Mi è stato chiesto di spiegare brevemente il brutto pasticcio dei gamberi rossi della Louisiana, i cosiddetti “killer”; ci provo, nel modo più semplice e completo possibile.
Premetto che tutti i dati che elenco non sono miei: la fonte è un’inchiesta giornalistica di Damiano Fedeli, molto completa e ben fatta, dell’Aprile 2002. Qui il link: http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori2002/fedeli/index.htm
Fedeli racconta la storia proprio dal principio, nel lontano 1988, in quanto è vecchia e molto torbida, e lui vuole spiegare tutti gli aspetti; come molte altre storie di introduzione di specie alloctone sul territorio italiano di cui mi sono informata, non è perfettamente chiaro a chi venne la malsana idea di allevare questi animali (o meglio, si gioca un po’ a scaricabarile, da quel che capisco..) .
Frena un attimo e parla come mangi, mi dirà qualcuno: che acciderbola vuol dire specie “alloctone”? Spiegazione rapida: sono quelle specie animali che non appartengono ad un determinato ambiente, ma vi si trovano comunque, per un motivo non spontaneo (motivo spontaneo: vedi, ad esempio, la migrazione permanente).
Le specie che invece appartengono normalmentead un determinato ambiente sono dette “autoctone”. In Italia ed in Europa gli esempi di specie alloctone sono vari, lo scoiattolo grigio (origine nordamericana)e la nutria (origine sudamericana) sono solo due dei più conosciuti.
Ma torniamo ai nostri gamberi, che come ho scritto sopra, arrivano dalla Louisiana (profondo sud degli USA, da Google Maps).
Pare che furono introdotti in un allevamento, costruito senza permessi edilizi accanto ad un lago, che doveva essere inizialmente destinato ad una specie autoctona di anguille, in quel del comune di Massarosa, provincia di Lucca.
Tuttavia, a causa della struttura inadeguata delle vasche (erano pensate per delle anguille; è come preparare un recinto per delle cavie e metterci dentro una capra.. provateci, se volete vedere i vostri fiori sparire dal giardino, ma poi non dite che non vi avevo avvertiti) e dell’alluvione che colpì la Versilia nel 1992, i gamberi finirono nel lago, e da lì si espansero velocemente anche nei corsi d’acqua vicini. Già nel 1993 ci fu, racconta Fedeli, una vera e propria invasione di questi animali in quelle zone.
Al di là della vicenda legale, quello che vorrei farvi notare furono i danni alle colture provocati da questi animali, di cui Fedeli riporta l’eclatante esempio del coltivatore di fiori di loto, che si vide letteralmente sparire l’intero raccolto davanti. Roba da far concorrenza alle cavallette di Mosè.
Certo, c’è anche chi sta guadagnando, fa notare Fedeli: a molti pescatori locali l’abbondanza di gamberi va bene, anzi benissimo; ma d’altronde qualsiasi pescatore è felice di tornare a casa dal lavoro con le reti piene. Il problema più grosso è che il gambero rosso per questa economia è come la droga per un drogato: finché ne ha gli sembra di stare bene, ma appena dovesse essergli tolta, starebbe malissimo e non è detto che riesca a riprendersi.
Al momento della sua inchiesta, nel 2002, Fedeli spiega che ci sono dei predatori naturali nostrani che potrebbero aiutare a controllare la popolazione di gamberi, e parla di un progetto curato dal dottor Paolo Ercolini per favorire la reintroduzione di specie autoctone, come il luccio.
Tuttavia l’inchiesta di Fedeli termina lì. Le notizie successive e un po’ più recenti parlano di una situazione non risolta ed ormai estesa a molte altre regioni(così scrive Angela Feo, sul “Tirreno” nel 2010 http://iltirreno.gelocal.it/regione/2010/09/05/news/vorace-e-razziatore-il-gambero-killer-ora-domina-ovunque-1.2046747), per cui ormai si parla di un controllo della popolazione, più che di un’eradicazione; ammesso che ci siano i soldi.
Questa la situazione attuale dunque. Non proprio rosea, eh? Bene, ora in questa situazione di rischio per le nostre specie, prendete un po’ di persone che di biologia non sa nulla, di biodiversità, specie autoctone ed alloctone manco che manco, il gambero rosso della Louisiana lo trova carino, e che pensano alla natura nella realtà come a quella natura finta tipica del buonismo dei film Disney, o dei film americani di serie Z sugli animali, quelli di cui fanno la replica ogni anno, per capirci. Queste persone, animate certamente da quelle che per loro sono le migliori intenzioni, si incaponiscono a voler “salvare” i gamberi ed altre specie ittiche che si trovano in alcuni canali che andrebbero asciugati e ripuliti attorno a Milano, accusando “quei cattivoni” dei responsabili della bonifica di voler lasciar morire gli animali. E loro li mettono “in salvo”: ovvero prendono dei secchi, tirano su i pesci e i gamberi e dopo di ciò li scaricano nelle oasi protette.
ATTENZIONE QUESTO E’ SOLO UN PENSIERO SE FOSSI UNA GUARDIA FORESTALE ESPERTA NON UN’ACCUSA
Ora, se io fossi un volontario o una guardia forestale che lavora in una di quelle oasi, li avrei perlomeno rimproverati aspramente. Ecco cosa penserei. “Cioè, fatemi capire: io mi faccio un mazzo tanto per conservare l’oasi sana e pulita in mezzo allo schifo di inquinamento della pianura padana; io e i miei colleghi ci facciamo la gola secca per spiegare a più gente possibile che la biodiversità è importante, che le specie autoctone sono questa e quella e che queste specie vanno protette, mentre le specie alloctone no, non vanno bene, sono come alieni invasori e fanno danni, tanti danni, soprattutto a quelle specie autoctone che vogliamo proteggere….e questi mi vengono a scaricare in acqua così alla cippalippa specie alloctone, oltretutto senza controllare se hanno parassiti o malattie, autoproclamandosi pure “salvatori” degli animali?!? Ma salvatori di che? Del gambero rosso? Ah beh, grazie, è una specie invasiva e aggressiva, con pochi nemici naturali, visto che è aliena, ne sentivano proprio la mancanza i pesci di qua, saranno felici di vedersi mangiare le uova da queste cavallette acquatiche; per non parlare dei piccoli gamberi nostrani. E magari fino a quel momento noi c’eravamo sbattuti per tenerli fuori almeno dall’oasi protetta, questi maledetti gamberi sudisti. Grazie proprio, eh.”
Fine dell’immedesimazione. Si capisce, spero, il succo della faccenda. C’era un detto, una volta: la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Se volete fare qualcosa per l’ambiente, prima informatevi che sia la cosa giusta da fare presso qualche esperto (cioè presso gente che si fa un mazzo così a studiare biologia, non qualche fondamentalista che ha visto un paio di film): se decidete di agire, è vostro dovere e vostra responsabilità farlo in scienza e coscienza, come farebbe un bravo medico.
Altre informazioni sui danni e le catastrofiche conseguenze le trovate grazie all’ottimo articolo di Giulia Corsini: http://www.nextquotidiano.it/loperazione-salvataggio-pesci/
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