GUIDA UTILE I profili legali della bufala – bufale.net

Molti, troppi utenti, ritengono che l’arte del viralizzatore sia, sostanzialmente, un crimine senza conseguenze. Qualcosa che “tutti fanno, figurarsi se beccano uno come me”, “tutti quelli che condividono la buffala li arrestano?” ma, quando le cose si mettono male, ecco che sui giornali timidamente compare il condivisore incauto triste e affranto a causa delle conseguenze della sua Indinniazione.

Perché condividere una bufala non fa male solo alle presunte vittime, ma anche a chi condivide.

Facciamo una carrellata non esaustiva, e di certo con pretesa di surroga ad analisi ancora più approfondite e da valutarsi caso per caso dei principali tipi di bufale senza conseguenze

Naturalmente, in questo piccolo elenco non inseriremo le truffe conclamate, come il Phishing e la Romance Scam, delle quali vi abbiamo già parlato approfonditamente

La bufala allarmista

Esempi: Il prodotto X contiene dei veleni!!! La stampa ci nasconde un piano di sterminio per ucciderci tutti mediante [inserire oggetto/cosa o sostanza diffusa]”, “Scandaloso, siamo tutti in pericolo e ci nascondono questa cosa, moriremo tutti se non condividerete questa cosa che è pericolosa CLICCA QUI!!”

Reato compiuto: Procurato allarme presso l’autorità, artt. 656 c.p. e 658 c.p.

Sostanzialmente, questo tipo di bufala è l’equivalente del “gridare aiuto, aiuto è scappato il leone e vedere di nascosto l’effetto che fa”, ed è punito sia sotto il profilo del viralizzatore che dell’Indinniato che ne rilancia scampoli di testo o le idee in esso contenuto.

Il Viralizzatore si imbatte nell’art. 656 c.p., che prescrive

Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.

Ed è, come ricorda la giurisprudenza, un reato di mero pericolo.

Per i non usi al legalese, significa che non è necessario che la turbativa dell’ordine pubblico si giustifichi. Non è infatti necessario che il viralizzatore che scrive Ci stanno nascondendo un pericolo gravissimo e sordido che ci ucciderà, veleno nei cibi, farmaci mortali, commando di coccodrilli bianchi assassini che escono dalle fogne per uccidervi tutti vestiti da Rambo!!! Condividete al MAX o morirete!! ottenga l’effetto di avere centralini e commissariati presi di assalto da Indinniati preoccupati, ma semplicemente che questo evento possa avvenire.

Esempio classe 1996, citato dal Portale “La Legge per Tutti” fu fornito da un protoviralizzatore che, in tempi ancor precedenti ad Internet, si rivolse ai giornali per caldeggiare la pubblicazione di un breve testo falsamente autobiografico in cui millantava l’esistenza di una gang di usurai che, come lo Shylock di Shakespeare, accettava pagamenti in organi e libbre di carne.

E se il turbamento non ha forma di notizia? Ad esempio, come nel triste evento di Piazza San Carlo, a Giugno, dove un ragazzo è stato accusato di aver diffuso la notizia di un attentato bombarolo suscitando il panico, oppure il caso ancora precedente di una madre di famiglia che, per terrorizzare sua figlia e spingerla a rispettare il coprifuoco, inventò un imminente attentato terroristico che casualmente avrebbe colpito i giovani disobbedienti nei luoghi della Movida.

Scatta il simile reato di procurato allarme presso l’autorità

Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio [358], è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da dieci euro a cinquecentosedici euro.

Anche esso tipizzato nel momento in cui l’autorità viene interessata da un allarme chiaramente inesistente.

Dall’esempio della bufala dell’usuraio possiamo comprendere come anche le Bufale del Giustiziere, tese a creare allarme sociale inventando la falsa emergenza di crimini orrendi e nefandi per poi indulgere nella grafica descrizione del sommario linciaggio dei criminali con puerile compiacimento, possano rientrare agevolmente nella fattispecie.

La bufala diffamatoria

Esempi: Guardate questo tizio! Questo tizio è un hacker pedofilo! Questo tizio è uno che vota il partito opposto al vostro, quindi è un ladro ed un farabutto! Guardate questa donna! È amica degli stranieri e dovete violentarla, dovete farle del male, dovete ucciderla!! Guardate questa persona e sputatele in faccia! Guardate questo personaggio! Potrebbe aver detto questa cosa, e se fosse vero che ha detto questa cosa dovremmo internarle! Guardate questa faccia, è un bastardo cattivo che deve morire!! Guardate questa donna, ha detto delle cose brutte del partito mio e quindi dobbiamo subito punirla

Reato compiuto: Diffamazione aggravata dal mezzo, art. 595 c.p.

Sulla diffamazione non ci sarebbe molto, se non che ipso facto, il solo fatto di aver usato i Social rende tutto più grave e difficile.

Si applica il dettato dell’art. 595 c.p.

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [2699], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate.

Va tenuto infatti conto che se l’inguria, ovvero l’offesa all’onore ed alla rispettabilità di una persona proferita verso quella persona è stata recentemente depenalizzata, non così è stato per la diffamazione, reato che scatta nel momento in cui porti quell’offesa “all’esterno”, diffondendola su una ampia platea, quindi comunicando con più persone.

Ed è per questo che l’Ordinamento la vede di malocchio: se il bene leso è l’onore ed il rispetto di una persona, coinvolgere un numero di persone elevato rende tale lesione decisamente più grave e compromettente, ed usare un mezzo come i Social, che con pochi click consente di raggiungere più persone che la pubblicazione di una rivista costringe l’ordinamento ad applicare non solo al viralizzatore primo, ma anche agli Indinniati al seguito una pena ulteriormente aumentata.

Tale dettato si applica non solo alla bufala in sé, ma al codazzo di commenti.

Ipotizziamo dunque che appaia una bufala contro un famoso personaggio politico. Noi di bufale.net pubblichiamo, e nei commenti appare un Indinniato a lasciarci cose tipo:

Chi vi paka? Vi paka il politiko a voi? Vi paka la kasta? Siete tutti bastardi voi che commentate, vi ammazzo tutti perchè siete questo e quello

La punibilità, evidentemente, si applicherebbe anche al nostro amico indinniato

La bufala “safari”

Esempi: Guardate questo del quale ho fatto una foto! Deve essere sicuramente un ladro/un farabutto/una “risorsa che ci ruba i soldi”/ qualcuno che è losco, diffondete la sua foto al max!!! Guardate questa donna bruna con un figlio biondo, l’ha rapito! Ne sono certo!

Reato compiuto: Diffamazione aggravata dal mezzo, art. 595 c.p. – Art. 167 d.lgs. n. 196/2003

È fatto vero ed assodato che nessuno può farvi niente se scattate una fotografia ad un soggetto a caso che si trova sulla pubblica via. Ad esempio: fate foto ad una folla ad un concerto, fate foto ad un monumento e ci sono delle persone.

Quello che non potete fare è correre a pubblicare la foto di quelle persone come tanti indinniati speciali senza aver raccolto le dovute autorizzazioni del caso.

Il carico da novanta lo aggiungono le risibili motivazioni alle spalle della “bufala safari”: nel momento in cui, inquadrato il vostro soggetto, decidete di arricchire la vostra abusiva creazione artistica di didascalie come “Questo è un ne**o della città X che ruba i vostri i soldi” o “Queste tre donne sono tre sorelle furbissime, son tre ladre abilissime molto sveglie agilissime siete allegramente ricaduti nel caso 2, ovvero diffamazione aggravata dal mezzo, perdipiù commessa con scatti di cui non avete alcuna autorizzazione.

È comunque vero che, ai sensi del citato art. 167

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi,

2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni.

E quindi il nocumento è condizione di punibilità: per essere sanzionato per aver diffuso uno scatto rubato, devono esserci il danno patito o il profitto.

Ma è anche vero che la giurisprudenza, vedi Trib. Firenze sent. n. 3307/2015, tende ad allargare il concetto di danno patito

La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 167, D.Lgs. n. 196 del 2003 costituisce reato di pericolo concreto, in relazione al quale l’elemento della produzione del nocumento integra condizione di punibilità della condotta, di talché la stessa non è penalmente perseguibile nell’ipotesi in cui il trattamento dei dati personali, seppur avvenuto senza il consenso dell’interessato, non abbia prodotto alcun danno a carico dello stesso. Il nocumento, a tali fini, deve essere inteso come relativo sia alla persona del soggetto cui dati personali si riferiscono, sia al suo patrimonio, in termini di perdita patrimoniale o di mancato guadagno, derivante dalla utilizzazione non consentita dei dati personali. Il trattamento illecito dei dati personali, pertanto, per essere penalmente perseguibile, deve essere caratterizzato dal dolo specifico e comportare la produzione del nocumento.

Spingendo il nocumento fino al concetto di turbamento, come riportato da La Legge per Tutti

La legge sulla privacy [1], a riguardo, punisce con la reclusione fino a due anni chi esegue un illecito trattamento di dati personali tramite internet. È proprio il caso di chi pubblica la fotografia del volto di un altro soggetto senza il suo consenso. La legge richiede che lo scopo della pubblicazione sia quello di trarne profitto e di arrecare un danno alla vittima, ma questa espressione è stata interpretata in senso lato dalla giurisprudenza, secondo cui è sufficiente – ai fini del reato – un semplice fastidio o un turbamento alla vittima. Insomma, il penale scatta anche senza che vi sia un danno di natura patrimoniale [2].

La norma ha trovato ampia applicazione in tutti i casi di diffusione non autorizzata di fotografie o video a mezzo WhatsAppSnapchatFacebook Youtube. I social network, infatti, nati proprio per la condivisione dei contenuti, sono anche il terreno fertile per questo tipo di reati. Il che denota anche l’assenza di cultura giuridica – oltre che di sensibilità – da parte di questa società, affacciatasi a un mezzo pubblico con inesperienza e incapacità di comprendere le problematiche sottese ai dati altrui.

Per spiegarci: il disagio che io, o una vittima del “safari Indinniato” può provare nel vedere la sua foto data in pasto ad estranei può essere sufficiente alla persona ritratta per contattare il fotografo chiedendo la rimozione della foto stessa e, in diniego, attivarsi per la rimozione.

Sicché siamo in una zona grigia: posso sempre scattare foto pubbliche, anche con persone, posso, talvolta, pubblicare uno scatto “innocente” sapendo che nel momento in cui il ritratto vorrà chiedermene ragione dovrò rimuovere, ma non posso mai e poi mai pubblicare con didascalie ingiuriose e irrispettose le vittime del mio safari fotografico, senza rischiare di risponderne sia in sede civile che penale.

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