Spesso ci siamo chiesti come è possibile che bufale palesemente inventate ed articoli totalmente privi di fondamento diventino cosi facilmente virali e vengano condivisi da migliaia di persone sui social?
La maggior parte delle notizie false che circola in rete è spesso una raccolta di nomi grotteschi, leggi inventate e situazioni talmente surreali, che dovrebbero far dubitare anche la mente più semplice della loro autenticità eppure questi articoli, diffusi dalle testate più improbabili (clicca qui per andare alla Balck List dei principali siti bufalari della rete), diventano spesso virali in pochissimo tempo.
Siamo davvero cosi stupidi e creduloni? In realtà quello che accade quando ci troviamo difronte a questi link dai titoli eclatanti è qualcosa di molto più “istintivo” che non legato al “raziocinio” e perfettamente in linea con le dinamiche di utilizzo della rete.
In rete il tempo dedicato ad ogni azione è poco e tutto avviene in maniera molto veloce. In quest’ottica la maggior parte degli utenti considera uno “spreco di tempo” leggere tutto l’articolo e considera il titolo una sorta di riassunto che fornisce le informazioni più importanti da sapere.
Secondo un recente studio condotto dalla Columbia University insieme a Microsoft Research, all’Istituto nazionale francese di ricerca in informatica 7 link su 10 non saranno mai aperti da chi li ha condivisi su Facebook. In pratica lo studio ha dimostrato che quasi il 60% degli utenti di Twitter non legge gli articoli che condivide, limitandosi a leggere il titolo.
Questa percentuale sale paurosamente al 70% degli utenti di Facebook, che si lasciano attrarre anche dalla foto che fa da copertina all’articolo:
Sei link su dieci fra quelli rilanciati e condivisi su Twitter sono destinati a non essere mai cliccati. In altre parole, gli articoli e i contenuti a cui rimandano non verranno mai letti o fruiti in alcun modo. Spesso neanche da chi ha retwittato quella specifica Url. Su tante notizie importanti le opinioni si costruiscono dunque in base ai titoli, non su altro. L’indagine spiega in questo modo anche la proliferazione di bufale, di contenuti di scarsa qualità legati solo all’efficacia del titolo (sharebait e in misura minore clickbait) e di straordinari falsi.
Stando ai risultati il 59% dei link condivisi sul social dell’uccellino non è mai stato cliccato.
A dimostrazione del fatto che le condivisione ceca di notizie non è legato alla preparazione culturale degli utenti c’è questo studio condotto dal sito satirico “Science Post”, portale destinato ad un pubblico di ricercatori, studiosi e persone che gravitano nel mondo universitario:
Il sito satirico “Science Post” lo scorso 4 giugno ha pubblicato un banale contenuto riempito del solo “lorem ipsum”, cioè del famoso testo latino segnaposto senza senso storicamente utilizzato come riempitivo, traghettato però da un titolo intrigante e a sua volta sarcastico: “Studio: il 70% degli utenti di Facebook legge solo i titoli degli articoli scientifici prima di commentare“. Quasi 48mila persone hanno condiviso quel contenuto vuoto confezionato come una clamorosa presa in giro social.
Questo comportamento da utente 2.0 permette grazie a titoli eclatanti e ad immagini shock il proliferare delle bufale.
Non limitiamoci quindi a leggere solo i titoli degli articoli che ci incuriosiscono, ma spendiamo 1 minuto e mezzo (ovvero il tempo medio necessario a leggere un articolo di una testata on line accreditata) per leggere tutto l’articolo, verificarne la fonte e magari capire che ci troviamo di fronte ad una bufala.
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