A volte, basta poco, davvero poco per rovinare la vita e la carriera di un artista e di un cantante. A prescindere da simpatie ed antipatie personali, ammesse e possibili, ci sono “voci” che è bene non alimentare.
Una volta, per celia e per burla, si sparse la voce che Marco Masini, all’epoca cantore della “malinconoia”, il disagio dell’adolescente anni ’90 che pure avendo l’agiatezza materiale viveva nel disagio emotivo, triste, abbrutito e depresso dalla sua incapacità di stabilire contatti umani con chi pareva più interessato al benessere economico ed al “figurare in società” era uno “uno sfigato”, come i suoi personaggi resi tristi e meschini dalla vita. Quella voce divenne poi “Masini porta sfiga”, e la sua carriera ne fu devastata per anni.
La stessa cosa è quasi successa con Gigi D’Alessio. La storia la conoscete: una macro riportante la frase “La camorra sarà anche sbagliata, ma ha aiutato le persone povere” è rimbalzata di pagina in pagina, attribuita a Gigi D’Alessio.
Su Internet si sa, il gioco delle attribuzioni è fallace. Internet è un mondo dove il rispettoso e signorile Pertini viene descritto come un rissoso cavernicolo violento e brutale che minaccia politici a caso di violenza “con mazze e bastoni” e si esprime con turpiloqui da scaricatore di porto ubriaco e ministri inventati discutono di problemi inesistenti: in questo mondo che un giovane cantante di Napoli parli bene della camorra è, appunto, solo un gioco. Un divertimento estivo, un modo di punzecchiare gli appetiti del lettore che legge “Napoli” e vuole sentire camorra. Reso possibile da un piccolo aiutino del gioco del “meme asceso”, dove una frase volutamente satirica ed ironica viene estrapolata dal suo contesto originale ed usata per partecipare al gioco.
In realtà lo stesso Gigi D’Alessio non ha fatto mistero di aver, in passato, scoperto in malo modo quanto la camorra sia parte della vita quotidiana di alcuni strati sociali della sua città di nascita , e di come per la malavita locale la performance dell’artista sia un bene di lusso da esibire e sfoggiare, ad ogni costo, al pari di un cellulare costoso o un’auto di pregio
“Dal ‘92 al ’96 facevo fino a 13 matrimoni al giorno. A Napoli le donne si sposano per scegliersi il cantante. Per la comunione di mia figlia chiamai Dalla, per mio figlio vorrei Pazzini. Ho suonato anche per qualche boss. Come Carosone, Cocciante, D’Angelo. Spesso non mi pagavano: un bacio e via. Alla camorra ho regalato un mucchio di canzoni: ero obbligato. Se dicevo ‘no’ chi mi proteggeva? Anche i giornalisti ci vanno. E al mattino ricevono il cachemire”.
Ma da qui ad attribuirgli frasi e simpatie non dette, ce ne vuole.
Certo, l’immagine del giovane artista napoletano “amico della camorra” varrà pure uno scoop.
Ma vale davvero la reputazione e la carriera di un artista? E se un artista non ci piace, non esisteranno modi migliori per esprimere tale sdegno se non danneggiandolo con informazioni false e mendaci attribuzioni?
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