Esiste davvero un “chip che rompe i dispositivi elettronici” per farli ricomprare?

Ci segnalano un video su TikTok dove si parla di un “chip che rompe i dispositivi elettronici”, presente in “tutti gli elettrodomestici” e che governerebbe il numero di accensioni.

Nel video una figura estrae un chip da una scheda che si vorrebbe estratta da una stampante, dichiarando che quel chip regola “il numero di stampe che può fare” e che è presente nei forni e negli elettrodomestici per “dire quando può spegnersi”.

Esiste davvero un “chip che rompe i dispositivi elettronici” per farli ricomprare?

Il resto del video insinua che gli elettrodomestici non si rompano: il fantomatico chip gli ordina di spegnersi per sempre dopo tot installazioni e quindi quando porti un oggetto a riparare basterebbe “riprogrammare il chip” ma nessuno lo fa.

La “prova”? La figura costruisce un PCB, una scheda madre con dei relais e “il chip”, che però non viene più inquadrato e accende ripetutamente una lampadina, che dopo la quarta accensione non si accende più, affermando che è colpa del chip killer.

Ci sono una serie di elementi in questa storia che non quadrano.

La leggenda del SONY Timer

Il chip killer appare nel leggendario del complotto dagli anni ’80, quando il celebre produttore di elettronica di consumo SONY, creatore di radio, TV e della Playstation fu accusato di aver inserito un chip killer nei suoi prodotti per distruggerli elassa la data di garanzia.

Dal momento della nascita della leggenda, ogni singolo difetto di produzione (un lotto di batterie malfunzionante in alcuni portatili, dei televisori Bravia che effettivamente avevano un difetto di programmazione difettoso che dava problemi superate le 1200 ore di visione: difetto per il quale fu rilasciata una patch firmware ma che fu agitato per altri decenni come “pistola fumante” prova della leggenda del SONY Timer.

Periodicamente il “SONY Timer” tornò come leggenda in tutti gli altri dispositivi.

Il caso di specie

Sappiamo che i consumabili hanno dei chip che tengono traccia del consumo stesso: le batterie di tablet e cellulari hanno un BMS, un “Battery Management System” che si “appunta” il numero di cicli di ricarica, la durata della batteria e le statistiche di uso in modo da segnalarti una batteria usurata (solitamente ti ritrovi col messaggio “Batteria OK / Buona” o “Batteria da sostituire”) o evitare di caricare una batteria non più capace di reggere la carica stessa.

Anche i toner delle stampanti laser o le cartucce delle stampanti inkjet hanno circuiti di memoria che tengono traccia del numero di stampe: stimando un tot di inchiostro per riga e pagina, sei quindi in grado di sapere in percentuale quando arriverà il momento di cambiare inchiostri.

Ovviamente non è lo stesso chip “di forni e frigoriferi”.

Il chip nel video

Il chip che viene indicato nel video, estratto dal PCB della stampante, è infatti del tutto anonimo e privo di indicazioni.

La figura nel video avrebbe potuto anzi dovuto attaccarlo ad un programmatore e mostrare il programma del mistero.

Invece indica un chip che dall’aspetto somiglia ad un DC-DC converter (circuito che eleva o abbassa la tensione della corrente, consentendo ad esempio di alimentare led a 5V su un dispositivo elettronico alimentato a 24V e così via) o un convertitore AC-DC (da corrente alternata o continua).

Nel prosieguo del video, l’ingegnere “lo collega [il chip] a una lampadina”, ma il PCB collegato alla lampadina non contiene traccia alcuna del chip di cui sopra.

Dov’è il chip a otto piedi?

Bensì contiene quattro relè, dispositivi usati proprio per regolare l’accensione delle luci (i relé rendono possibile avere luci in condominio che si accendono e si spengono dopo un tot) e un PCB visualizzato sfocato con due condensatori, un chip su zoccolo diverso da quello di prima e un cavo USB per la programmazione.

Punto primo, è evidente che il chip indicato nella prima scheda non è quello indicato nella seconda.

Punto secondo, è evidente che non vi è prova che il “programma inserito” nel secondo chip sia mai stato presente nel primo dispositivo.

È la teoria della black box: io ti mostro un oggetto, non ti spiego come funziona ma dichiaro che esso funziona così e tutti i dispositivi in casa tua funzionano così, tu, siccome non hai approfondito e siccome io sono su Internet e quindi “deve essere vero” mi crederesti sulla parola comunque anche se io non mi fermassi a dimostrare quello che dico.

E l’obsolescenza programmata?

Tendiamo una mano però al lettore: non stiamo dicendo che qualcosa del genere non è mai esistito. La vita è tutta un compromesso.

Ogni dispositivo elettronico è tanto più stabile e longevo quanto il più longevo dei suoi componenti.

Immagina di poter scegliere tra comprare un’utilitaria da 9000 euro, che probabilmente tra una decina d’anni comincerà a darti noie meccaniche ed elettroniche, o un SUV da 90000 euro così robusto che potrai tramandarlo ai tuoi nipoti.

Di istinto diresti che il secondo è meglio, ma di fatto il prezzo lo renderebbe proibitivo, e tra sessant’anni probabilmente i tuoi nipoti lo farebbero rottamare comunque per un prodotto più nuovo.

Punti di contatto su chip lettura inchiostro di vecchia cartuccia compatibile per Inkjet

Alla fine si sceglie un prodotto non eterno, che però duri abbastanza. Del resto in un sistema economico dove (spesso anche a torto) cambiare cellulare una volta l’anno è un segno di distinzione, i cellulari “Rugged”, ovvero corazzati esistono (come la classe XR di Nokia) ma alla fine ci si orienta su modelli più performanti, il povero cellulare finirebbe cestinato anche da sano.

Diventa quindi necessario insistere per il “diritto a riparare”: una volta che l’utente si è liberato della forma mentis contorta per cui “nuovo è sempre meglio”, una volta accettato che non c’è vergogna nell’avere il penultimo o terzultimo modello di cellulare o una auto a chilometro zero, è essenziale consentire riparazioni facili e la sostituzione dei consumabili.

Vanno in questa direzione obblighi legislativi come la richiesta Europea di avere solo cellulari con batterie facilmente sostituibili dal 2027.

Pur non essendo tecnicamente obsolescenza programmata, rendere malagevole la sostituzione delle batterie o, peggio, rendere necessario (vedi dispositivi iPhone, bacchettati da iFixit) la “calibrazione” di molte parti sostitutive dal produttore significa di fatto tagliare fuori la rete dei laboratori indipendenti e rendere antieconomica la riparazione di dispositivi datati.

Compagnie virtuose come Fairphone producono già prodotti con elevato indice di riparabilità, e scartabellando per il portale di iFixit troverete indici simili anche per portatili e simili.

Da quando parlammo la prima volta del SONY Timer alcuni produttori hanno recepito tali indicazioni: Apple ha semplificato la procedura citata di “calibrazione” rendendola accessibile a laboratori terzi e introducendo adesivi interni che possono essere rimossi toccando due contatti con una batteria alcalina.

Prova empirica per prova empirica, chi vi scrive ha appena cambiato per l’ennesima volta il toner di una stampante del 2011 che, a parte qualche rumore molesto di troppo, la mancanza di funzioni ora scontate (come il fronte-retro e un pannello informazioni chiaro e leggibile anziché dei led stenti) e la plastica ingiallita istoriata di adesivi di centri di riparazione ancora disponibili a lavorare su un reperto del genere funziona ancora decentemente.

Conclusione

Il video presenta quindi diverse anomalie che non consentono di identificare nel presunto chip, assai probabilmente un DC DC o AC DC Converter, un “chip killer che spegne i dispositivi”, reiterando quindi senza alcuna prova la teoria del complotto del SONY Timer.

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