«Di fronte a questo la scienza si ferma». È una frase che avremo sentito una marea di volte; la scienza si ferma di fronte a tante cose, spesso per niente entusiasmanti, se non per gli addetti ai lavori. La scienza si ferma di fronte all’indeterminazione di Heisenberg, al capire cosa sia esattamente ‘sto caspita di Bosone, eccetera. Non si ferma invece quando vediamo cose che ci sembrano incredibili al primo impatto, poi se analizzate attentamente ci accorgiamo non solo che la scienza davanti a loro non si è fermata, ma che addirittura manco se li fila, perché esistono già montagne di spiegazioni che da sole rappresentano una doccia fredda ai Mulder e Scully che vivono in noi – non rinunciatevi, mai, purché siate sempre disposti a rivedere le vostre posizioni iniziali.
Nel giugno 1936 Max Edmond Hahn e sua moglie Emma Zadie Hahn, camminando per il Red Creek, (Texas) avvistarono un pezzo di roccia con un manico di legno conficcato fuori di esso. Qualche tempo dopo il loro figlio George ruppe la roccia, rivelando che si trattava di un martello. Non solo, all’interno vi erano anche dei molluschi, per niente fossilizzati. Il martello era chiaramente di recente produzione, molto probabilmente appartenuto ad un cavatore di inizio ‘900, che cadde in una cascata sul Red Creek.
Non per il creazionista Carl Baugh della associazione Young Earth. Baugh acquistò l’oggetto nel 1983 presentandolo come il London Artifact esponendolo nel suo Creation Evidence Museum, inaugurato nel 1984.
Si tratta di una concrezione di carbonati disciolti, che poi si sono “cementificati” come l’acqua è evaporata. Hans-Joachim Zillmer analizzò la parte metallica riscontrando che fosse composta per il 96,6% da ferro e per il 2,6% da cloruri di zolfo. Questi dati sono stati strumentalizzati dai creazionisti sostenendo che non potessero esistere strumenti con una purezza simile. In realtà l’acciaio contiene normalmente percentuali più elevate di ferro, circa il 98-99,8%. Infine si contestano tracce “anomale” di carbonizzazione nel manico. Si tratta, non di meno, di un processo che può accadere a sostanze vegetali, in particolare il legno, per riscaldamento.
Ogni dubbio potrebbe essere fugato facilmente facendo una analisi del C14 al manico o ai molluschi presenti nella concrezione. Peccato che Baugh non lo permette. Per approfondire potete leggere due articoli sull’argomento, il primo di Bad Archaeology, ed il secondo di Paleo.cc.
Sulla OOPArt – a partire dalla questione del London Artifact – parlo anche nel Canale YouTube di Montaigne.
La storia, tra vari copia-incolla è la seguente:
«Attualmente è accettato dalla scienza e dalla geologia che il carbone è un sottoprodotto della vegetazione in decomposizione. La vegetazione viene sepolta nel tempo e ricoperta di sedimenti. Questi sedimenti infine, fossilizzati, diventano roccia. Questo processo naturale di formazione del carbone può richiedere fino a 400 milioni di anni per compiersi. Tutto ciò che si trova nei pezzi di carbone o in giacimenti di carbone, doveva essere stato immesso o lasciato cadere nella vegetazione prima che fosse sepolta nei sedimenti. Nel 1944 un bambino di dieci anni, Newton Anderson, lasciò cadere un pezzo di carbone nella sua cantina, che si spezzò a metà appena colpì il pavimento. Quello che c’era all’interno sfida ogni possibile spiegazione basata sull’attuale ortodossia scientifica. All’interno del carbone c’era una campana artigianale in lega di ottone con il batacchio di ferro e il manico scolpito. Quando è stata condotta l’analisi si è scoperto che la campana è stata fatta con un mix di metalli inusuali (comprendenti rame, zinco, stagno, arsenico, iodio, e selenio), diverso da ogni lega nota di produzione moderna. Lo strato da dove questo pezzo di carbone è stato estratto è stimato a 300 milioni di anni di età! Queste scoperte straordinarie, anche se bizzarre, non sono uniche né addirittura rare. Ce ne sono letteralmente migliaia, bloccate dal controllo pubblico nei sotterranei dei musei di tutto il mondo a raccogliere la polvere».
La storia del Vaso di Dorchester comincia nel 1852 a seguito di un articolo apparso sul Scientific American, riferendosi ad un altro pezzo pubblicato dal Transcript di Boston. Anche di questo caso si sono occupati i colleghi di Bad Archaeology. Il metallo di cui è fatto l’oggetto – comparso solo in tempi recenti – sembrerebbe essere zinco o una lega d’argento. Stando a forma e decorazioni è stato identificato come un banale sostegno per pipa indiano, come quelli ch’è possibile ammirare al Museo del Principe di Galles a Mumbai, come documentato in questo blog francese. Per quanto riguarda la storia del carbone, non esistono evidenze al di là di due articoli di metà XIX Secolo. Di esempi simili se ne potrebbero elencare a iosa.
Se il London Artifact è una bufala vecchia, di più recente diffusione è la storia del rinvenimento del corno di Triceratopo datato 33mila anni. Sono tante le lacune che possono far cadere in fallo un incauto blogger. Lasciando perdere il fatto che nessuno conosce il genoma di un Dinosauro, oltre a questo è impossibile che un elemento organico del genere possa essere sopravvissuto senza l’aiuto della fossilizzazione, fenomeno che rende impossibile la permanenza di organicità. Non si tratta propriamente di OOPArt (Out Of Place ARTifacts) in quanto non parliamo di oggetti ma di esseri viventi; questo come altri casi, si lega alle tesi creazioniste ed ai musei che si prefiggono di divulgare il negazionismo dell’evoluzionismo.
Un artefatto molto suggestivo è la protesi rinvenuta nella mummia del sacerdote egizio Usermortu. Qualcuno è riuscito a evincervi conoscenze mediche avanzate da parte degli Egizi. Per quanto in una grossolana vite piantata in un ginocchio si fatica a vederle. Del resto le protesi hanno una forma ben diversa, dettata dall’esigenza di poter piegare le gambe ed evitare ulteriori danni alle ossa. Ci avviciniamo così sempre più alle tesi riguardanti la visita di Antichi Astronauti. Non sembrando sufficiente applicare la naturale pareidolia ad artefatti sudamericani che sembrano indossare una tuta spaziale, c’è chi lavora di fotomontaggio, mostrandoci una statuetta Maya con tanto di QR Code.
Esiste comunque uno strumento che sembra realmente anacronistico, senza che la pareidolia c’entri più di tanto. Veniamo quindi al “misterioso” Meccanismo di Anticitera. Il congegno meccanico trovato nel 1902 nell’omonima isola continua ad affascinarci, qualcuno sostiene che sia la prova dei viaggi nel tempo. Rinvenuto tra i resti di una nave del Primo Secolo AC, il meccanismo colpisce per il suo aspetto anacronistico, dando realmente l’idea che qualche Time-traveler si sia perso l’orologio tra un balzo temporale e l’altro. Ricostruito in parte e studiandone l’ipotetico funzionamento è stato scoperto che si trattava effettivamente di un meccanismo a orologeria che rappresentava il moto dei pianeti attorno al Sole. Quel che stupisce è proprio il fatto che il suo costruttore conoscesse già l’eliocentrismo, in un’epoca in cui tutti avrebbero dovuto credere ancora al geocentrismo.
In realtà la teoria eliocentrica era già nota, da ben tre secoli prima che qualcuno costruisse quell’aggeggio. Basti pensare agli studi compiuti da Aristarco di Samo. Il grande scienziato greco venne menzionato dallo stesso Giacomo Leopardi nella sua Storia dell’Astronomia:
«Altro astronomo greco fu Aristarco, vissuto, come credesi, verso il 264 avanti Gesù Cristo, benché considerevolmente più antico lo facciano il Fromondo e il Simmler presso il Vossio, ripresi però dal Fabricio. Di lui fecer menzione Vitruvio, Tolomeo e Varrone presso Gellio nel quale, in luogo di Aristide Samio, è da leggersi Aristarco. Egli determinò la distanza del Sole dalla Terra, che egli credé 19 volte maggiore di quella della Terra medesima dalla Luna e trovò la distanza della Terra dalla Luna, di 56 semidiametri del nostro globo. Credette che il diametro del sole fosse non più che 6 o 7 volte maggiore di quello della Terra e che quello della Luna fosse circa un terzo di quello della Terra medesima. Fu dogma di Aristarco il moto della Terra, ed egli, per tale opinione, reputossi da Cleante reo di empietà, quasi avesse turbato il riposo dei Lari e di Vesta. Sembra che Plutarco asserisca essere stato Cleante e non Aristarco il fautore del moto della Terra, così leggesi nel suo libro de facie in orbe Lunae».
Resta il fatto che l’oggetto ha un aspetto molto moderno rispetto all’idea di tecnologia che ci viene in mente quando pensiamo agli antichi. In realtà anche questo è un luogo comune che possiamo mettere a congedo approfondendo. Nella stessa epoca a cui risale il Meccanismo visse Erone di Alessandria, il quale è noto nella Storia della Scienza come grande costruttore di meccanismi paragonabili a quelli che vedremo in Europa solo a partire dal XVIII secolo.
Il Meccanismo di Anticitera, più che confermare l’esistenza di presunti crononauti o Anunnaki venuti a esportare le loro conoscenze nella Galassia, è un elemento in più che dimostra come non bastino solo gli ingegneri a fare una rivoluzione industriale. I Greci erano arrivati anche a conoscere i principi della macchina a vapore; non di meno, la loro società ed economia si basava sul lavoro degli schiavi e i materiali metallici erano molto costosi in quanto servivano per produrre soprattutto le armi.
L’anno scorso mi imbattei in un curioso caso di time-traveler campani. Del resto, se la Macchina del Tempo un giorno verrà inventata, perché non dovremmo essere visitati, già oggi, da turisti o scienziati provenienti dal futuro? In una foto scattata negli anni ’50, durante una festa in Piazza Annunziata di Marcianese (Caserta) si notano tre persone che recano misteriosi apparecchi all’orecchio. Sembra la versione maccheronica della presunta crononauta che si vedrebbe in un filmato dove viene immortalata la Prima cinematografica di un film di Chaplin. In quel caso, come in altri analoghi, la risposta è molto banale: Si tratterebbe con tutta probabilità di un apparecchio acustico. Certo, non è impossibile, ma la presenza di almeno tre persone in una festa, tutte con problemi di udito ed intenti contemporaneamente ad usare il proprio apparecchio sembra abbastanza improbabile. Come mi fece notare allora un lettore, i personaggi nella foto stavano probabilmente ascoltando delle radioline. Erano in commercio già dal 1954 le Regency TR-1, si trattava dei primi apparecchi a transistor, abbandonando le vecchie valvole, permettendo di muovere i primi passi verso la miniaturizzazione tecnologica.
Snopes trattò invece il caso di un presunto crononauta canadese immortalato durante l’inaugurazione di un ponte nel 1941. L’abbigliamento e gli occhiali lo avrebbero tradito. In realtà non c’è niente di anacronistico negli oggetti che indossava. Erano tutti già esistenti all’epoca. Inoltre, perché avrebbe dovuto farsi vedere “conciato così” in mezzo a tanta gente?
In conclusione, non solo la pareidolia, ma anche i nostri preconcetti sul passato giocano insidiosi tranelli, facendoci vedere visitatori alieni o turisti temporali la dove invece si evincono le grandi potenzialità dell’ingegno umano, tutto questo ha comunque un fascino particolare, anche senza bisogno di scomodare gli Uomini in Nero o la De Lorean del Dott. Emmett L. Brown.
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