Giustizia, corruzione e indipendenza dei media: che anno è stato per l’Italia?
L’anno che si è appena concluso sarà ricordato a lungo come l’anno in cui ciascuno di noi è stato chiamato a rivedere le proprie abitudini e i propri stili di vita. Il 2020, politicamente parlando, è stato l’anno in cui la crisi pandemica ha portato i paesi dell’Unione Europea a trovare una nuova unità, al netto delle divergenze tra i diversi Stati, e ad approvare il Next Generation EU. D’altronde, di Europa si è a lungo parlato alla fine dello scorso anno quando è stato raggiunto “a livello dei negoziatori” un accordo sulla Brexit che deve essere approvato dalle istituzioni comunitarie, ma di Europa si parlerà ancora a lungo nel 2021 non solo perché concretamente quel Next Generation EU deve essere applicato, ma anche perché la Commissione, lo scorso dicembre, ha approvato lo European Democracy Action Plan, ossia un piano d’azione per rafforzare le democrazie europee prevedendo delle misure atte a garantire elezioni libere e democratiche, a contrastare la disinformazione mediante la lotta alle fake news, a garantire una forte partecipazione democratica alla vita politica dei Paesi membri e a supportare l’indipendenza e la libertà dei media.
Considerato che a questo piano d’azione si accompagna l’implementazione della rule of law, del rispetto dei principi dello Stato di diritto in tutta Europa, vista la centralità che questo argomento assumerà nel 2021, è bene capire sotto tale profilo che anno sia stato per il nostro Paese andando ad esaminare i rilievi che la Commissione europea ha messo in evidenza esaminando l’ordinamento italiano nel report annuale riferito al 2020.
Primo rilievo: ordinamento giudiziario
In primis, l’esame parte dall’ordinamento giudiziario, la cui garanzia di indipendenza e autonomia trova posto in Costituzione ma la cui percezione è troppo bassa: l’indipendenza è avvertita come effettiva solo dal 31% dei cittadini e dal 36% delle imprese, e questo a causa delle pressioni e delle interferenze esercitate dal potere politico e da portatori di interessi economici o altri interessi specifici. A tal proposito si evidenzia anche la mancanza di una legge che disciplini l’attività politica dei magistrati, arrivando a prendere in considerazione anche la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura recentemente al centro delle cronache politico-giudiziarie. Sotto il profilo dell’efficienza, la Commissione rileva che, sebbene vi sia stata una riduzione della durata dei processi nel 2019, questa è ancora insufficiente, con tempi troppo alti. Unica eccezione è costituita dal settore degli appalti pubblici e dalla digitalizzazione che ha evitato comunque una completa paralisi dell’attività giudiziaria durante la pandemia. Viene auspicata una maggiore efficienza del sistema mediante il ricorso ai riti alternativi e l’aumento dei casi in cui il giudice può essere chiamato a decidere in composizione monocratica, anche se tale possibilità, dati alla mano, incide in modo non particolarmente penetrante sul numero totale dei processi.
Corruzione: si può fare di più (e meglio)
La Commissione si sofferma anche sul quadro Anticorruzione: a fronte dei progressi realizzati a partire dal 2012 con la creazione dell’ANAC, Autorità Nazionale Anticorruzione che nel corso degli anni ha visto accrescere i propri poteri, unitamente all’inasprimento delle sanzioni operato nel 2019, l’88% dei cittadini ritiene tale fenomeno diffuso contro il 71% della media UE. Va rilevato anche il positivo coordinamento dell’ANAC con i reparti preposti della Guardia di Finanza, con l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia e con la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo per l’accesso alle informazioni disponibili. Il dato allarmante riguarda quello degli enti locali, dei comuni nettamente più esposti al rischio, e mentre funzionano i sistemi di segnalazione di illeciti nel settore pubblico tali sistemi risultano invece meno efficaci nel settore privato, dove il tutto funziona solo su base volontaria. Le criticità maggiori stanno però nella mancanza di una legge organica sul conflitto di interessi, la cui disciplina è quindi frammentata, essendo rimessa alle categorie dell’inconferibilità e dell’incompatibilità, e nell’attenzione al lobbying e al fenomeno delle revolving doors: in particolare sul lobbying si rileva l’istituzione presso la Camera dei Deputati di un registro pubblico dei rappresentanti di interessi, a cui ogni persona fisica o giuridica che rappresenti interessi collettivi è tenuta ad iscriversi. L’obbligo si applica anche agli ex parlamentari ed ex membri del Governo, mentre ai membri del Governo non si applica un obbligo analogo di riferire sulle riunioni svolte con terzi.
Indipendenza dei media (?)
Ultimo profilo di analisi, a cui sono rivolti i rilievi maggiori, è quello riguardante il pluralismo dei media: “Desta preoccupazione – scrive la Commissione nel suo report annuale – l’indipendenza politica dei media italiani”, specie nel settore audiovisivo, il che rende il nostro Paese a medio rischio nonostante vi sia un quadro complessivamente trasparente sulla proprietà dei media. L’influenza politica continua ad essere notevolmente avvertita anche per quanto riguarda la carta stampata, a causa delle relazioni indirette tra gli interessi degli editori e il Governo, a livello non solo nazionale quanto anche locale. Uguale preoccupazione destano le minacce e le aggressioni ai giornalisti, con 12 segnalazioni rivolte all’Italia che ne fanno, anche sotto questo profilo, un Paese a rischio medio. Nota positiva è l’accesso alle informazioni pubbliche, in riferimento alla trasparenza amministrativa mediante il FOIA, Freedom of Information Act, che riconosce la libertà di accesso alle informazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche come diritto fondamentale e stabilisce il principio secondo cui le amministrazioni devono dare la precedenza al diritto di conoscere e di accedere alle informazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche da parte di chiunque, senza dover dimostrare alcun interesse qualificato in materia.
Si evidenza, infine, la mancanza di un Garante dei Diritti Umani e l’opera di delegittimazione del lavoro delle ONG, specialmente quelle che operano nel settore delle migrazioni e dell’asilo, pur nel contesto di una società civile molto vivace e diversificata.
Alla luce di queste osservazioni, riuscirà l’Italia ad intervenire su questi settori e risolvere tali criticità, anche nell’ottica di rivitalizzare e rendere più competitivo il proprio tessuto economico al fine di attrarre investimenti esteri nel periodo successivo alla crisi economico-sanitaria?
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