Nei capitoli pre-Natalizi di questa rubrica abbiamo scoperto due cose sulla Grande N: sin dall’ingresso nel mercato Occidentale aveva imparato a disprezzare giochi e accessori di “terze parti” (memore dell’esperienza patita da Atari) ma non era essa stessa aliena dal mettere in vendita i prodotti più bizzarri accanto ai suoi più grandi successi.
Ottenere il desiderato “Nintendo Seal of Approval” per i giochi non era facile, avere un accessorio “Approvato da Nintendo” non era facile. Ma tra accessori di terze parti non approvati da Nintendo (e impossibili da ostacolare) e accessori fatti da Nintendo stessa ce ne erano di alcuni veramente assurdi sin dall’inizio.
Alcuni derivati da altri accessori che invece uno scopo lo avevano, altri semplicemente creazioni che oggi definiremmo quantomeno esuberanti.
Ricordate i lucchetti da attaccare ai telefoni a combinazione per impedire ai figli di dedicarsi alle interurbane? SafeCare Products Inc. decise che il 1989 era l’anno ideale per consentire ai genitori di controllare le abitudini dei loro figli accaniti giocatori del NES, la console di seconda generazione di Nintendo e prima console fissa della Grande N a raggiungere gli scaffali occidentali.
Anche come ulteriore mezzo per distanziarsi dall’Atari, il NES rispetto al FamiCom (la versione orientale) era stato riprogettato in modo da somigliare ad un videoregistratore, con cartucce che si inserissero in uno slot frontale.
SafeCare Products semplicemente collegò una morsa ad un lucchetto a combinazione: la morsa teneva aperto il cassetto della cartuccia ma allo stesso tempo impediva di inserirvi le cartucce frapponendo tra esse e il pettine interno un’ostruzione fisica.
Circa 25mila genitori decisero di appendere un grosso lucchetto al NES dei figli per invogliarli a fare i compiti come pratica alternativa allo staccare l’alimentatore e nasconderlo.
In realtà, come per gli altri lucchetti da telefono e frigo, non era impossibile da forzare, e scassinarlo richiedeva poco. Ma questa non è la cosa più stravagante attaccata ad un NES.
Più assurdo del Power Glove, di cui abbiamo già parlato nella rubrica relativa alla storia dei joystick c’è solo il Broderbund U-Force. Eppure Broderbund, ditta dietro titoli come Karateka e Prince of Persia non era una ditta composta da ultimi arrivati.
Eppure con lo U-Force riuscirono a sbagliare tutto: produssero una valigetta che, aprendosi, mostrava una lavagnetta ricca di sensori a infrarossi. L’idea era avere un WiiMote prima del WiiMote: un affare che registrasse i movimenti di dita e mani sostituendo il controller.
Di fatto, come il Power Glove, era un affare pesante, impreciso, inutile, assurdo. Ma anche così era migliore dell’alternativa Nintendo.
Credeteci o meno, ad un certo punto Nintendo si pose il problema dei diversamente abili. Giustamente: oggi ad esempio Nintendo Switch offre la possibilità di “rimappare”, ovvero cambiare la posizione relativa dei tasti e ci sono controller di terze parti con gli SCUF modificabili, ovvero tasti addizionali a spalletta in modo che sia il gamer estremo che il giocatore incapace di muovere agilmente le dita possa usare tasti posteriori.
Avere per un diversamente abile la possibilità di giocare era un obiettivo commendevole, farlo vendendo la grottesca parodia dei controlli di una sedia a rotelle per tetraplegici sapeva di presa in giro.
Perché NES Hands Free era esattamente questo: un arnese da legarsi al petto del ragazzino con una cannuccia da infilare in bocca: muovendo la testa e la cannuccia si sarebbe potuto muovere il personaggio a schermo, soffiando o succhiando nella cannuccia si sarebbero usati i tasti A e B.
Naturalmente la formula ipotetica era d’obbligo: ottimo concetto, pessima, pessima esecuzione.
R.O.B. o “Robotic Operating Buddy” è una delle risposte Nintendo al crollo di Atari.
Un robottino, da collegarsi ad un controller e alcuni accessori, in grado di funzionare solo con due giochi: “Gyromite” e “Stack Up”: il “cavallo di Troia” di Nintendo, aveva senso e sbloccava modalità di gioco solo in quei giochi.
Due sensori negli “occhietti” di R.O.B. si attivavano coi segnali luminosi della TV (i R.O.B. rimasti in giro, ormai venduti su eBay a mezzi astronomici, rifiutano come pistole e penne ottiche di funzionare su display non CRT), consentendo di attivare un “secondo giocatore” opzionale per Gyromite e obbligatorio per Stack Up: i movimenti del robot avrebbero reso interattivo il gioco dando ai ragazzini un compagno di giochi che avrebbe fatto le veci di un compagno di giochi umano.
In realtà R.O.B. non era così necessario, e la serie delle “avventure robotiche” non ebbe mai seguito: lo scopo di R.O.B. era presentare la terza generazione di console come futuristica, avveniristica e carica di meraviglia per il futuro. Presto Gyromite e Stack Up furono venduti a parte e non più in bundle con la console, e poi scomparirono, lasciando al robottino R.O.B. il ruolo di “mascotte secondaria del franchise”, apparsa in molti altri giochi e resuscitata come Amiibo, fantoccino interattivo ancorché immobile da sbloccare come personaggio in alcuni giochi e per ottenere gadget in altri.
Aveva un’altra utilità però: la sua immagine come futuristico oggetto del desiderio avrebbe associato NES e la terza generazione di console ad un mondo ricco di creatività e innovativo.
Anche se alla fine della fiera i ragazzini dovettero accontentarsi del solo NES, R.O.B. riuscì nell’intento di contribuire a seppellire la seconda generazione di console come qualcosa di ormai desueto, stantio e non più in grado di stupire.
NES Speedboard era un pezzo di plastica rancido.
Solo un pezzo di plastica enorme e sagomato con buchi per incastrarci un controller NES. Un pezzaccio di plastica sponsorizzato dal pilota di NASCAR Kyle Petty per motivi sconosciuti.
Secondo il produttore attaccare un controller creato ad imitazione dei sistemi creati da Gunpei Yokoi (inventore, giocattolaio e programmatore per Nintendo) per il Game&Watch e il GameBoy, le console portatili della casa ad un affare grosso come un tavolo avrebbe migliorato le prestazioni di gioco.
Ma come avrete già capito, il controller NES era costruito sul modello del GameBoy era fatto per essere tenuto in mano con le quattro dita sotto e il pollice a scorrere sui tasti.
Incollarlo su un tavolino da ginocchia era una mossa ergonomica come attaccare col biadesivo il proprio GameBoy al centro del tavolo della cucina per “giocare meglio” senza la preoccupazione di dover “tenere in mano” qualcosa costruito per funzionare tenendolo in mano.
In un anno la Speedboard sparì dalle menti, dai ricordi e dall’immaginario collettivo.
E con questa nota storica sulle creazioni di Gunpei Yokoi possiamo passare al pezzo forte di questa carrellata dell’orrore: il mondo degli accessori per GameBoy.
Parliamo di altri accessori creati da Nintendo stessa: nel 1998 non erano disponibili cellulari con la fotocamera, e hardware dotato di macchina fotografica incorporata (vedi Nintendo DSi e 3DS) erano lontani da venire.
Nintendo quindi vendette una enorme fotocamera da 128×128 pixel con sensore CMOS, in grado di sfruttare la palette monocromatica a quattro toni di grigio del GameBoy originale per creare foto passabili.
Foto che potevano essere stampate con la GameBoy Printer, stampantina termica che, peraltro, in tempi precedenti la screenshot, consentivano ai giocatori di Pokémon di esibire una copia del Pokedex e il certificato di completamento dello stesso per aver catturato tutte le 150 bestioline catturabili dei primi titoli e i dati dei Pokémon dei capitoli successivi (compito ora assegnato al pulsante “Cattura Schermo”).
Entrambi gli accessori furono estremamente longevi, e supportati da altri giochi e da Nintendo stessa praticamente fino alla fine della serie GameBoy (quindi nel 2002, con l’arrivo del GameBoy Advance Micro, non più retrocompatibile con la serie originale): anche se oggi Nintendo non produce più la carta termica adesiva usata per stampare foto e immagini, carta termica normale può ancora essere utilizzata e sono disponibili progetti amatoriali per usare la GameBoy Printer come stampantina termica su PC.
Ma tra le cose più strane che puoi collegare c’erano gli accessori di terza parte
Il GameBoy originale era una console innovativa, parto del genio di Gunpei Yokoi. Ma rispetto agli standard attuali, ed alla concorrenza, difettava di diversi elementi.
Ad esempio ancora il GameBoy Advance del 2001 non aveva un display retrolliminato, e il display di tutta la serie era di dimensioni comprensibilmente modeste.
I vari produttori di terze parti lanciarono una cosa agli “accessori audiovideo”.
Parliamo di improbabili lenti di ingrandimento sospese sopra la scocca del GameBoy stesso, alimentate da batterie oppure direttamente dal vano batteria del dispositivo mediante delle linguette, gusci con casse audio potenziate da incastrare nel jack cuffie e “sovratasti” goffi ma adatti alle mani più corpulente di giocatori più adulti del ragazzino medio sul quale il GameBoy era caricato.
I più parchi potevano incastare una lucetta nello slot per il Data Link Cable, spesso di forme bizzarre, tutti gli altri potevano trasformare la loro console portatile in una specie di mostruosità deforme e pesante come un mattone.
Non aiutava l’idea di appendere dei “ganci da cintura”, perlopiù plasticaccia a incastro da attaccare a incastro sul retro della console e agganciare alla cintura dei calzoni sperando che una mossa improvvisa non la facesse cascare in terra demolendola.
Amate la pesca? Amate i videogames?
Bandai ha quello che fa per voi.
Un kit, da collegare mediante cartuccia, in grado di trasformare il GameBoy in un bizzarro sonar in grado di identificare (secondo il manuale) pesci fino a 20 metri sott’acqua e incoraggiare i ragazzini a darsi alla pesca in cambio di un punteggio.
Non esattamente un gioco approvato dagli animalisti, ma neppure uno dei più strani mezzi per incoraggiare i ragazzini a giocare con la natura prima dell’arrivo di Pokemon Go.
Se siete comunque interessati al suo funzionamento, potrete approfondire qui.
Parliamo di un bizzarro fantasy post-apocalittico ambientato in un mondo privo di luce solare invaso dai vampiri. La soluzione? Mandare i ragazzini in giro sotto il solleone (ma il gioco ti avvisa di evitare i colpi di calore) raccogliendo luce solare con un apposito sensorino da incastrare sul connettore del Data Link Cable.
Ovviamente l’autore era Hideo Kojima, il visionario alla base di Death Stranding e della saga di Metal Gear Solid, che ha deciso di mandare tutti i ragazzini a beccarsi insolazioni maiuscole perché non riusciva a creare un sensore che percepisse la fiatella delle bruschette all’aglio e dei ravioli giapponesi come mezzo per uccidere dei vampiri ostili. E non mi sono inventato niente.
Più luce solare viene raccolta, più è facile dedicarsi al gioco con energia per sottomettere i vampiri.
Ovviamente, con l’uscita di produzione del GameBoy Advance, l’unico modo per giocare a Boktai oggi è usare rom modificate per inserire manualmente la quantità di energia solare “raccolta”: ma ricordiamo che tra il vagare sotto il Sole e il fatto che il GameBoy Advance ha avuto la retroilluminazione solo dal modello SP, probabilmente è un bene che nessuno ci abbia mai riprovato.
Attualmente per Nintendo Switch esiste l’enfaticamente chiamato “nOS”, “New OS”, un programma “grossomodo di produttività” che aggiunge alla console di Casa Nintendo una calcolatrice, una lista delle cose da fare, un blocco appunti e dei minigiochi.
Del resto Nintendo Switch è di fatto un tablet senza programmi di produttività o social, specializzato per i videogames.
Il Workboy se fosse entrato in vendita avrebbe potuto forse competere in modo un po’ goffo coi “protopalmari” come il Newton Apple e dispositivi simili.
Nessuna connettività di rete, diario e orologio multifunzione ed una piccola tastiera avrebbe consentito agli aspiranti manager del domani di decidarsi a prendere appunti e formulare il proprio calendario sulla stessa console con cui giocavano a Super Mario e Pokemon, gestendo altresì la propria agendina telefonica.
Alla fine non si concretò mai, privando il mondo della possibilità di spendere 80$ per scrivere la propria lista degli appuntamenti su un GameBoy e convertire al volo tra gradi Fahrneneit e Celsius durante un viaggio di lavoro.
Tra tutte le pessime idee, il “Pedisedate” era senz’altro la peggiore. Una gag di Monkey Island ci mostra un pirata orbo che spiega i rischi di giocare a freccette con gli amici quando si è ubriachi: cosa potrebbe andare storto collegando ad un paio di colorate cuffie audio un Gameboy e una bombola di gas esilarante per sedare i bambini dal dentista o dal medico?
L’idea era unire la sedazione alla ricompensa: a tutti piacciono i videogiochi, a nessuno piace farsi frugare in bocca o dover effettuare esami medici o operazioni chirurgiche, assumere anestico potrebbe essere stressante.
Dubitiamo del risultato finale.
Nintendo attualmente per una sessantina di Euro ti vende un “bottoncino” da mettere sotto il cuscino per misurare la qualità del tuo sonno e darti premi in gioco per una dormita “da campioni”. Puoi fare anche senza, usando una app per cellulare e il tuo cellulare sotto il cuscino, ovviamente rendendo tutto scomodo e potenzialmente nocivo per le povere batterie surriscaldate.
Nel 2007 potevi ottenere gli stessi vantaggi, ovvero punti da scambiare per minigiochi, consigli e suggerimenti misurando i tuoi livelli di Glucosio con un congegno da attaccare al GameBoy Advance.
I ragazzini diligenti nel controllarsi i livelli del glucosio e/o abili nel mantenere gli stessi stabili prendendosi cura della loro salute sarebbero stati quindi ricompensati con minigiochi e vantaggi negli stessi, i ragazzini meno diligenti oltre a rischiare di danneggiare la propria salute avrebbero dovuto accontentarsi di un numero minore di giochi.
Attualmente il portale della ditta produttrice non è più disponibile, e non risultano iniziative simili per le console di nuova generazione. Forse per il meglio.
Non parliamo di un accessorio, ma di un modello particolare.
Nel 1997 in Giappone ci si pose per la prima volta il problema della mancanza di retroilluminazione della console portatile di casa Nintendo. Fu prodotto così solo in Giappone e solo per un periodo di tempo limitato il “GameBoy Light”, una versione retroilluminata del “GameBoy Pocket”, console dal fattore di forma ridotto del Color ma in bianco e nero come il GameBoy originale.
Inesplicabilmente la sua produzione fu interrotta con l’inizio della produzione del modello “Advance” che, inesplicabilmente, nella prima generazione era privo della retroilluminazione (nonostante il GameBoy Light dimostri che Nintendo era in grado di produrre console retroilluminate a prezzi non elevati).
Altrettanto inesplicabilmente, la versione distribuita come un bundle promozionale con la rivista di videogiochi “Famitsu” non aveva una scatola.
Aveva un “blister” istoriato con una sexy astronauta dai capelli rossi e il seno maggiorato che esplodeva da una tutina troppo aderente molestata da un alieno linguacciuto pronto a saltellarle sul rotondo sedere messo in mostra da una posa da “gattina” sexy.
“Curiosamente” il bundle non è mai arrivato in Occidente, come tutto il GameBoy Light, nonostante Nintendo abbia comunque prodotto diverse versioni trasparenti delle sue console, tra cui il celebre “GameBoy Color Atomic Purple” (colore usato anche per il Miyoo Mini Plus), usando almeno in parte il concetto del “GameBoy Light Skeleton”: dove per “Skeleton” si intende ovviamente la plastica trasparente per vedere gli ingranaggi interni (e non le donnine ignude).
Le macchine da cucire elettroniche sono una realtà di fatto utile: Singer entrò nel mercato usando come sistema di elaborazione dati un GameBoy Color.
Con la Singer Izek potevi collegare una macchina da cucire al Data Link Cable con una cartuccia e inserire vari modelli di disegno creati sulla console, compatibili ovviamente con tutta la gamma dal GameBoy Color fino al GameBoy Advance (escluso il Micro).
Ci chiediamo quante persone abbiano accettato però di usare un GameBoy al lavoro, contando che…
Subaru aveva messo in vendita un kit per incollare un GameBoy Advance SP alla dashboard di ogni macchina della casa e controllare al volo i dati della centralina.
Ma anche i meccanici di scooter ebbero a disposizione un kit di controllo motore e centralina basato su cavi per il GameBoy Color e un’apposita cartuccia.
Anche qui l’idea era tecnicamente ineccepibile: un kit professionale costa molto, un GameBoy Color lo avevano quasi tutti, e se potevi accontentarti del display ridicolmente piccolo del Color e di quello leggermente più grande dell’Advance, potevi risparmiare qualche soldo sui costosi macchinari.
Non descriveremo il Data Link Cable come uno strano accessorio. Era un accessorio legittimo, utile e per niente assurdo. Ma esso è alla base come abbiamo visto di diverse magie: una di queste erano le distribuzioni di personaggi Pokemon da GameStop prima che lo si facesse con un codice da stampare sullo scontrino e da riscattarsi mediante Internet.
A quel tempo Internet non era diffusa: talvolta dovevi mandare la tua cartuccia in busta chiusa a Nintendo per ricevere l’oggetto desiderato, il più delle volte ti recavi da GameStop per collegare la tua console ad un Data Link Cable e ricevere animaletti e affini (o usare uno degli adattatori WiFi che lo sostituirono)
Dall’altra parte del cavo c’era un normalissimo GameBoy Advance con una cartuccia particolare, sovente attaccata alla console con del nastro adesivo colorato per assicurarsi non fosse asportata.
Ovviamente i negozi dovevano tenere la cosa segreta e restituire la cartuccia, ma qualcuna è sfuggita al controllo. Si è continuato a fare così anche in piena era Nintendo DS, talora con console modificate con qualche tasto in meno, da usarsi solo per l’apposito scopo.
Il vantaggio di Nintendo Switch è avere giochi portatili e fissi su una console ora portatle, ora fissa.
Al tempo del GameBoy potevi giocare ai giochi del tuo GameBoy sul SuperNintendo, sul Nintendo 64 e sul GameCube.
Il Super GameBoy 1 e 2 era una cartuccia adattatrice per il SuperNintendo, il secondo modello “perfezionato” con la porta per il Data Link Cable in accettazione del fatto che lo sviluppo della saga di Pokemon aveva popolarizzato lo strumento.
Sul Nintendo 64 un “Transfer Pack” consentiva ai soli giochi della saga di Pokemon di poter essere interfacciati con titoli simili, come “Pokemon Stadium” in modo da poter vedere i propri animaletti virtuali combattere su uno schermo televisivo (come avviene con g li attuali capitoli della saga), e sul GameCube un “GameBoy Player” trasformava il GameCube in un GameBoy Advance “fisso”, retrocompatibile con tutti i giochi Advance e GameBoy, tranne per i citati giochi che richiedevano accessori “bizzarri”.
Non tanto per mancanza di compatibilità, ma perché se già a esempio era ridicolo girare sotto il solleone con un sensore attaccato in cima al proprio GameBoy Advance per caricare “la pistola solare” di Boktai o andare a pesca con un GameBoy vicino alla canna da pesca, vi sfido a fare le stesse cose con un affare grosso come una cassa di birra che richiede corrente elettrica domesica e un televisore per funzionare.
Erano oggetti graditi dai ragazzini, ma di fatto meno utilizzati del dovuto, dato che anche all’epoca il modo più razionale per giocare in mobilità era giocare in mobilità.
Ci vorrà l’arrivo di Nintendo Switch per trasformare un ottimo concetto in una eccellente idea.
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