Quando si visita un sito web si potrebbe pensare che i contenuti presenti nella pagina siano gli stessi mostrati anche alle altre persone che navigano in rete, ma non è affatto così. La differenza di contenuti è dovuta agli algoritmi che tengono traccia di tutta la nostra attività online, processando i dati e mostrando solo quelli più adatti alle nostre preferenze. Questa selezione di dati da parte degli algoritmi, su cui si basano le più grandi società di social media, può portare alla creazione di una filter bubble (tradotto bolla di filtraggio).
Questo termine, coniato dall’attivista di internet Eli Pariser nel suo libro, indica una situazione in cui la nostra attività online finisce per essere ristretta a uno spazio limitato dove tutti i contenuti che incontriamo sembrano essere perfettamente in linea con i nostri gusti e le nostre certezze. Ci troviamo in una bolla ogni volta che siamo circondati solo da punti di vista e opinioni con cui siamo d’accordo, e di conseguenza veniamo isolati dalle altre prospettive e informazioni che potrebbero sfidare o ampliare la nostra visione del mondo.
Una domanda nasce spontanea: come si può uscire da questa bolla?
Questi tipi di algoritmi sono diventati ormai parte integrante di internet, rendendo di fatto quasi impossibile riuscire ad evitarli quando accediamo a contenuti online. Ma ci sono alcune accortezze che possono arginare almeno parzialmente questo problema come, ad esempio, l’eliminazione dei cookie salvati sul nostro computer, l’utilizzo di motori di ricerca che non tracciano gli utenti (es DuckDuckGO, QWANT) o semplicemente leggere siti di notizie e blog che mirano a fornire un’ampia gamma di prospettive. La cosa più importante, tuttavia, è tenere sempre ben presente l’esistenza di questi filtri mentre navighiamo, in modo da esserne influenzati il meno possibile.
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