La notizia dei piccoli orti fuorilegge suscita in chi vi scrive una sensazione che preferisce affidare alle parole di qualcun altro.
È dal 2017 che sbattiamo su questa notizia, e noi siamo arrivati relativamente tardi.
C’è chi ci sbatte la testa dal 2013: perchè di questo si tratta. Una notizia del 2013 che continua a riproporsi implacabile.
Come le televendite di Giorgio Mastrota. Oppure le offerte speciali di divani “da comprare entro il weekend” da settimane e settimane o Una Poltrona per Due a Natale.
Implacabile, anno dopo anno.
Nessuno.
Nessuno ha messo i piccoli orti fuorilegge? Chiaro?
Si parlava all’epoca di, cito dall’articolo che ci torna in mano giorno dopo giorno
Una nuova legge proposta dalla Commissione Europea renderebbe illegale “coltivare, riprodurre o commerciare” i semi di ortaggi che non sono stati “analizzati, approvati e accettati” da una nuova burocrazia europea denominata “Agenzia delle Varietà Vegetali europee”. Si chiama “Plant Reproductive Material Law”, e tenta di far gestire al governo la regolamentazione di quasi tutte le piante e i semi.
La presunta conseguenza? Una distopia descritta da un romanzo
nel quale un “contrabbandiere di semi” vive in un tempo in cui le sementi sono ormai divenute illegali e c’è gente che, per lavoro, ne fa contrabbando, aggirando le leggi orwelliane imposte della Monsanto.
Eravamo nel 2013: lapalissiano che se nel 2019 non è accaduto niente di tutto questo, è perché la norma non ha mai previsto che tutto questo accadesse.
Nel 2013 Ilaria Zanardi ci spiegava esplicitamente le implicazioni della proposta di legge
È degli ultimi giorni la notizia che la Comunità Europea sta varando una nuova legge che regolamenti la riproduzione, la produzione e la vendita su larga scala di vegetali a scopo alimentare, ovviamente scatenando le più disparate proteste e scandalizzando una buona parte del pubblico di internet, che si batte per il diritto di ognuno di coltivare il proprio orto e produrre i propri ortaggi.
Andando a leggere qui, qui , qui e
qui infatti la situazione sembrerebbe alquanto preoccupante. Se, invece, si va a controllare il testo della proposta di legge, gran parte di questo scandalo rientra e si capisce che lo scopo della UE non è vendersi alle multinazionali dell’agricoltura bensì creare un mercato regolamentato degli ortaggi e delle verdure a livello comunitario, con lo scopo di garantire la qualità dei prodotti e la salute dei consumatori. E come si fa? Naturalmente dandosi delle regole che possano essere comprensibili e attuabili nei vari paesi della Comunità.
La legge parte dalla premessa che tutti i vegetali, la frutta e gli alberi debbano essere ufficialmente testati e registrati prima che possano essere riprodotti e distribuiti a fini commerciali. Il che vuol dire (ed è ben specificato sia nel testo che nella sezione FAQ) che il provvedimento non è applicabile a chi produce ortaggi o verdure a scopo di consumo personale.
Mio padre e il suo orto sono salvi, meno male.
Ma ci sono anche delle altre eccezioni a queste nuove regole: organizzazioni di volontariato o piccoli produttori con meno di 10 impiegati, banche del seme, istituti scientifici e organizzazioni rivolte alla conservazione delle risorse genetiche (inclusa la conservazione sul campo) o alla conservazione di materiale riproduttivo da scambiarsi tra persone che non siano operatori professionali. Si sta anche lavorando a delle deroghe per produttori di sementi per coltivazioni biologiche anche per grandi quantità di semenza. Queste regole non sono nemmeno applicabili a prodotti con valenza specifica locale o a produzioni di nicchia.
Proposta che, peraltro dal 2013 ad oggi non si è mai mossa di un atomo. E non solo!
La proposta, così come era formulata all’epoca è stata formalmente ritirata nel 2015.
Formalmente ritirata significa quello che significa: non ha avuto corso.
Eterogenesi dei fini: il contrario di quanto avete letto negli ultimi sei anni.
Non si sarebbe applicata ai piccoli orti. Non si sarebbe applicata allo scambio di sementi tra privati. Non si sarebbe applicata alla conservazione di varietà tradizionali.
Riportando integralmente una delle interrogazioni parlamentari dell’epoca
1. Uno degli obiettivi della proposta della Commissione riguardante la produzione e la commercializzazione del materiale riproduttivo vegetale(1) consiste nella conservazione della biodiversità. La proposta include prescrizioni per la registrazione delle varietà da conservare meno severe rispetto a quelle in forza nella legislazione esistente. Inoltre, la proposta stabilisce norme relative alle analisi di varietà aventi valore agronomico e/o di utilizzazione sostenibile o che siano di interesse per la produzione biologica. Inoltre, tale proposta contiene norme riguardanti i miscugli di specie a fini di conservazione delle risorse genetiche e di salvaguardia dell’ambiente naturale.
2. Lo scambio di sementi tra agricoltori o tra altre persone non impegnate professionalmente nella produzione e commercializzazione di tale materiale riproduttivo vegetale è escluso dal campo di applicazione di tale proposta. Le sementi destinate esclusivamente alle banche genetiche e alle reti di conservazione delle risorse genetiche sono anch’esse escluse dal campo di applicazione della proposta.
3. Le vecchie varietà, comprese le varietà da conservare, non saranno sottoposte a prove per valutarne l’omogeneità o la stabilità. Il materiale riproduttivo vegetale non appartenente ad alcuna varietà (materiale eterogeneo) può essere anch’esso prodotto o commercializzato nel rispetto di norme specifiche che la Commissione adotterà prima dell’applicazione della proposta di regolamento.
4. La Commissione non è a conoscenza di alcun elemento che indichi una rapporto di causa-effetto tra la perdita di biodiversità in Europa e la normativa vigente in materia di sementi e di altri materiali di moltiplicazione vegetale. Le prescrizioni meno severe per la registrazione e la commercializzazione delle varietà da conservare sono già garantite dalle direttive 2008/62/CE(2) e 2009/145/CE(3).
Se la proposta fosse passata così come era formulata, gli operatori commerciali del settore agrario (un settore che, sia ora che all’epoca della proposta, non comprendeva in maggior parte multinazionali ma operatori nazionali di varia entità) avrebbero dovuto fornire al consumatore finale maggiori garanzie, e compatibili con le normative europee.
La proposta è comunque stata ritirata: possiamo discutere su cosa avrebbe comportato, ma non possiamo più parlare di cosa comporterà in futuro.
Niente, in futuro non comporterà niente.
Sappiamo che dal 2015 ci sono state associazioni ed enti che hanno colto il vuoto creato per proporre un nuovo tentativo. Progressivo e solido, a tutela sia della biodiversità che del consumatore.
E chissà cosa riserva il domani.
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