Dove c’è lui non cresce più l’erba. Non è solo un modo di dire ma il risultato di un esperimento condotto qualche anno fa da un gruppo di studentesse danesi. Il “lui” in questione è un router che, messo nelle vicinanze di alcune piante, ne ha impedito la crescita. Tutta colpa del Wi-Fi?
La storia risale al 2013, quando 5 studentesse dalla Hjallerup School condussero un esperimento che sconvolse la comunità scientifica.
Tutto cominiciò con un’osservazione e una domanda. Le ragazze notavano infatti che se di notte dormivano con i cellulari vicino alla testa, spesso il giorno dopo avevano difficoltà a concentrarsi a scuola. Così, decisero di verificare l’effetto delle radiazioni dei cellulari sugli esseri umani. Peccato però che la loro scuola non fosse in possesso dell’attrezzatura per gestire un simile studio.
A quel punto, le ragazze progettarono un altro esperimento grazie al quale poter testare l’effetto delle radiazioni dei cellulari su una pianta di Lepidium sativum, meglio nota come crescione inglese.
Le studentesse posizionarono sei vassoi pieni di Lepidium sativum, in una stanza senza radiazioni, e altri sei nella stanza accanto a due router che secondo i calcoli delle ragazze, emettevano circa lo stesso tipo di radiazione di un normale cellulare.
Per 12 giorni, osservarono, misuraronoo, pesarono e fotografarono le piante. Alla fine dell’esperimento i risultati erano evidenti: i semi di crescione posti nei pressi del router non erano cresciuti. Molti, addirittura, erano morti. Al contrario quelli piantati nell’altra stanza, lontano dai router, prosperavano.
L’esperimento, a dir poco inquietante seppur molto semplicistico, fece scalpore oltre a far guadagnare alle ragazze il massimo dei voti in un concorso scientifico regionale. I loro risultati stuzzicarono la curiosità degli scienziati di tutto il mondo, interessati a ripetere l’esperimento in un ambiente scientifico professionale e controllato.
Intanto, le studentesse danesi hanno smesso di dormire col cellulare vicino alla testa….
Semplicistico è la parola chiave.
L’esperimento, dell’ormai lontano 2013 ha tutti gli elementi di una narrazione di successo: delle giovani ragazze spigliate ed intelligenti lodate per il loro acume, il misterioso e malvagio Wi-Fi distruttore di mondi e l’ennesima ripetizione della parabola dell’umile Davide che sconfigge il grande Golia con fionda e fede.
Ma le cose sono diverse.
Certo, le studentesse hanno dimostrato grande curiosità e voglia di mettersi in gioco, cosa importante per uno scenziato.
Ma non la maturità ed il metodo scientifico richiesti per produrre risultati apprezzabili.
Il responso della comunità scientifica non si è fatto attendere: abbiamo qui una traduzione ed una raccolta delle criticità in lingua danese ed inglese evidenziate. Per i più pigri (che sono comunque invitati ad esaminare le fonti), tradurremo gli aspetti salienti in Italiano
I piattini non erano separati, quindi non possiamo considerarli come osservazioni indipendenti. Errore nell’analisi statistica.
Inoltre alcuni citati preponenti della teoria del Wi-Fi nocivo provarono a difendere la posizione delle stesse replicando l’esperimento in maniera ancora più inesatta ed raffazzonata, limitandosi ad usare due piattini per gruppo di indagine, sostituendo il Wi-Fi col GSM e fermando tutto a 10 giorni di esperimento.
Possiamo capire che delle giovani studentesse, in ristrettezze e con conoscenze di rango scolastico, possano non avere gli strumenti necessari per proseguire un esperimento: ma perché un adulto dovrebbe voler McGyverare un risultato?
Sostanzialmente, lode alle ragazzine per l’acume dimostrato: ma tutto questo rende il loro risultato decisamente inattendibile.
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