La differenza tra la scienza e l’approssimazione che, come abbiamo spesso denunciato, fa il giro del web? La prima cerca una cura col DNA, l’altra utilizza il DNA per inventarsi complotti. Nel corso della pandemia di coronavirus che stiamo attraversando abbiamo senz’altro dovuto fare i conti con una disinformazione e una diffusione di fake news che ha dato il meglio (anzi, il peggio) di sé. La lotta alle bufale sul coronavirus, su possibili cure per il Covid-19, su metodi e tipologie di diffusione della malattia è stata davvero una battaglia senza quartiere, che ci ha tenuti impegnati su tutti i fronti.
Del resto, gli attacchi alla verità arrivano dappertutto e con più mezzi di comunicazione. Basta una catena su WhatsApp o sui social network come dimostra il caso analizzato di recente a proposito di una possibile cura del coronavirus con aspirine e antinfammatorio, studiata da presunti medici tedeschi che “si sono ribellati alla legge sanitaria mondiale dell’OMS”. Non ci voleva poi molto a capire che, in realtà, si trattava di un messaggio malamente tradotto con Google Translate che non ha alcuna base scientifica.
Quest’ultima fake news risale al mese di ottobre, ma da marzo in poi si è assistito a un vero e proprio crescendo rossiniano da questo punto di vista. Come dimenticare la bufala del farmaco Avigan (secondo i complottisti, in Giappone era stata trovata una cura con un farmaco da banco che nel resto del mondo era stata tenuta nascosta)? O quella della vitamina C come rimedio efficace e naturale contro il coronavirus, che aveva tratto in inganno persino qualche vip sui social network e contro cui Roberto Burioni si era scagliato in un famoso tweet?
La fake news sul coronavirus crea false speranze e, allo stesso tempo, genera rabbia perché l’utente ha sempre la sensazione che le istituzioni ufficiali gli nascondano qualcosa. Invece i processi scientifici sono lunghi (lo stiamo vedendo anche per il vaccino contro il Sars-Cov-2) e hanno bisogno di creare un dibattito interno che sia funzionale alla ricerca.
Torniamo al tema della cura col DNA per quanto riguarda le malattie rare. Da questo punto di vista, ad esempio, si segnala la quarta giornata della dodicesima conferenza mondiale “Science for peace and health” organizzata dalla Fondazione Veronesi, nel corso della quale si svilupperà il tema del rapporto tra DNA e virus.
Lo studio di questo rapporto affonda le radici in anni di ricerca che potrebbero portare a individuare cure col DNA, aprendo il capitolo (molto dibattuto anche da un punto di vista etico) sul gene editing, una tecnica con la quale è possibile correggere geni difettosi senza fornire una copia dall’esterno. Nulla a che vedere con presunte teorie – si è scritto anche questo in rete – in base alle quali alcune personalità influenti a livello globale (il più bersagliato di tutti è sempre stato Bill Gates nell’ultimo periodo) effettuerebbero modifiche proprio al nostro DNA attraverso un microchip diffuso nel corpo umano con il vaccino contro il coronavirus. Altre teorie complottiste da respingere al mittente, addirittura, sovrappongono il coronavirus al DNA stesso, giustificando presunti consigli per combatterlo e attribuendoli, senza alcun fondamento, addirittura alla Johns Hopkins University.
Notizie come queste non fanno altro che aumentare la confusione, generare panico ingiustificato e diffondere un sentimento di sospetto e di negazione rispetto ai progressi in ambito scientifico. Per questo è importante la corretta informazione e la divulgazione settoriale. Anche se arginare la marea di disinformazione richiede uno sforzo ulteriore.
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