Ma quanta verità c’è in tutto questo? Proviamo a fare ordine, con un piccolo aiuto
Le citazioni spesso usate per descrivere Ernesto Guevara come un razzista sono prese da una sezione particolare dei famosi Diari della Motocicletta: quella relativa ad un giovanissimo Guevara, uno studente di buona famiglia 24enne che non era stato ancora “temprato” dalle esperienze vissute in seguito.
Siamo nel 17 luglio del 1952, ed un Ernesto Guevara, non ancora il Che, non ancora un rivoluzionario, intriso dell’educazione borghese dell’epoca fino al midollo, arriva per la prima volta nella città di Caracas, in pieno boom petrolifero.
Il giovane studente di medicina si imbatte così nei lavoratori poveri degli slums, le baracche di migranti e stagionali senza aver mai visto un uomo di colore se non dalle descrizioni condiscendenti della sua famiglia e dei suoi pari sociali, gli uomini bianchi dell’Argentina bene.
Il suo commento è esattamente quello che ci si può immaginare da un pomposo giovinetto di buona famiglia, e non dissimile dal ciarpame che ci ritroviamo a moderare nei nostri commenti quando pomposi ed arroganti giovinetti di buona famiglia decidono di commentare notizie sull’immigrazione:
I neri, magnifici esemplari della razza Africana che hanno conservato la loro purezza mediante la loro scarsa dimestichezza col sapone, vedono il loro territorio invaso da un diverso tipo di schiavi: i Portoghesi. Queste due razze ora condividono un’esperienza comune, fatta di lotte e risse. Discriminazione e povertà li uniscono, ma le loro abitudini li dividono. I neri sono indolenti e festaioli, consumano il loro denaro in alcol e frivolezze; l’Europeo viene da una tradizione di duro lavoro e risparmio che in questo angolo di America nutre le sue aspirazioni e lo stimola ad andare avanti
Praticamente, siamo di fonte ad un Ernesto Guevara in giacca e cravatta, che secondo Paco Ignacio Taibo II (Senza perdere la tenerezza. Vita e morte di Ernesto Che Guevara) aveva dimostrato un antimilitarismo più sentimentale che reale e che aveva trascorso i suoi studi lontano dalle contestazioni studentesche, ancora lontano anni luce dal Che.
Un ometto bianco di buona famiglia intriso del fardello dell’Uomo Bianco, la teoria per cui l’uomo bianco operoso e lavoratore dovesse educare l’uomo “nero” gaudente, “sempliciotto” e farfallone per farne un cittadino del mondo responsabile.
L’equivalente degli anni ’50 del ragazzetto di buona famiglia spocchioso e con la puzza sotto il naso che si lamenta di aver visto “uno straniero con l’iPhone che prende 30 euro dalle coop senza lavorare ed io che sono italiano vero dico che è uno sfruttatore”.
Continuando a leggere i Diari, scopriamo che dopo pochi mesi dall’abbandono della sua vita borghese e protetta, Ernesto comincia a diventare il Che che conosciamo davvero: poco dopo, arrivato a Miami (USA) per 30 giorni, comincia a lamentarsi della discriminazione patita dagli uomini di colore.
Tre mesi dopo, si dichiara un uomo cambiato e comincia ad abandonare le sue giovanili intemperanze.
Il Che Guevara risultante combattè per l’integrazione razziale, ebbe per migliore amico e guardia del corpo Harry Villegas, cubano di colore, parlò alle Nazioni Unite in favore di Paul Robeson, dichiarò Patrice Lumumba come uno dei suoi eroi personali, si scaglò con vigore contro la Segregazione in Sud Africa e divenne famoso per le sue azioni di guerriglia in Africa in favore della popolazione locale.
Il Che Guevara del 1964, guardandosi indietro e guardando all’America degli anni ’60, potè rivolgersi al KK con simi accenti
“Coloro che uccidono i loro stessi figli e li discriminano ogni giorno per il colore della loro pelle; coloro che lasciano liberi gli assassini dei neri, li proteggono e puniscono la popolazione di colore perché chiedono i loro legittimi diritti di uomini liberi – come osano costoro chiamarsi guardiani della libertà?”
Prendere estratti decontestualizzati dei Diari della Motocicletta significa ignorare la forza trasformativa di quel viaggio che trasformò un insipido, spocchioso, moccioso di famiglia borghese in un guerrigliero ed un rivoluzionario.
Che Guevara fu a lungo accusato di essere organizzatore e supervisore delle UMAP, le Unità Militari di Aiuto alla Produzione, un orribile caso di eterogenesi dei fini e chiara discriminazione.
Formalmente le UMAP erano l’equivalente del servizio civile obbligatorio: tutti coloro che erano obiettori di coscienza (come i Testimoni di Geova o altri obiettori in un periodo in cui l’obiezione era vista con estremo sfavore) o a cui, se pur non riformati, la leva obbligatoria era inibita (gli omosessuali nel regime castrista) erano inviati in una sorta di “servizio ausiliario” in campi di lavoro agricolo che, sin troppe volte, devolvevano in autentici campi di concentramento, sia per aperto pregiudizio verso gli omosessuali, che per pregiudizio verso tutti coloro che non partecipavano “attivamente” alla rivoluzione.
Il problema fondamentale è che le UMAP erano in attività dal 1965 al 1968, mentre Che Guevara in quegli anni era impegnato nella Guerriglia in Africa.
Sostanzialmente, a meno che di postulare che tra le infinite attribuzioni di Che Guevara ci siano la bilocazione e/o il teletrasporto come quello di Son Goku, il campione di arti marziali alieno protagonista della serie di cartoni animati Dragonball col potere di teletrasportarsi istantaneamente in ogni posto che desideri e dove vi siano avversari capaci, ipso facto il rapporto tra Che Guevara e le UMAP è stato molto, molto esagerato.
Si è cercato di collegare le UMAP al campo di lavoro di Guanahacabibes, luogo di “detenzione” per i “traditori della rivoluzione” caldeggiato da Che Guevara, ma in ogni caso le UMAP furono la creazione di Raul Castro, fratello di Fidel.
Tre anni dopo la loro fondazione, nel 1968, Fidel Castro a seguito di indagini interne personalmente compiute nei campi UMAP decise di sciogliere le unità UMAP, ma aprì nuovi campi simili, sostanzialmente ritenendo (a torto) che avrebbe potuto controllare gli abusi nei campi di lavoro e che gli omosessuali avrebbero subito un trattamento peggiore nell’esercito, ritenendo inoltre di dover affrontare, benaltristicamente, problemi maggiori “di vita e di morte”
Di questi grossolani errori di valuta lo stesso Fidel assunse ogni responsabilità, esonerando quindi l’assente Che Guevara, indicando tra le ragioni di vita e di morte precitate la Crisi dei Missili e la rivoluzione stessa.
È pur vero che nel 1979 l’omosessualità fu definitivamente scriminata, cominciando il cammino che avrebbe portato Cuba verso la modernità, ma ciò avvenne considerevolmente tardi, e dopo considerevoli sofferenze che nessuno vuole dimenticare.
Semplicemente, sarebbe più utile inquadrarle storicamente verso i reali responsabili anziché brandirle come clava da “Storici Indinniati” per inquinare le sezioni commenti.
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