Doom: il retrogame che funziona ovunque

di Shadow Ranger |

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Doom: il retrogame che funziona ovunque Bufale.net

Esiste ormai una regola nel mondo dell’informatica: se esiste, può girarci Doom. Doom è diventato parte di una triade infame: se un oggetto può produrre audio, esso sarà messo alla prova col brano musicale “Bad Apple!!” di Jun’ya Ōta, se può produrre testo una sequenza di “Hello World”, se può astrattamente far girare un videogames esso sarà un porting di Doom.

Ma partiamo con ordine.

La storia e l’universo di Doom

Non tutti sanno che Doom fa parte di un universo narrativo esteso che affonda le sue origini in Castle Wolfenstein (1981) e Beyond Castle Wolfenstein (1984) di Muse Software, giochi per Apple II ed MS-DOS, primi antesignani del genere stealth-esplorazione.

In questi giochi eri un soldato americano mandato in un castello pieno di nazisti a sparare agli stessi evitando il più possibile di essere visto sostanzialmente: nel secondo un elemento di novità consentiva di inserire una bomba nel famoso “bunker di Hitler” diventando così l’artefice della sua morte.

Erano giochini semplici, con vista dall’alto: la saga fu però riesumata da quattro membri della società informatica Softdisk: John Carmack e John Romero (programmatori); Tom Hall (game designer); Adrian Carmack (artista) ora parte di una nuova società chiamata “Ideas from the Deep”, o per comodità ID Software, autori della saga di Commander Keen (1990), buffo ragazzino geniale in grado di viaggiare nel cosmo per sconfiggere alieni goffi quanto cattivi e di Dangerous Dave (1988), clone parziale di Mario Bros. per l’ormai moribondo Apple II.

Doom: il retrogame che funziona ovunque

Doom: il retrogame che funziona ovunque

Id Software riesum quindi Wolfenstein nella forma di uno sparatutto in 3D con elementi fantascientifici dal titolo poco immaginativo di Wolfenstein 3D, nel 1992.

Era un’operazione nostalgia in quello che ora chiameremmo operazione nostalgia: con la benedizione degli autori originali, si rianimava una saga data per morta da ormai dieci anni e la si portava così nel mondo colorato e ricco di suono del “PC Multimediale”.

Nella nuova storia/sequel/reboot il soldato americano di origine polacca B.J. Blaskowicz, dopo aver ricevuto dall’agente segreto chiamato “Commander Keen” (evidente riferimento al gioco precedente) informazioni relative ad armi segrete dei nazisti in grado di fargli vincere la Seconda Guerra Mondiale si ritrova in un castello invaso da mutanti nazisti, scienziati nazisti a combattere con Hitler fuggito dal bunker dove avrebbe dovuto suicidarsi in un’esoscheletro potenziato (!!), demoni evocati dall’Asse per combattere gli Alleati ed altre assurde mostruosità.

Nel 1993 ID Software carica sul server FTP dell’Università del Wisconsin un’edizione “shareware” del loro ultimo gioco, Doom, cementando il concetto di sparatutto in prima persona lanciato con Wolfestein 3D: Carmack aveva in mente una fusione horror-scifi tra la saga de La Casa/L’Armata delle Tenebre e la saga di Alien, Hall preparò un intero universo narrativo che però fu brutalmente semplificato, portando alle sue dimissioni.

Screen di Castle Wolfenstein

Screen di Castle Wolfenstein

Nel “Doom perduto” ci sarebbero stati quattro giocatori, due donne di azione bellissime (nella loro pixellata gloria almeno) e dallo “Sguardo intenso” e due robusti uomini di azione, cosa che si sarebbe evidenziata nel gameplay (le due donne guerriere sarebbero state veloci ma non robuste, i due uomini al contrario robusti ma lenti e portati per la lotta corpo a corpo) intenti a giocare a carte per poi vedere la loro partita disturbata dalla tipica invasione di demoni spaziali.

Carmack decise di insistere per il “trattamento Zelda”: ci sarebbe stato solo un eroe, lo “Space Marine o Doomguy”, dal generico volto di soldato coi capelli a spazzola perché “Il giocatore devi essere TU” e quindi un avatar generico dove il giocatore medio (evidentemente con un demografico di soli maschi) avrebbe potuto riversare se stesso.

Doomguy non ha quindi un nome: nella Doom Bible del Doom Perduto un personaggio simile è però Buddy Dacote, collega del quartetto protagonista che muore nel finale. Altri nomi usati per media in cui un nome è necessario, come libri e film sono stati Flynn Taggart e John Grimm, detto “Grimm the Reaper”, intraducibile gioco di parole che tradotto letteralmente lo renderebbe Giovanni Tristo detto il Tristo Mietitore.

Quello che ID Software ha confermato però è che Doomguy è un diretto discendente di BJ Blaskowicz e Billy Blaze, il bambino protagonista di Commander Keen.

Screen di Doom, con l'immagine di Doomguy/Doom Slayer

Screen di Doom, con l’immagine di Doomguy/Doom Slayer

Nell’universo condiviso BJ è tornato a casa in America dopo aver trinfato su Mecha-Hitler e aver irritato diversi demoni che gli avrebbero giurato vendetta assicurando che avrebbero cercato i suoi discendenti per nuocere loro ed aveva un figlio, il giornalista Arthur Kenneth, che avrebbe a sua volta deciso di cambiare il suo cognome in Blaze per essere più americano.

Arthur avrebbe però chiamato suo figlio Billy, dandogli il nome del nonno (B.J. sta per “Billy Joseph”, abbreviazione di William Joseph) e Billy avrebbe preso per se stesso il nickname del geniale amico/spia del nonno, Commander Keen.

A sua volta Billy avrebbe avuto almeno un figlio (due, secondo un sequel moderno cancellato) di cui uno avrebbe (Billie, se consideriamo canon Doomguy come un Blaskowicz per sangue ma non per nome, Billy III se ipotizziamo che un Blaze abbia ripreso il cognome originale) a sua volta avuto figli di cui uno diventato uno Space Marine in onore dell’antenato soldato e dell’antenato eroe spaziale.

Ovviamente perseguitato dai discendenti dei demoni infernali irritati dal trisavolo.

Tutto questo ovviamente è da considerarsi semplice “cibo per i fan”: Carmack era un convinto sostenitore della teoria che giocare un videogame degli anni ’90 per la trama fosse come “guardare un porno per per stupirsi della trama”. La trama serviva solo come canovaccio per tenere insieme musica, pestaggi e demoni che cadono a pezzi.

Potreste inoltre pensare che Doom come titolo derivi dal fatto che Doomguy o Doom Slayer era l’uomo che si ergeva tra gli umani e la distruzione demoniaca.

Non è così: il riferimento è ad una scena del “Colore dei Soldi” di Scorsese dove il protagonista definisce la stecca da biliardo con la quale intende cambiare le sue sorti vincendo una serie di partire come “Doom”, il “Destino” stesso.

Cosa è Doom

Arriviamo quindi a capire cosa è Doom: il nuovo destino dei videogames, le avventure di un muscoloso Space Marine che voleva semplicemente andare su Marte per aiutare lo sforzo bellico e di esplorazione della razza umana (e si ritrova nel peggior avamposto in quanto insubordinato, avendo picchiato un superiore che voleva sparare su civili inermi) e si trova perseguitato da demoni mostruosi e marines posseduti (come i Deaditi dell’Armata delle Tenebre) che peraltro uccidono la sua coniglietta domestica Daisy rendendo la batttaglia ancora più biecamente personale, usando alcuni easter egg per fare esplicitamente riferimento al fatto che anche per i demoni è personale, in quanto alla ricerca dell’ultimo erede dei Blaskowicz/Blaze per vendicarsi.

Doom prende tutte le intuizioni di Wolfenstein 3D e le potenzia: siamo di fronte ad uno pseudo3D (mappa bidimensionale con rendering in 2.5D e uso creativo delle texture per simulare il 3D) con audio stereofonico in grado di effettuare al volo il rendering di quello che è nel campo visivo del giocatore.

Cammeo di Commander Keen in Doom

Cammeo di Commander Keen in Doom

Doom è pertanto incredibilmente fluido sul computer di riferimento, un “Multimedia PC” con processore 486, VGA e audio stereofonico: il Doom Engine si basa sui vertici geometrici, in grado di formare una linea chiamata linedefs, che se divide degli spazi crea dei sidedefs (creando quindi la possibilità di avere un muro invalicabile o una porta verso altri ambienti. Tre sidedefs formano un settore, costruendo quindi un mondo di gioco non del tutto 3D, ma abbastanza per creare casi di motion sickness ai primi giocatori non abituati.

Le mappe di gioco erano arricchite da una serie di armi che facevano buon uso della tastiera come controller, in un periodo in cui il joystick cominciava a diventare un oggetto sempre più raro sulle scrivanie del “gamer PC”, antesignano del mondo attuale in cui il vero gamer spende soldi per una buona tastiera meccanica retroilluminata e non per un pad.

Partivi coi pugni e la pistola, un’arma a contatto ed una a proiettile, per poi sbloccare la motosega, il fucile, il mitra, il lanciarazzi, il fucile plasma e l’arma più iconica della serie, la BFG9000 (“Big Fuc*ing Gun 9000”, “Grossa ca**uta pistola”), un cannone al plasma in grado di annientare ogni nemico con un colpo, ma con proiettili rarissimi da trovare.

Le colonne sonore furono create da Robert “Bobby” Caskin Prince III, avvocato passato al mondo della musica, che si ispirò ad ambientazioni metallare e hard rock consistenti con una caciarona invasione demoniaca di creature ispirate ai mostri di Dungeon&Dragons (come il “Cacodemone” ispirato al Beholder) e il Cyberdemone, lo stesso demone evocato dai Nazisti, menomato da B.J. e ora munito di arti artificiali pronto alla rivincita con gli eredi del suo nemico.

Il Doom Engine spiegato per immagini

Il Doom Engine spiegato per immagini

Doom era, come si è visto, nato col multiplayer in mente: nella versione finale quattro Doomguy uguali possono sfidarsi l’uno con l’altro.

Al principio fu implementata la modalità “cooperativa”, dove i quattro facevano a gara a chi uccideva i demoni sulla mappa in modo più efficiente, per poi introdurre una modalità deathmatch in cui lo scopo era “fraggarsi”, ovvero uccidersi a vicenda.

Doom pertanto contribuì in modo seminale alla popolarizzazione del First Person Shooting Multiplayer, direttamente e per mezzo dei suoi sequel, così tanto che se ID Software aveva previsto Doom come “causa mondiale del calo di produttività nel mondo” si registrarono tentativi di ditte come Intel, Lotus e diverse università di impedire che studenti e lavoratori poco zelanti si portassero Doom da casa per sfruttare la Ethernet locale e dedicarsi a gioiose sfide in orario di lavoro.

Cosa che chi vi sta parlando potrebbe o potrebbe non aver fatto quando furono introdotti computer connessi ad Ethernet nei licei, si badi.

Doom era un capolavoro epocale: il “Messia” dei videogames, ironicamente odiato dai gruppi di famiglie cristiane per le iconografie demoniache e per la curiosa teoria per cui Doom Slayer “combatte l’inferno ma senza che ci sia un paradiso”, cosa che, a onor del vero, dovrebbe renderlo il più virtuoso dei virtuosi in quanto colui che crede nella virtù “senza testimoni, senza ricompensa, senza speranza”.

La natura modulare di Doom il gioco che “gira ovunque”

Carmack era un asserito sostenitore della cultura del copyleft e del mondo hacker nel senso più puro del termine. Non quindi il ragazzino smanettone nella sua stanzetta buia che passa dall’effettuare miracoli tipo Matrix all’usare le AI per fare revenge porn delle compagne di classe, ma il curioso aspirante programmatore che ama conoscere il mondo.

Doom fu creato modulare, in modo che ognuno potesse creare propri file livello, i PWAD, e il lavoro modulare di Doom rese possibile portare la saga originale su praticamente ogni cosa.

All’arrivo di DirectX, Doom fu portato su Windows 95 assieme ad un numero amplissimo di console dell’epoca, dal Sega Saturn alla Playstation passando per SuperNintendo e GameBoy Advance, sia pur con le limitazioni dell’assenza di una tastiera.

Doom riaccese la popolarità dei cheat code, inserendo codici sfacciati, come il god mode con iddqd e idkfa per sbloccare armi e chiavi, creò la popolarità delle mod e lanciò la popolarità di Quake, erede spirituale di Doom che cementò quanto accumulato da Doom passando dal gioco online mediante LAN al gioco online mediante IP, quindi con giocatori da tutto il mondo.

Doom: da ora anche su sveglia

Doom: da ora anche su sveglia

Ma rese possibile una lunga, lunghissima serie di porting. Ufficiali (la trilogia originale di Doom è giocabile su Nintendo Switch), non ufficiali ma quasi (sul Miyoo Mini e su altre console portatili è possibile scaricare un porting di Doom al quale aggiungere i file livello presi dal gioco PC) e del tutto pazzerelli.

Wikipedia riporta un albero di porting del motore base di Doom così elaborato da perderci la testa, con infinite varianti nate dalla necessità di avere Doom su Linux e altri sistemi e finite a portare Doom dove non dovrebbe essere.

Doom su TempleOS, il sistema operativo nato quando Terry Andrew Davis, il “programmatore di Dio” decise che il Signore gli aveva ordinato di onorarlo con un sistema operativo? C’è: Davis non potè prevedere che la gente ci avrebbe sbudellato demoni alieni.

Doom sul termostato o sul bancomat? Ovviamente c’è.

Doom su Switch lo conosciamo, e su Alarmo, la sveglia online di Nintendo? C’è anche su Alarmo, senza audio ma giocabile usando i tasti per programmare la sveglia.

È stato teorizzato Doom che gira su computer “organici” dove le porte logiche sono un esercito di granchi, è stato avvistato Doom su un test di gravidanza, su iPod, stampanti, forni e tutto quello che ha la capacità astratta di calcolare, eventualmente in versione “downgradata” per venire incontro a sistemi limitati.

“Ci gira Doom” è divenato un meme, un enigma la cui risposta è: qualsiasi cosa.

“Rip and tear until it’s done”: il futuro della saga

Alla saga di Doom non è consentito avere un fine. Ai primi tre capitoli di Doom per PC seguì in parallelo Doom 64, sequel alternativo tra Doom II e III per il Nintendo 64 e il suo scomodo pad, e nel 2016 un reboot moderno, Doom, rivelatosi con Doom Eternal un sequel/reboot: lo Space Marine ha scoperto il Multiverso, concetto caro ai giocatori moderni, e la sua missione non finirà finché non avrà “fatto a pezzi” (“rip and tear”) tutti i demoni pronti a minacciare gli infiniti mondi.

C’è stato anche un film, il citato film del 2005 (giusto in tempo per ricordare al mondo di Doom, ma senza tropppo successo), dove Dwayne “The Rock” Johnson e Karl Urban massacrano lietamente mostracci grazie alla magia del multiverso.

E mentre esiste un reboot di Wolfenstein ambientato in un mondo alternativo dove l’Asse ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e spetta ai Blaskowicz rimediare negli anni ’60, nel reboot di Doom il protagonsita è sempre e solo lui. Doom Slayer era un tempo ogni anonimo ragazzino degli anni ’90, ora è un “antibaubau”, un eterno guardiano sulla soglia dell’inferno pronto a vegliare su di noi da PC da gioco, console portatili e fisse, tostapane, forni a microonde, calcolatrici, patate collegate a lampadine e qualsiasi cosa possa essere vagamente chiamata elaboratore.

La saga continuerà col single player Doom the Dark Ages, ed ha avuto porting e spin-off ufficiali per cellulari.

Anche se i più divertenti vedono Doom girare su “qualsiasi cosa”.

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