Molte le segnalazioni in merito all’articolo pubblicato dal solito VoxNews dal titolo “Non fuggivano dalla Siria in guerra, vivevano (bene) da 3 anni in Turchia” del 4 settembre 2015.
Dimenticate la storia della famiglia in fuga dalla guerra in Siria. Inseguita dalle orde di ISIS. E’ una menzogna. O una ‘mezza bufala’ come piace dire solitamente ai dis-informatori.
La famiglia del povero bambino affogato non stava fuggendo da Kobane, viveva in Turchia (in una casa, non in un campo profughi, come raccontato al Guardian dalla sorella del padre, Tima Kurdi, che ha affermato di pagare l’affitto) da tre anni. Dove il padre aveva un normale lavoro, che gli ha permesso di pagare una somma ingente di diverse migliaia di euro (i media parlano di 4.000 euro in contanti, un piccolo tesoro a quelle latitudini) ad altri siriani, perché lo facessero salire, con moglie e figli, su uno dei tanti gommoni che da Bodrum portano alle isole greche. Perché voleva andare in Canada.
La famiglia Kurdi – etnia curda – era arrivata in Turchia da Kobane, dove si era in precedenza trasferita da Aleppo. Prima vivevano a Damasco. Ma da ormai tre anni viveva al sicuro, lontano dalla guerra, in Turchia. Che non sarà le Bahamas, ma non è un luogo dal quale scappano i ‘profughi’.
Questo particolare è raccontato al Guardian da Mustefa Ebdi, un giornalista di Kobane:
The Kurdi family had been forced to move several times during the Syrian conflict and left the country in 2012. He said the correct family name was Shenu, but that Kurdi had been used in Turkey because of their ethnic background.
Non siamo quindi davanti alla storia triste di profughi che sotto le bombe decidono di scappare, ma di un uomo in cerca di un lavoro meglio pagato e che per questo prende rischi. Il che è legittimo, ma anche illegale se lo fai in modo clandestino. E stupido, se nel farlo paghi migliaia di euro per far salire i tuoi bambini su un gommone: cosa che sarebbe stata invece comprensibile, se tu fossi fuggito da chi ti spara. Ma non è questo il caso.
Ma i media continueranno a parlare di ‘profughi’ in fuga dalla Siria. Profughi a scoppio ritardato di 3 anni.
Questo rende meno tragica la morte di un bambino? No. Ma evidenzia una diversa soluzione: bloccare il traffico a Bodrum.
Ci vengono segnalati anche alcuni commenti presenti nella pagina Facebook di VoxNews, nei quali viene richiesto un link con tutta la storia della famiglia curda:
La fonte di VoxNews sarebbe l’articolo del Guardian del 3 settembre 2015 dal titolo “Father of drowned boy Aylan Kurdi plans to return to Syria“. In questo articolo vengono riportate le fonti importanti utili a ricostruire la storia, ossia l’articolo del Ottawacitizen.com e dell’Afp.com, utili a capire la vicenda raccontata dal Guardian.
Partiamo dalle dichiarazioni del giornalista di Kobane, Mustefa Ebdi. Il Guardian, che non lo ha intervistato, si limita a riportare quanto segue:
“They left Damascus in 2012 and headed to Aleppo, and when clashes happened there, they moved to Kobani,” Ebdi told AFP. “And again, when clashes [with Islamic State] happened there, they moved to Turkey.”
“I tried to speak to him [Abdullah], but I couldn’t because he just started crying,” he added.
Il Guardian ha tratto queste dichiarazioni dall’articolo dell’Afp.com del 3 settembre 2015 dal titolo “Family of drowned toddler ‘repeatedly displaced’ in Syria“. Ecco quanto riportato dal giornalista Ebdi:
Mustefa Ebdi, a journalist in the family’s original hometown of Kobane on the Turkish border in northern Syria, said the three-year-old child’s family had been living in Damascus but been forced to flee the war’s instability multiple times.
Turkish media had identified the family’s surname as Kurdi, a possible reference to their ethnic background, but Ebdi said the actual family name was Shenu.
“They left Damascus in 2012 and headed to Aleppo, and when clashes happened there, they moved to Kobane. And again, when clashes (with the Islamic State jihadist group) happened there, they moved to Turkey,” Ebdi, who spoke with a family friend hosting Aylan’s devastated father, told AFP.
IS fighters launched a fierce offensive to seize Kobane in late 2014, but were pushed back in January by Kurdish militia, Syrian rebel forces and US-led coalition air strikes.
The family returned to Kobane, hoping it would be stable enough to resume their lives there, Ebdi said.
But in June, IS fighters re-entered the flashpoint town, holding hostages in several buildings in a two-day stand-off that left more than 200 civilians dead.
Insecurity forced the family to decide they had no alternative but to try to reach Europe from Turkey, said Ebdi.
He said they stayed in Bodrum for one month, saving money and borrowing from relatives for the journey.
“They left to try to find a better life.”
The family of four left the shores of Bodrum, a glitzy Aegean resort, on a small boat on Wednesday heading towards the Greek island of Kos.
But as the waves grew more volatile, their boat flipped over, and Aylan, his four-year-old brother, Ghaleb, and their mother, Rihana, drowned.
[…]
The journalist told AFP his own attempts to speak to Abdallah were futile: “I tried to speak to him, but I couldn’t because he just started crying.”
In pratica, la famiglia aveva lasciato Damasco nel 2012, passando poi per Aleppo e successivamente a Kobane. Da Kobane si mossero verso la Turchia in seguito agli attacchi dell’ISIS.
Come mai sono scappati da Damasco? La guerra civile in Siria, scoppiata nel 2011, era in corso e le due città, Damasco e Aleppo, furono protagoniste nei mesi di luglio e agosto 2012. Altro che “profughi a scoppio ritardato di 3 anni“.
La famiglia tornò a Kobane nel 2014 in seguito alla controffensiva della milizia curda che respinse lo Stato Islamico, ma nonostante tutto nel mese di giugno del 2015 gli estremisti islamici tornarono a farsi sentire e costrinsero nuovamente la famiglia ad andarsene.
All’interno dell’articolo del Guardian non viene riportata l’intera storia raccontata dal giornalista Ebdi, ma quel poco riportato ha fatto intendere che la famiglia era in Turchia e stava bene, lontano dalle guerre. Sostenere che la famiglia siriana fosse in Turchia da tre anni è dettato dalla scarsa lettura del solo articolo del Guardian.
Dopo aver constatato che la fonte del Guardian e del sito Afp.com ha raccontato gli spostamenti, durati tre anni, della famiglia siriana, bisogna parlare della loro permanenza in terra turca. Per farlo ci ricolleghiamo alle dichiarazioni di Tima, la sorella di Abdullah Kurdi e zia del bambino morto annegato durante il tentativo di attraversata. Il Guardian cita come fonte l’articolo dell’Ottawacitizen.com del 3 settembre 2015 dal titolo “Family of children found on Turkish beach were trying to come to Canada“.
The Guardian: “I was trying to sponsor them, and I have my friends and my neighbours who helped me with the bank deposits, but we couldn’t get them out, and that is why they went in the boat,” she said. “I was even paying rent for them in Turkey, but it is horrible the way they treat Syrians there.”
È vero che Tima pagava l’affitto della famiglia siriana in Turchia, ma denuncia inoltre i trattamenti riservati ai siriani in terra turca. Ricordiamo inoltre che la famiglia siriana è di etnia curda, non propriamente apprezzata in Turchia e Siria.
Ecco il testo tratto dall’Ottawacitizen.com:
The family had two strikes against them – like thousands of other Syrian Kurdish refugees in Turkey, the UN would not register them as refugees, and the Turkish government would not grant them exit visas.
“I was trying to sponsor them, and I have my friends and my neighbours who helped me with the bank deposits, but we couldn’t get them out, and that is why they went in the boat. I was even paying rent for them in Turkey, but it is horrible the way they treat Syrians there,” Tima said.
Uno dei problemi della famiglia siriana era quella di uscire dalla Turchia per dirigersi altrove legalmente, in mancanza di un permesso di uscita. Le uscite erano due: tornare in Siria o uscire illegalmente.
Ulteriori difficoltà sono dovute a questioni burocratiche legate allo Status di “rifugiati” in terra turca. La Turchia ha un accordo di protezione temporanea per i siriani nel loro territorio, escludendone il rimpatrio forzato, ma giuridicamente sono ritenuti ospiti, non rifugiati. Questo fa si che i siriani scappati in Turchia non hanno le stesse garanzie giuridiche riconosciute ai rifugiati altrove. Nonostante la Turchia sia firmataria della Convenzione Onu sui rifugiati, applica lo status di rifugiato ai soli cittadini europei.
Tima stava progettando la sponsorizzazione privata della famiglia del fratello assieme a dei suoi amici attraverso dei depositi bancari, ma fu tutto inutile e a quel punto l’alternativa era quella di sfuggire dalla Turchia via mare:
Abdullah’s sister, Tima, said she was planning to sponsor Abdullah’s family but had not yet applied.
“I was trying to sponsor them, and I have my friends and my neighbours who helped me with the bank deposits, but we couldn’t get them out, and that is why they went in the boat,” Tima said Wednesday. “I was even paying rent for them in Turkey, but it is horrible the way they treat Syrians there.”
[dal Nationalpost.com del 3 settembre 2015]
Per chi non lo sapesse, in Canada è possibile usufruire di un apposito programma di solidarietà del Governo, “The Private Sponsorship of Refugees Program“, il quale permettere ai rifugiati di raggiungere il Paese rispettando precise condizioni:
The Private Sponsorship of Refugees Program helps thousands of refugees every year. You or your group can sponsor refugees from abroad who qualify to come to Canada. As a sponsor, you provide financial and emotional support for the refugees for the duration of the sponsorship. This includes help for housing, clothing and food. Most sponsorships last for one year, but some refugees may be eligible for assistance from their sponsors for up to three years.
Refugees must qualify for entry under Canada’s laws and must pass medical and security checks before they can come to Canada.
Le difficoltà di sponsorizzazione per i rifugiati provenienti dalla Turchia sono reali e vengono riportate anche dallo stesso sito del Governo canadese (Cic.gc.ca):
Are there different rules if I want to sponsor a refugee from Turkey?
In 2004, Citizenship and Immigration Canada (CIC) restricted Sponsorship Agreement Holders (SAHs) from sponsoring refugees in Turkey due to difficulty obtaining exit permits for privately sponsored refugees in that country.
In 2014, CIC implemented a project, through which the department is accepting a small and limited number of applications from SAHs for refugees in Turkey. This project has been extended to 2015.
Sponsors should contact the Refugee Sponsorship Training Program for information on specific criteria that SAHs must meet to participate in this project.
Riportiamo nuovamente il testo di VoxNews:
Dove il padre aveva un normale lavoro, che gli ha permesso di pagare una somma ingente di diverse migliaia di euro (i media parlano di 4.000 euro in contanti, un piccolo tesoro a quelle latitudini)
Il padre di famiglia lavorava e guadagnava bene in Turchia? Nessuno degli articoli citati, ne dal Guardian ne dalle sue fonti, riporta un’informazione del genere. A parlare di un lavoro è il The Wall Street Journal, non citato ne da Vox ne dal Guardian ne dalle altre fonti, nell’articolo del 3 settembre 2015 dal titolo “Image of Drowned Syrian Boy Echoes Around World“:
From his hospital bed on Wednesday, Mr. Kurdi told a Syrian radio station that he had worked on construction sites for 50 Turkish lira (roughly $17) a day, but it wasn’t enough to live on. He said they depended on his sister, Tima Kurdi, who lived in Canada, for help paying the rent.
Abdullah Kurdi ha lavorato in un cantiere in Turchia per 50 lire turche al giorno, circa 17 dollari, non sufficienti per mantenere la famiglia e trasferirsi altrove (se avesse lavorato 30/31 giorni al mese, senza giorni di pausa, avrebbe raggiunto il salario minimo turco che si aggira intorno ai 424,26 euro al mese secondo le stime di gennaio 2015). Per questo motivo la sorella Tima pagava loro l’affitto.
Come poteva pagare gli scafisti se i soldi non bastavano? Potendo fare una supposizione si potrebbe considerare il fatto che Tima avesse inviato ulteriore denaro alla famiglia per trovare un’altra strada per il Canada e uscire dal blocco turco, ma questa possibilità non conviene all’autore anonimo di VoxNews, il quale sfrutta la tragedia di una famiglia fuggita più volte dalla propria terra per colpa dell’ISIS e speranzosa di ricongiungersi con la famiglia in Canada per garantire un futuro sicuro ai due piccoli.
A far luce è sempre il The Wall Street Journal:
Ms. Kurdi, speaking Thursday in a Vancouver suburb, said that their father, still in Syria, had suggested Abdullah go to Europe to get his damaged teeth fixed and find a way to help his family leave Turkey. She said she began wiring her brother money three weeks ago, in €1,000 ($1,100) amounts, to help pay for the trip.
Tima ha effettivamente contribuito inviando ulteriore denaro al fratello.
Successivamente Vox ha voluto sfruttare anche la storia del “farsi sistemare i denti” (secondo Vox “gratis”, molto clickbait), pur di tirare fango all’uomo accusandolo della morte dei figli e accusare i migranti di voler venire in Europa per farsi mantenere.
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