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Fakes e Facts sul vaiolo delle scimmie.

Lo scorso 14 agosto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha nuovamente dichiarato l’Mpox (in precedenza noto come “vaiolo delle scimmie”) un’emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale. Da quel momento, si è verificata una nuova ondata di informazioni, con una diffusione capillare di notizie sul virus e sulla malattia. Tuttavia, insieme a contenuti informativi accurati, stiamo assistendo anche a un’infodemica, ovvero a un flusso incontrollato di articoli, che include purtroppo anche disinformazione, allarmismo e clickbait. Alcuni di essi si concentrano su aspetti sensazionalistici, diffondendo paura, mentre altri riportano informazioni parziali o inesatte. Inoltre, non mancano fake news e teorie del complotto che contribuiscono a confondere l’opinione pubblica. In un contesto come questo, può quindi risultare utile avere a disposizione un articolo completo e dettagliato che chiarisca la situazione attuale, fornendo una comprensione approfondita dell’Mpox e delle sue varianti. Seppur alcuni aspetti rimangano poco chiari e siano ancora oggetto di studio, è importante fornire una panoramica completa e aggiornata per orientare correttamente la comprensione del fenomeno. Dopo l’esperienza della pandemia COVID-19, è quanto mai necessario affrontare con consapevolezza e rigore le nuove emergenze sanitarie, distinguendo i fatti dalle speculazioni. Esaminiamo dunque la malattia, il virus responsabile, le sue varianti, la situazione globale e tutte le informazioni necessarie per avere un quadro chiaro e basato su dati scientifici.

Le denominazioni “Vaiolo delle Scimmie” e “Monkeypox” sono obsolete e inappropriate

La prima questione da chiarire riguarda la corretta nomenclatura della malattia. Nel 2022, l’OMS ha deciso di abbandonare il termine “vaiolo delle scimmie” a favore di “Mpox”. Non si è trattato solo di un aggiornamento tecnico, ma è stato motivato da precise ragioni. Il nome “vaiolo delle scimmie” era stato criticato perché considerato discriminatorio, stigmatizzante e potenzialmente fuorviante. Gli esperti temevano che il termine “monkeypox” potesse alimentare stereotipi negativi e pregiudizi, soprattutto contro le persone infette e i Paesi dove il virus era più diffuso. Per evitare un linguaggio dannoso e offensivo, l’OMS ha quindi deciso di adottare gradualmente il nuovo nome, un processo di transizione durato circa un anno. Assegnare denominazioni a nuove malattie, o eccezionalmente a malattie già esistenti, è una responsabilità dell’OMS nell’ambito della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) e della Famiglia delle Classificazioni Internazionali Relative alla Salute. E’ un processo che avviene attraverso una consultazione che coinvolge gli Stati membri dell’OMS. Le considerazioni per la scelta di un nome includono: la logica, l’adeguatezza scientifica, la diffusione dell’uso corrente, la facilità di pronuncia, l’usabilità in diverse lingue, l’assenza di riferimenti geografici o zoologici e la possibilità di recuperare facilmente le informazioni scientifiche storiche. Solitamente, l’aggiornamento dell’ICD richiede diversi anni, ma in questo caso il processo è stato accelerato pur mantenendo tutti i passaggi standard. Durante la consultazione sono stati convocati vari organi, tra cui esperti dei comitati medico-scientifici di classificazione e statistica, con rappresentanti delle autorità governative di 45 Paesi. Va specificato che la denominazione dei virus è invece responsabilità del Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus (ICTV). Secondo le recenti indicazioni dell’OMS, andrebbero quindi messe da parte le vecchie denominazioni “vaiolo delle scimmie” e “monkeypox”, poiché considerate obsolete e inappropriate.

Il virus che causa la malattia Mpox

Troppo spesso si confonde il virus con la malattia. L’ultimo esempio lo abbiamo visto con la COVID-19, una nomenclatura che è stata frequentemente attribuita al virus che causa la malattia, il SARS-CoV-2. Allo stesso modo, è importante non confondere l’Mpox, che è la malattia virale, con l’agente eziologico che la provoca. Quest’ultimo è conosciuto come MPV o MPXV; in questo articolo useremo esclusivamente la seconda denominazione per maggior chiarezza. MPXV è un virus a DNA a doppio filamento della famiglia dei Poxviridae e del genere Orthopoxvirus, responsabile della malattia Mpox. È uno dei pochi virus di questo genere in grado di infettare gli esseri umani, insieme al Variola virus (VARV), che causava il vaiolo umano (eradicato nel 1980 grazie alla vaccinazione), al Cowpox virus (CPX), e al Vaccinia virus (VACV), utilizzato per indurre immunità contro il vaiolo. Sebbene l’MPXV non sia un antenato né un discendente diretto del virus del vaiolo, appartiene alla stessa famiglia di virus e provoca una sintomatologia più lieve, con un tasso di letalità inferiore. I Poxviridae hanno la caratteristica unica di replicarsi nel citoplasma delle cellule infette, utilizzando i propri enzimi per la replicazione del DNA e prevenendo la morte della cellula per apoptosi. Dopo la replicazione e la formazione delle proteine virali, il virus MPXV si assembla e acquisisce la membrana virale passando nell’apparato di Golgi, per poi uscire dalla cellula tramite esocitosi, causando a questo punto la morte della cellula stessa. Il virus è caratterizzato da un pericapside di forma ovale, vagamente rettangolare, con dimensioni eccezionalmente grandi per un virus (200-250 nm di larghezza e 140-220 nm di diametro).

Virioni di MPXV fotografati al microscopio elettronico. Image credit: National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID)

L’MPXV è stato identificato per la prima volta da Preben von Magnus a Copenaghen, in Danimarca, nel 1958 in macachi cinomolghi (Macaca fascicularis) utilizzati per la ricerca. Anche se il virus può essere “trasportato” da diversi animali, inclusi i primati, occorre sottolineare che le scimmie sono soltanto ospiti accidentali. MPXV e i suoi anticorpi, infatti, sono stati riscontrati in una grande varietà di specie, tra cui opossum, scoiattoli, ratti africani, ghiri, istrici africane dalla coda a spazzola e ricci africani. Altre specie sensibili all’infezione comprendono conigli, lepri, cani della prateria e roditori domestici. Per esempio, si ritiene che l’epidemia del 2003 negli Stati Uniti centro-occidentali sia stata causata da cani della prateria infettati da un ratto gigante del Gambia (Cricetomys gambianus) importato nel paese. Pertanto, sebbene il virus non provenga dalle scimmie, il serbatoio rimane sconosciuto e oggetto di studi, ma si ritiene che i piccoli roditori e alcuni animali selvatici delle foreste pluviali africane, principalmente in Africa occidentale e centrale, siano gli ospiti naturali.

Un esemplare di macaco cinomolgo (Macaca fascicularis). È stato il primo animale in cui, nel 1958, fu isolato il virus MPXV, il quale ha dato il nome al vaiolo delle scimmie. Image credit: Sakurai Midori

Il “doppio clade” del Virus

Dal sequenziamento del virus MPXV sono stati identificati due principali cladi (o sottotipi): il clade dell’Africa occidentale, con una letalità inferiore all’1%, e il clade del bacino del Congo, considerato più virulento con una letalità storicamente superiore al 10%. L’8 agosto 2022, un gruppo di esperti ha deciso di rivedere la nomenclatura dei cladi utilizzando numeri romani. Il clade del bacino del Congo è stato rinominato “Clade I”, mentre il clade dell’Africa occidentale è stato chiamato “Clade II”, suddiviso ulteriormente in due sottogruppi: Clade IIa e Clade IIb.

Clade Ib, invece, è il nuovo sottogruppo che ha indotto recentemente l’Oms a dichiarare lo stato di emergenza globale. La variante Ib è particolarmente preoccupante poiché rappresenta una forma mutante del ceppo di Clade I, mai uscito prima d’ora dall’Africa, con una letalità che varia dal 3,6% al 5%. Inoltre, presenta un rischio maggiore per neonati, bambini e individui con sistemi immunitari compromessi, inclusi quelli con HIV non trattato. Nonostante il Clade Ib comporti conseguenze più gravi rispetto al Clade II, i tassi di mortalità possono comunque variare a seconda delle specifiche epidemie regionali.

La struttura del virus MPXV e il suo genoma. Image credit: Amal Mahmoud – Available from: https://www.researchgate.net/figure/The-structure-of-the-MPXV-and-its-genome_fig2_369094250 [accessed 23 Aug 2024]

Epidemiologia

Per comprendere meglio l’attuale situazione, è necessario esaminare la storia epidemica del virus. L’Mpox è endemico in Africa centrale e occidentale, con focolai regolari, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Altri Paesi endemici includono: Benin, Camerun, Repubblica Centrafricana, Gabon, Ghana (solo negli animali), Costa d’Avorio, Liberia, Nigeria, Repubblica del Congo, Sierra Leone e Sudan del Sud. Storicamente, i bambini sotto i 16 anni rappresentano la maggior parte dei casi, ma l’età mediana è aumentata da 4 anni negli anni ’70 a 21 anni nel periodo 2010-2019. Negli ultimi decenni, i casi di Mpox sono aumentati, con un significativo incremento nella Repubblica Democratica del Congo e in altri Paesi africani. Tra il 2017 e il 2019, un focolaio in Nigeria ha coinvolto oltre 300 casi, principalmente in aree urbane e in persone con limitati contatti con animali. Tale aumento è stato osservato anche in Liberia, Sierra Leone, Camerun e Repubblica Centrafricana. I principali fattori dell’aumento dei casi sono probabilmente attribuibili all’interruzione della vaccinazione contro il vaiolo, all’aumento della deforestazione, a una migliore sorveglianza e all’evoluzione del virus.

Fino al 2022, i rari casi di Mpox segnalati nei Paesi non endemici erano generalmente di importazione. Nel 2003, si verificò un focolaio negli Stati Uniti, con circa 50 casi in 6 Stati, collegato all’importazione di animali esotici dall’Africa occidentale. Questo fu il primo caso di Mpox segnalato al di fuori dell’Africa. Gli individui si infettarono molto probabilmente dopo contatti con cani della prateria (che non sono canidi bensì roditori, della stessa famiglia delle marmotte), che erano stati a contatto con mammiferi importati dal Ghana. In questo caso, non si osservò trasmissione da persona a persona e non ci furono decessi.

Dall’inizio dell’epidemia nel maggio 2022, si è però osservata un’evoluzione significativa: casi di Mpox (Clade II) sono stati segnalati in circa 70 Paesi non endemici, senza collegamenti diretti con le aree dell’Africa occidentale o centrale, e con una trasmissione continua da persona a persona. La diffusione rapida ed estesa del virus ha infatti portato l’OMS, il 23 luglio 2022, a dichiarare l’Mpox “Emergenza di salute pubblica internazionale” (PHEIC – Public Health Emergency of International Concern), ai sensi del Regolamento Sanitario Internazionale (International Health Regulations IHR (2005)). La maggior parte dei casi confermati nei Paesi non endemici è stata registrata in Europa (957 casi confermati solo in Italia) e Nord America. Oltre 30.000 casi sono stati segnalati negli Stati Uniti a partire dal marzo 2023. Il numero di nuovi casi è poi gradualmente diminuito dal picco nell’agosto 2022 e l’11 maggio 2023 l’OMS ha dichiarato la fine dell’emergenza di sanità pubblica internazionale. I casi hanno riguardato principalmente uomini che hanno rapporti sessuali con uomini, ma l’Mpox deve essere considerato anche in chiunque presenti un’eruzione cutanea compatibile con la malattia.

La situazione attuale in Italia e in Europa

Da novembre 2023, una grave epidemia di Mpox sta colpendo la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e si sta estendendo ai Paesi limitrofi. Fino ad agosto 2024, la RDC ha registrato oltre 16.000 casi e 500 decessi, principalmente tra individui con meno di 15 anni. Tra l’altro, i casi potrebbero essere sottostimati a causa di sottodiagnosi e sottonotifica. L’aumento del numero degli infettati è legato sicuramente al Clade I, endemico nella RDC e che colpisce prevalentemente i bambini. Tuttavia, come spiegato precedentemente, è emerso anche un nuovo ceppo, il Clade Ib, che colpisce gli adulti e si trasmette anche tramite contatto sessuale. Questo sottotipo di Mpox si sta diffondendo nella parte orientale della RDC e in quattro Paesi confinanti (Burundi, Kenya, Ruanda e Uganda), che non avevano mai segnalato la malattia prima. Così, il 14 agosto 2024, l’OMS ha dichiarato l’Mpox “Emergenza di salute pubblica internazionale” (PHEIC) proprio a causa della rapida diffusione del nuovo ceppo. Fino all’8 agosto 2024, in Italia e negli altri Paesi europei non sono stati segnalati casi di Mpox Clade Ib, ma solo della variante già nota e meno pericolosa. Questa importante notizia è presente nella circolare del Dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie del Ministero della Salute, che aggiorna sulla situazione dell’Mpox. Attualmente, la situazione nel nostro Paese è quindi sotto controllo. L’unico caso di Clade Ib finora accertato in Europa è stato registrato in Svezia il 15 agosto. Anche il recente caso identificato in Spagna non è stato attribuito al Clade Ib.

Mpox: caratteristiche della malattia, trasmissione e differenze dalla Covid19

L’Mpox è una zoonosi virale che può essere trasmessa dagli animali all’uomo e tra esseri umani. La trasmissione dall’animale all’uomo avviene probabilmente tramite il contatto con liquidi corporei infetti, a seguito di morsi o graffi di un animale infetto, oppure durante la preparazione e il consumo di carne contaminata. Le principali vie di trasmissione tra esseri umani, invece, includono le goccioline respiratorie, in particolare durante contatti fisici prolungati, faccia a faccia o intimi; il contatto diretto con lesioni infettive o altri fluidi corporei; e il contatto con fomiti, come indumenti, lenzuola o oggetti contaminati da croste o liquidi corporei. Il Clade Ib sembra diffondersi maggiormente per via sessuale rispetto agli altri sottogruppi. Sono state documentate anche altre vie di trasmissione, come quella attraverso la placenta, dalla madre al feto (che può portare al Mpox congenito) o durante e dopo la nascita attraverso un contatto diretto pelle a pelle tra madre e neonato. Al momento, non è ancora chiaro se il virus possa essere trasmesso tramite sperma o secrezioni vaginali. Tuttavia, in diversi studi il DNA virale è stato identificato nello sperma di soggetti infetti per settimane dopo l’acquisizione dell’infezione. Pertanto, la UK Health Security Agency e altre agenzie internazionali raccomandano come misura precauzionale alle persone guarite da una infezione da MPXV di continuare a utilizzare il preservativo per almeno otto settimane dopo l’infezione (per 12 settimane dopo la guarigione secondo l’OMS).

A questo punto, occorre chiarire che la trasmissione del virus MPXV è molto diversa rispetto a Sars-Cov-2, un aspetto che va sottolineato con attenzione in quanto molte persone temono erroneamente che l’Mpox possa diffondersi con le medesime modalità del Coronavirus. Come ben sappiamo, la Covid-19 si trasmette prevalentemente per via respiratoria, attraverso l’inalazione di droplets o particelle di aerosol infetti. Diversamente, l’Mpox si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto e ravvicinato con le lesioni cutanee o mucose di una persona infetta, come può avvenire durante l’attività sessuale. Durante le epidemie del 2022 e 2023, infatti, il contatto diretto durante i rapporti sessuali è stato il principale meccanismo di contagio tra persone. Malgrado il virus dell’Mpox possa essere trasmesso anche per via respiratoria, non è chiaro quanto questo meccanismo contribuisca alla diffusione globale del virus. In ogni caso, la differenza chiave tra le due malattie è che l’Mpox richiede un contatto molto più stretto e prolungato tra una persona infetta e una sana per diffondersi, rispetto alla Covid-19.

Parlando di periodo di incubazione dell’Mpox, possiamo dire che varia generalmente da 1 a 2 settimane, ma può estendersi fino a 3 settimane. La presentazione clinica della malattia può variare significativamente: alcune persone manifestano sintomi lievi, con rare occorrenze di casi asintomatici, mentre altre possono sviluppare sintomi più gravi che richiedono l’ospedalizzazione. Le categorie a maggior rischio di sviluppare forme gravi o complicanze includono le donne in gravidanza, i bambini e le persone immunocompromesse.

I sintomi più comuni di Mpox includono febbre, astenia, dolori muscolari, mal di testa e ingrossamento dei linfonodi. L’eruzione cutanea, che spesso si sviluppa entro uno-tre giorni dall’inizio della febbre, può anche comparire prima dei sintomi generali. Le lesioni cutanee tendono a manifestarsi principalmente nelle aree ano-genitali, sul tronco, sugli arti, sul viso, sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi. In alcuni casi, le lesioni possono essere scarse e limitate solo alle aree genitali o peri-anali. Nel 5% dei casi, la manifestazione iniziale può interessare il cavo oro-faringeo. Le lesioni cutanee iniziano spesso come macule, evolvendo poi in papule, vescicole, pustole e infine croste. I sintomi generalmente durano da due a tre settimane e tendono a risolversi spontaneamente o con cure di supporto, come l’uso di farmaci per il dolore o la febbre. Il periodo di contagiosità inizia con la comparsa dei primi sintomi e si estende fino alla caduta delle croste di tutte le lesioni e alla formazione di nuova pelle.

Test diagnostici e trattamento

I test diagnostici sono sempre fonte di malintesi; perciò, anche in questo caso, occorre essere estremamente chiari. La conferma dell’infezione da MPXV è basata principalmente su test PCR e/o real-time PCR, usati da soli o in combinazione col sequenziamento. La reazione a catena della polimerasi sulle lesioni cutanee (liquido delle vescicole, pustole e/o croste secche) è il campione considerato ottimale, mentre la PCR ematica è di interesse limitato dalla breve durata della viremia e non è raccomandata. I test sierologici sono utili, ma da soli purtroppo non sono sufficienti per la diagnosi di infezione. Ovviamente, tali esami devono essere consigliati dal medico solo se c’è un forte sospetto d’infezione, basato su dati clinici ed epidemiologici. Come potete immaginare, al momento non esistono tamponi rapidi per diagnosticare con efficacia la malattia infettiva, come avviene invece per la Covid-19. Questo potrebbe rappresentare un problema, soprattutto per l’identificazione tempestiva dei casi tramite tracciamento per contenere l’epidemia e individuare le catene di trasmissione. C’è però da dire che l’indice di trasmissibilità dell’Mpox è significativamente inferiore rispetto a quello della COVID-19, un aspetto che dovrebbe destare molta meno preoccupazione. Sono comunque in fase di sviluppo test rapidi per rilevare gli antigeni del virus Mpox, ma non è ancora chiaro quanto siano accurati, in quali campioni possano essere rilevati, o quando durante l’infezione siano rilevabili. A causa di queste incertezze, i test antigenici non dovrebbero essere utilizzati in questo momento per diagnosticare l’infezione attiva da Mpox. Vi sconsigliamo quindi l’acquisto di test inutili, che possono facilmente essere trovati in vendita su internet. Ad oggi, ribadiamo, la PCR su campioni prelevati dalle lesioni cutaee risulta essere la tecnica d’analisi di laboratorio più efficace per identificare l’infezione da MPXV.

Un kit da laboratorio PCR per il rilevamento dell’acido nucleico del virus Mpox (MPXV). Image credit: RayBiotech

Per quanto riguarda le cure, al momento non esistono trattamenti specifici per l’Mpox; una terapia di supporto è generalmente sufficiente. In alcuni casi, potrebbe essere necessario l’uso di farmaci antidolorifici, ad esempio per alleviare il dolore associato a proctite o tonsillite. Tra i farmaci che però potrebbero essere utilizzati per trattare l’infezione si annoverano tecovirimat, cidofovir e brincidofovir. La terapia antivirale dovrebbe essere presa in considerazione soprattutto per pazienti gravemente immunocompromessi o con un alto rischio di infezione disseminata, inclusa la malattia oculare. Il farmaco di prima scelta è tecovirimat (ST-246 o TPOXX), una molecola che inibisce tutti gli orthopoxvirus testati in vitro, incluso il virus del vaiolo. Tecovirimat funziona inibendo un gene presente in tutti gli orthopoxvirus, prevenendo così la formazione e il rilascio extracellulare del virione, un passaggio cruciale per la virulenza del’MPXV (un recente studio pubblicato su Nature però mette in dubbio la sua efficacia nel contrastare la malattia). Cidofovir (CDV), un altro farmaco con attività contro diversi virus a DNA, è principalmente registrato per il trattamento della retinite da citomegalovirus. Tuttavia, l’uso di CDV è limitato dalla sua nefrotossicità dose-dipendente, che può causare un aumento della creatininemia. Tutti questi farmaci hanno attività contro il virus in vitro e in modelli sperimentali, ma è bene sapere che non ci sono ancora dati definitivi che dimostrino l’efficacia clinica (gli studi sono attualmente in corso).

Prevenzione

Per prevenire l’infezione da Mpox, è consigliabile adottare alcune precauzioni. Tra queste, l’uso del preservativo durante i rapporti sessuali con persone di cui non si conosce lo stato di salute è una misura importante, anche se, come già detto, non garantisce una protezione totale al 100%. Inoltre, è fondamentale astenersi da contatti sessuali o di altro tipo con individui che presentano sintomi compatibili con Mpox o con lesioni visibili. È altrettanto raccomandato evitare di condividere posate o tazze con persone affette da Mpox e di maneggiare la biancheria da letto, gli asciugamani o gli indumenti di chi è malato. Dopo qualsiasi contatto con una persona o un animale infetto, è necessario lavarsi bene le mani con acqua e sapone; in mancanza di acqua e sapone, è consigliabile usare un disinfettante per le mani a base alcolica. Infine, è opportuno evitare contatti con animali selvatici e, in caso di viaggio in zone endemiche, bisogna contattare il proprio medico prima della partenza per valutare la necessità di una vaccinazione contro il vaiolo. Per coloro che tornano da aree endemiche, è fondamentale sottoporsi a esami diagnostici immediati se si manifestano sintomi compatibili con Mpox.

Profilassi vaccinale

Per le misure di profilassi dell’Mpox è disponibile MVA-BN (Modified Vaccinia Ankara-Bavarian Nordic), un vaccino di terza generazione contro il vaiolo, basato su un virus vivo attenuato. E’ stato introdotto in Europa nel 2013 per il vaiolo e, ad agosto 2022, l’EMA ha esteso la sua autorizzazione all’immunizzazione contro l’Mpox, seguita dall’autorizzazione della Commissione Europea. Negli USA, il vaccino è autorizzato dall’FDA dal 2019 per entrambi i virus. In Europa e nel Regno Unito, il vaccino è commercializzato come Imvanex, mentre negli USA e in Svizzera è noto come Jynneos, e in Canada come Imvamune. Le differenze tra Jynneos e Imvanex riguardano il processo di produzione e le specifiche, ma non influenzano la qualità finale del vaccino. L’efficacia stimata pre-esposizione è dell’82% con due dosi e del 76% con una sola dose. Dopo esposizione, l’efficacia è del 20%. Tuttavia, i vaccinati mostrano una malattia meno grave rispetto ai non vaccinati. Si prevede che il vaccino MVA possa essere efficace anche contro il clade I dell’MPXV, sebbene manchino ancora prove dirette. Per le persone vaccinate contro il vaiolo, anche a più di 45 anni dalla vaccinazione, gli studi mostrano un’efficacia neutralizzante contro il MPXV fino all’85%, con una malattia generalmente più lieve rispetto ai non vaccinati.

In Italia, durante l’epidemia del 2022, sono state emesse circolari riguardanti la strategia di vaccinazione contro l’Mpox. A luglio 2022, è stata autorizzata la distribuzione temporanea del vaccino Jynneos (MVA-BN) in Europa e Italia. Il vaccino può essere somministrato anche a soggetti immunodepressi, inclusi i portatori di HIV, sebbene la risposta anticorpale possa essere ridotta. La vaccinazione in gravidanza o durante l’allattamento è sconsigliata, a meno che il rischio-beneficio non sia favorevole. Il vaccino viene somministrato tramite iniezione sottocutanea di due dosi a distanza di almeno 28 giorni o, alternativamente, per via intradermica sull’avambraccio con una dose più piccola. Per chi ha ricevuto precedentemente almeno una dose di vaccino antivaiolo o di MVA-BN, o ha completato il ciclo di due dosi di MVA-BN da oltre due anni, è sufficiente una sola dose di richiamo.

Vaccino JYNNEOS per l’Mpox. Image by: https://healthpolicy-watch.news/us-stretch-monkeypox-vaccine-supply/

Le principali fake news su Mpox

Come abbiamo sperimentato con la pandemia di COVID-19, le bufale corrono veloci quando emergono problemi di natura sanitaria, comportando rischi significativi per la salute pubblica. Circolano infatti già numerose teorie infondate sull’Mpox che occorre smentire tempestivamente. Di seguito è riportato un elenco delle affermazioni più diffuse, prive di validità scientifica, fino a questo momento.

  • Il virus che causa l’Mpox è presente nei vaccini anti Covid-19. Falso. Il virus che causa l’Mpox non è presente nei vaccini anti-COVID-19. L’MPXV è un virus a DNA della famiglia dei Poxviridae che ha come serbatoio naturale gli animali selvatici (con molta probabilità), quindi l’Mpox non può essere causato nemmeno da eventuali effetti avversi dei vaccini contro SARS-CoV-2.
  • L’Mpox non esiste perchè viene confuso dai medici con l’Herpes Zoster. Falso anche questo. Sebbene alcuni sintomi possano apparire simili, l’Mpox e l’Herpes Zoster sono due malattie distinte e non devono essere confuse. L’Herpes Zoster, comunemente noto come fuoco di Sant’Antonio, è causato dal virus Varicella-Zoster (VZV), appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, lo stesso virus responsabile della varicella nei bambini. VZV può restare inattivo nel tessuto nervoso per anni o anche per tutta la vita. L’Mpox, invece, è causato da un virus del genere Orthopoxvirus, appartenente alla famiglia Poxviridae. L’Mpox si trasmette principalmente attraverso il contatto fisico stretto e prolungato. I test diagnostici e la diagnosi differenziale consentono di identificare quale delle due infezioni sia presente attivamente nel paziente.
  • Il vaiolo delle scimmie è causato dalle scimmie. Il nome “vaiolo delle scimmie” è fuorviante, poiché il virus che causa l’Mpox non proviene dalle scimmie. Il virus è stato inizialmente identificato in scimmie da laboratorio nel 1958, da cui deriva il nome. Tuttavia, il suo serbatoio naturale è probabilmente costituito da roditori selvatici, come ratti e scoiattoli, piuttosto che dalle scimmie. Così come per gli esseri umani, le scimmie possono essere infettate dal virus, ma non sono la fonte primaria dell’infezione. Anche per questo, l’Oms ha deciso nel 2022 di abbandonare tale nomenclatura a favore di “Mpox”.
  • Mpox è una malattia che si trasmette solo tra uomini omosessuali. L’Mpox non è classificata come una malattia sessualmente trasmissibile (MST) in senso stretto, ma può essere trasmessa attraverso il contatto stretto con le lesioni, i fluidi corporei o le goccioline respiratorie di una persona infetta, che può includere i rapporti sessuali. La malattia può colpire chiunque, indipendentemente dall’orientamento sessuale. E’ vero che durante l’epidemia del 2022, si è osservato una notevole prevalenza dei casi tra uomini che hanno rapporti sessuali con uomini (MSM), ma ciò non significa che solo le persone omosessuali siano a rischio. Il rischio di infezione è legato al contatto stretto e prolungato con una persona infetta, indipendentemente dal genere o dall’orientamento sessuale. È importante evitare la stigmatizzazione e ricordare che l’Mpox può colpire chiunque entri in contatto con il virus. Rimane comunque importante coinvolgere le comunità LGBTQ e altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini per proteggere le persone più a rischio. Allo stesso modo, va ricordato che anche le lavoratrici del sesso e i loro clienti possono essere soggetti più esposti al contagio.
  • Il profilattico non protegge dalla trasmissione dell’Mpox. Sebbene il preservativo non fornisca una protezione completa contro l’infezione da Mpox (in quanto il virus può essere trasmesso attraverso il contatto diretto di altre aree del corpo), può ridurne significativamente la trasmissione. Per tale motivo, è consigliabile utilizzare il preservativo in caso di rapporti sessuali con persone di cui non si conosce lo stato di salute; inoltre, l’OMS consiglia alle persone con Mpox di usare il preservativo per 12 settimane dopo la guarigione, finché non si saprà di più sui livelli del virus e sulla potenziale infettività dello sperma e dei liquidi vaginali. Ricordiamo che l’uso del preservativo è sempre importante poiché protegge anche da una serie di altre malattie sessualmente trasmissibili.
  • L’Mpox è un complotto per imporci un nuovo lockdown come avvenuto per la Covid-19. Le vie di trasmissione dell’Mpox sono diverse da quelle della COVID-19, con il virus che si diffonde principalmente attraverso il contatto diretto con lesioni cutanee, fluidi corporei o materiali contaminati, piuttosto che tramite aerosol o goccioline respiratorie a lunga distanza. Inoltre, l’indice di trasmissibilità (Rt) dell’Mpox è finora significativamente inferiore rispetto a quello della COVID-19, rendendo molto improbabile (se non impossibile) la necessità di misure drastiche come il lockdown.
  • Non esiste alcuna sequenza genomica del virus e dell’ultima variante. Falso. Sono disponibili tutte le sequenze genomiche del virus MPXV, incluse quelle del nuovo Clade Ib (consultabili qui).

Nei prossimi mesi, assisteremo probabilmente alla diffusione di ulteriori fake news simili a quelle appena elencate, che possono generare allarmismo ingiustificato, disinformazione e ostacolare gli sforzi per proteggere la salute pubblica. Invitiamo tutti a diffidare delle “notizie dubbie” riguardanti l’Mpox e a fare riferimento solo a informazioni provenienti da fonti scientifiche e istituzionali affidabili.

Conclusioni

Ci scusiamo per la lunghezza di questo articolo, ma abbiamo ritenuto necessario trattare ogni aspetto rilevante riguardo all’Mpox. Speriamo di aver chiarito il tema e fornito tutte le informazioni utili per una corretta comprensione dell’epidemia in corso. È fondamentale scongiurare inutili allarmismi, poiché nel breve termine non si prevede un’emergenza sanitaria in Europa paragonabile a quella della COVID-19. Tuttavia, nel medio-lungo termine, il virus potrebbe diffondersi a livello globale, rendendo necessario un intervento solidale e coordinato tra le nazioni, un processo che, peraltro, è già in atto. Al momento, è impossibile prevedere con certezza come si evolverà la situazione. I casi potrebbero diminuire presto, il clade Ib potrebbe non diffondersi ulteriormente, portando l’OMS a dichiarare la fine dell’emergenza globale, come è già accaduto in passato. Questo però non significherebbe che la malattia sia stata definitivamente eradicata. Nel peggiore dei casi, il nuovo ceppo potrebbe continuare a diffondersi rapidamente, ma in questo scenario saremmo meglio preparati rispetto alla pandemia di COVID-19, poiché disponiamo già di vaccini efficaci e antivirali potenzialmente utili per i soggetti ad alto rischio. La verità è che sul Clade Ib sappiamo ancora troppo poco, le informazioni attualmente disponibili sono limitate, quindi bisogna attendere ulteriori dati per comprenderne meglio le caratteristiche. Nel frattempo, vi invitiamo a mantenere la calma e a non cadere nel panico. È sempre una buona pratica evitare di condividere notizie non verificate sui social media e fare riferimento esclusivamente a fonti ufficiali e affidabili. La corretta informazione rimane sicuramente lo strumento migliore per affrontare queste situazioni con calma e razionalità.

Altre fonti utilizzate nell’articolo:

  1. https://www.epicentro.iss.it/mpox/epidemiologia
  2. https://www.who.int/health-topics/monkeypox
  3. https://www.marionegri.it/magazine/vaiolo-delle-scimmie-mpox-monkeypox
  4. https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-infettive/pox-virus/mpox-monkeypox
  5. https://www.efsa.europa.eu/it/topics/mpox-monkeypox
  6. https://www.salute.gov.it/portale/malattieInfettive
  7. https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/risk-assessment-mpox-epidemic-monkeypox-virus-clade-i-africa

 

 

 

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