Ci segnalano i nostri contatti il seguente articolo, riassunto di un articolo di il Giornale che in parte abbiamo smentito parlando della bufala annessa che si è immediatamente scatenata in Rete.
Un gambiano 31enne, Buba C, in carcere per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, è stato rimesso in libertà dal Tribunale del riesame di Milano. I giudici concordando con l’avvocato difensore hanno fatto cadere le accuse a suo carico decidendo la scarcerazione per “assenza di gravi indizi”. Quello che appare paradossale è che quegli stessi indizi nel giudizio per direttissima, che si è svolto il 27 luglio scorso, avevano portato l’africano direttamente in cella a San Vittore, considerando anche il fatto che l’uomo era stato sorpreso dagli agenti per la seconda volta in quattro giorni a spacciare droga nella periferia nord del capoluogo lombardo.
Pusher rimesso in libertà
I giudici del Tribunale del riesame pur ammettendo che l’immigrato sia recidivo e che ci sia “un concreto e attuale pericolo di reiterazione di analoghi reati,” – tenuto conto che l’uomo era già stato denunciato 6 mesi fa e arrestato nel novembre del 2016 – hanno deciso di applicare solo il divieto di dimora nei territori del Comune di Milano, dove l’uomo ha svolto la sua attività di pusher. Anzi, seppur assai discutibili nelle motivazioni al rilascio, il Riesame ha voluto trovare anche alcuni “alibi” alla condizione di fuorilegge del gambiano respinto dalla Svizzera come clandestino e fotosegnalato per la prima volta in Italia due anni fa a Como, con precedenti penali per spaccio, altre due denunce tra quest’anno e il 2017 rispettivamente per falsa attestazione sull’identità personale e per ricettazione.
“Spaccia droga per necessità”
In primis secondo il Riesame il 31enne farebbe lo spacciatore perché: “Vendere droga è la sua sola fonte di sostentamento e lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi”. Un altro motivo per il quale i giudici milanes hanno aaccolto il ricorso decidendo per la scarcerazione è che il tribunale ordinario a loro parere avrebbe ragionato in maniera errata. “Il dato ponderale» (cioè le 5 pastiglie di ecstasy, ndr) – infatti per questi magistrati – è molto contenuto”. E non consentono la custodia cautelare in carcere visti i limiti di pena previsti dall’articolo 73, comma 5 della legge 309 del 1990 (che parla proprio di reati di lieve entità, ndr).
Abbiamo evidenziato in grassetto le parti sospette, e per rincarare la dose, prendiamo anche delle parti mancante da il Giornale
È così che l’africano – respinto dalla Svizzera come clandestino e fotosegnalato per la prima volta in Italia due anni fa a Como, con precedenti penali per spaccio, altre due denunce tra quest’anno e il 2017 rispettivamente per falsa attestazione sull’identità personale e per ricettazione – secondo i giudici milanesi che decidono per il rilascio dei detenuti, farebbe lo spacciatore perché, scrivono, non avendo «(…) alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi».
E non è tutto. I giudici del Tribunale del riesame ammettono che ci sia «un concreto e attuale pericolo di reiterazione di analoghi reati, tenuto conto dei precedenti specifici, l’ultimo dei quali risale a pochi giorni prima dell’arresto» (e qui elencano anche le denunce che avevano già colpito Buba C.). Così concludono: «Posto che il reato è stato commesso a Milano» e che le impronte sono tutte relative «a fatti commessi in questa città, va applicato il divieto di dimora nei territori del Comune di Milano, onde ad allontanare il ricorrente dal contesto territoriale in cui ha operato». Come se davvero fossero così ingenui da poter anche lontanamente sperare che un tipo del genere si possa fare degli scrupoli a tornare in un luogo che gli è stato precluso.
La parte più grave però è sicuramente la seguente. I giudici del Riesame accolgono il ricorso perché, anche se in direttissima si è deciso che Buba C. doveva andare in carcere, il tribunale ordinario a loro parere avrebbe ragionato in maniera errata. «Il dato ponderale» (cioè le 5 pastiglie di ecstasy, ndr) – infatti per questi magistrati – è molto contenuto». Scordando come anche una sola pastiglia di questa sostanza psicoattiva possa significare morte sicura.
Abbiamo deciso, dopo tanta ponderazione, per il tag Disinformazione perché, se l’assunto evidenziato è logico per la Sciura Maria ed il Quisque populi, agli occhi della legge e del diritto la decisione del Tribunale del Riesame di Milano è ineccepibile
Ma andiamo con ordine
Il Tribunale del Riesame non si occupa della condanna in sé.
Il Tribunale del Riesame di Milano, contrariamente a quanto fanno pensare i commenti indinniati scaturiti dall’articolo, non si occupa di dichiarare le colpe, ma si occupa delle sole misure cautelari coercitive, come ex art. 309 cpp
1. Entro dieci giorni dalla esecuzione o notificazione [293] del provvedimento, l’imputato può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, della ordinanza che dispone una misura coercitiva [281-286], salvo che si tratti di ordinanza emessa a seguito di appello del pubblico ministero [310] (1) (2) (3).
2. Per l’imputato latitante [296] il termine decorre dalla data di notificazione eseguita a norma dell’articolo 165. Tuttavia, se sopravviene l’esecuzione della misura, il termine decorre da tale momento quando l’imputato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.
3. Il difensore dell’imputato può proporre la richiesta di riesame entro dieci giorni dalla notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura [293 3, 296 2].
3-bis. Nei termini previsti dai commi 1, 2 e 3 non si computano i giorni per i quali è stato disposto il differimento del colloquio, a norma dell’articolo 104, comma 3.
4. La richiesta di riesame è presentata nella cancelleria del tribunale indicato nel comma 7. Si osservano le forme previste dagli articoli 582 e 583 (4).
5. Il presidente cura che sia dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno (5), trasmette al tribunale gli atti presentati a norma dell’articolo 291, comma 1, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini (6).
6. Con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi e l’imputato può chiedere di comparire personalmente. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell’inizio della discussione(9).
7. Sulla richiesta di riesame decide, in composizione collegiale, il tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza.
8. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’articolo 127. L’avviso della data fissata per l’udienza è comunicato, almeno tre giorni prima, al pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 e, se diverso, a quello che ha richiesto l’applicazione della misura; esso è notificato, altresì, entro lo stesso termine, all’imputato ed al suo difensore. Fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia.
8-bis. Il pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione della misura può partecipare alla udienza in luogo del pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7. L’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente(9).
9. Entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il tribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l’ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza. Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso (7). Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa. (9)
9-bis. Su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell’ordinanza sono prorogati nella stessa misura(10).
10. Se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata. L’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione(8)(9).
Allora non leggete. Si parla, evidentemente, di misure cautelari.
Le misure cautelari sono dei provvedimenti emessi nel periodo intercorrente tra l’inizio del procedimento penale e l’emanazione della sentenza. Vengono adottati dall’autorità giudiziaria per evitare che si verifichino alcuni pericoli; nello specifico i pericoli che l’adozione vuole scongiurare sono: 1) difficoltà nell’accertamento del reato; 2) difficoltà nell’esecuzione della sentenza; 3) possibilità che vengano compiuti altri reati o che si aggravino le conseguenze di un reato.
Presentano determinate caratteristiche: sono strumentali al procedimento penale perchè mirano ad evitare che si verifichino i summenzionati pericoli; per le stesse ragioni sono anche provvedimenti urgenti; sono incidentali in quanto è necessaria l’esistenza di un procedimento penale; agli atti deve sussistere una prognosi di colpevolezza che però, in ossequio all’art. 27 Cost., comma II, deve essere ponderata alla luce del principio di presunzione di innocenza fino alla definitività della sentenza; sono provvedimenti immediatamente esecutivi, sebbene provvisori, in quanto oltre a venir meno con l’emissione della sentenza definitiva, possono essere revocate o modificate; sono impugnabili tramite i meccanismi previsti dal codice (riesame, appello e ricorso per Cassazione); sono espressamente tipizzate dalla legge; infine possono essere disposte solo con un provvedimento del giudice di cui la giurisdizionalità delle stesse.
Detto in parole semplici: siccome siamo ancora in uno stato di Diritto, nel quale nessuno può essere dichiarato colpevole se non in forza di sentenza passata in giudicato, nel frattempo comunque lo Stato ha il diritto di assumere dei provvedimenti tali da limitare le capacità del reo di ripetere un reato.
Ma siccome il diritto penale è comunque l’ultima risorsa dell’ordinamento, ed abbiamo superato da diversi secoli il Medioevo in cui le pene venivano irrogate a caso, senza sanzione, anche le misure cautelari vengono irrogate in un rigoroso ordine gradato, in cui la misura cautelare “carceraria” è l’ultima possibile ed irrogabile.
Un elenco di criteri è contenuto nell’art. 275 cpp, a cui si rimanda per la disamina
Ma la sapete la differenza tra obiter dicta, attenuanti e dispositivo?
Una sentenza, ma anche un’ordinanza o un mero provvedimento, è un capolavoro di esattezza, la legge che da universale e generale si incarna in un principio particolare e legato al caso: in Tribunale del Riesame di Milano non fa certo eccezione
Prima si descrive tutta la situazione in ogni suo ambito, poi si indicano gli elementi fondanti per la decisione, in questo caso sulle misure cautelari.
Eh, te li hanno messi davanti, ma tu non leggi, scusa.
Ad esempio l’art.73 del DPR 309/90.
E no, non importa a nessuno che “anche con una pastiglia si muore”, questa non è la Pubblicità Progresso. I Tribunali obbediscono alle leggi, non agli elementari principi di cautela cui dovrebbe, piuttosto, obbedire chi decide di comprarsela la droga.
Problema, questo, diverso rispetto all’applicazione delle misure cautelari.
E sull’art. 73 DPR 309/90 si sono scritti fiumi di inchiostro che portano addirittura a considerarlo una autonoma fattispecie di reato, più tenue, più che una vera attenuante.
Certo che vogliamo punirlo, popolo della Rete. Ma dopo una legittima sentenza, e nel frattempo gradiremmo che sia sottoposto alle misure cautelari previste, stabilite coi criteri dell’art. 275 cpp e in base al titolo di reato di cui al citato art. 73 309/90.
In seguito, alle misure cautelari seguirà una sentenza. Potrebbe essere assoluzione, potrebbe essere condanna, il fumus parrebbe portare alla condanna, ma non ci importa.
Ci rivedremo dopo la sentenza, e non un minuto prima.
È il modo più efficace per evitare la reiterazione del reato.
E se per altro il soggetto non dovesse ottemperare, in quel caso allora il Tribunale vi farebbe contenti, sia applicherebbe l’art. 276 cpp e le misure cautelari sarebbero rimodulate al gradino successivo… fino alle misure cautelari detentive
1. In caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell’entità, dei motivi e delle circostanze della violazione (1). Quando si tratta di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura interdittiva [287 ss.], il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo anche con una misura coercitiva [280, 299 4].
1-bis. Quando l’imputato si trova nelle condizioni di cui all’articolo 275, comma 4bis, e nei suoi confronti è stata disposta misura diversa dalla custodia cautelare in carcere, il giudice, in caso di trasgressione delle prescrizioni inerenti alla diversa misura cautelare, può disporre anche la misura della custodia cautelare in carcere. In tal caso il giudice dispone che l’imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l’assistenza necessarie (2).
1-ter. In deroga a quanto previsto nel comma 1, in caso di trasgressione alle prescrizione degli arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice dispone la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entità (3).
Riassumendo, possiamo assumere che le misure cautelari sono diverse dalla reclusione: la seconda arriva alla fine di un percorso, la prima accompagna l’imputato durante il procedimento come mezzo per tenerlo d’occhio.
E possiamo aggiungere che, in quanto difformi dalle pene della reclusione della multa, le misure cautelari segono un binario diverso da quello delle pene indicate.
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