cina, di fatto rivendicando il diritto di accusare ed estradare politici, dissidenti ed attivisti indesiderati. Sebbene il leader politico di Hong Kong, Carrie Lam, abbia cercato di sminuire gli effetti della legge, specificando che i soggetti destinatari sono solo una piccola minoranza rispetto al popolo hongkonghiano, le conseguenze sono di portata molto più vasta. Ciò a cui stiamo assistendo è la messa in discussione del principio “one country, two systems”.
Apriamo una rapida parentesi storica, necessaria per comprendere la nascita della HKSAR (Hong Kong Special Administrative Region).
Dopo le due Guerre dell’Oppio nella prima metà del 1800, la regione di Hong Kong divenne una colonia britannica ininterrottamente fino al 1997 quando, in seguito a complessi negoziati avvenne la restituzione da parte del Regno Unito alla Cina. Il territorio di Hong Kong divenne una Regione Amministrativa Speciale, attraverso la creazione del principio “uno stato, due sistemi”. Gli accordi raggiunti prevedevano il mantenimento dello status economico e politico di Hong Kong per 50 anni, ovvero fino al 2047.
Durante l’amministrazione britannica fu applicato nella regione il sistema economico, sociale e culturale prettamente occidentale con un’apertura ai sistemi capitalistico, democratico e giuridico anglosassone (basato quest’ultimo sul principio della Common Law). Queste notevoli differenze che si sono via via formate nel corso del tempo rispetto al modello cinese rappresentano al giorno d’oggi un caso peculiare di conflitto culturale.
Si può ora comprendere quanto complicata sia la questione e quanto lontana sembri una soluzione non-violenta. Le proteste dei movimenti pro-democrazia infatti si susseguono da anni sebbene solo nell’ultimo anno abbiano visto una decisa escalation.
In base alle dichiarazioni di Nathan Law (leader del “movimento degli ombrelli”, nato nel 2014 per denunciare politiche di ingerenza cinese a seguito di importanti proteste) già dal primo giorno di attuazione della Legge sulla Sicurezza Nazionale sono stati effettuati arresti in massa da parte delle autorità. A causa del suo attivismo Law è stato costretto a lasciare Hong Kong, mantenendo comunque l’obiettivo di persuadere l’opinione internazionale riguardo alla gravità dell’espansione autoritaria cinese e all’importanza di isolare diplomaticamente la Cina.
Intanto sul fronte internazionale il 3 luglio il Canada e il 9 luglio il governo australiano ha deciso di sospendere l’accordo di estradizione con Hong Kong. La risposta continua a essere l’intimazione a “non interferire negli affari cinesi”.
Il nostro paese ha invece deciso di mantenere un assordante silenzio mediatico sulle questioni di Hong Kong, in particolare riguardo alla negazione dello stato di diritto e ai soprusi perpetrati dalle forze dell’ordine che, forti dei nuovi poteri ottenuti grazie alla NSL, cercano di eliminare le proteste di chi non si arrende alle ingiustizie cinesi. A contrapporsi a questa mancanza risulta stridente la chiara e imperativa denuncia nei confronti della riapertura dei mercati popolari cinesi, dove si commerciano animali da compagnia ad uso alimentare. Il messaggio che traspare è lampante: i diritti di cani e gatti hanno priorità rispetto a quelli di una popolazione vittima di prevaricazioni e violenze.
Non è un segreto che il nostro governo da anni ormai abbia avviato politiche di avvicinamento alla Cina attraverso finanziamenti di infrastrutture e nuovi accordi commerciali che rendono l’Italia uno dei paesi europei più legati al governo di Xi Jinping, in barba alla linea comune europea. La prima conseguenza è ovviamente trovarsi con le mani legate in situazioni di denuncia internazionale, impossibilitati a prendere posizione.
Un rapido aggiornamento sui fatti degli ultimi giorni: l’11 e il 12 luglio si sono svolte le primarie all’interno del Partito Pro-Democrazia con un’affluenza molto elevata (parliamo di 600.000 votanti, il triplo rispetto alle attese degli organizzatori stessi) nonostante le pressioni da parte della polizia verso i manifestanti vicini al partito e al contestuale aumento di casi di Covid-19. Un simile risultato fa ben sperare per una possibile maggioranza all’interno del governo, tale da imporre forti pressioni sull’attuale governante Carrie Lam.
Come pensi si evolverà la situazione? Quale credi possa essere la strada migliore per evitare una crisi internazionale?
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