DISINFORMAZIONE fumare marijuana aiuta ad alleviare l’ansia, la depressione ed il pensiero di suicidarsi – BUFALE.NET
l Fact Cheking e Facebook: ovvero come ti trasformo un’affermazione negativa in una positiva. L’esempio della marijuana.
Una foto, 2 righe: “fumare marijuana aiuta ad alleviare l’ansia, la depressione ed il pensiero di suicidarsi”.
Lo leggo e penso: ok, interessante: dammi un riscontro scientifico. Scorro sotto la foto, ma niente. C’è solo quella foto e quelle 2 righe, e una tempesta di commenti, che sinceramente non mi preme leggere.
Ora però facciamo una premessa. È un po’ lunga, ma perdete 5 minuti a leggerla, per favore.
Vedete, io amo internet. Quando ho cercato il materiale per la mia tesi di laurea, molti articoli scientifici ho potuto leggerli e scaricarli direttamente da casa, senza dover diventare matta in giro per le biblioteche universitarie. Però, c’è un però: se non sai dove cercare, rischi di imbatterti nella fuffa peggiore possibile, e se non sai come verificare le notizie, rischi di cadere in errori grossolani. L’ho imparato a mie spese, e facendo fatica in prima persona per verificare i fatti, che cosa significhi “fact checking”. Letteralmente tradotto è “controllare il fatto”, ma per chi come me ha ricevuto un’educazione scientifica, significa che se fai un’affermazione scientifica DEVI saperla dimostrare scientificamente e ripetutamente con prove concrete.
Questo significa anche che pure i profani come i giornalisti, se fanno un’affermazione in ambito scientifico (medico in particolare), hanno il dovere morale di giustificarla. Perché quello che dicono, dalla loro posizione privilegiata di informatori, influenzerà il pensiero e la vita delle persone. Purtroppo molti sembrano aver dimenticato questo loro dovere morale ed etico, e pensano unicamente a fare ascolti, dando credito a teorie bislacche e pericolose (se vi sta suonando un campanello in testa in merito a qualche recente vicenda mediatica, non preoccupatevi: farvi riflettere è l’effetto che desidero ottenere). Raramente ormai si sente di giornali che hanno come motto sui cartelloni pubblicitari “noi riportiamo le notizie; a pensare ci dovete pensare da soli”(“Süddeutsche Zeitung” = Giornale del sud della Germania).
Quindi, come potrete immaginare, qualsiasi sia la fonte, quando leggo una notizia eclatante in ambito scientifico, dopo il primo stupore iniziale trovo sia naturale assumere una posizione critica e chiedersi “Ok, ma perché? Cosa dice l’articolo originale?”. Eh già, perché il problema dei giornali comuni, è che riportano le notizie dopo che un poveraccio di giornalista è andato a leggersi (spesso in fretta e furia, per esigenze di stampa) l’articolo scientifico originale. A questo proposito, credetemi, c’è di che rompersi la testa a capirli, questi articoli. Possono essere lunghi anche 5-6 pagine scritte ben fitte, più vari grafici dall’aspetto spesso assolutamente difficile da capire ed interpretare. Capite bene quindi che qualcuno deve mettersi di buona lena e cercare di interpretare quanto scritto: un lavoro ingrato, insomma. Fortunatamente, esistono gli abstract, i riassunti: una mezza paginetta che riassume, scopo, metodi, risultati e conclusioni. Bello comodo, no? Uno si risparmia un mal di testa epico e in più ha il suo materiale per scrivere l’articolo sul giornale.
Problema: ognuno di noi, quando legge il riassunto di qualcosa, fosse anche solo la trama di un film, tende a reinterpretare quanto scritto per colmare eventuali lacune del riassunto. Salvo poi magari restare delusi quando ti vai a vedere il film, perché ci si immaginava tutt’altro.
Questo, in ambito della comunicazione mediatica degli argomenti di tipo scientifico, purtroppo succede spesso. Vedi tutte le varie bufale che escono un giorno sì e l’altro pure, sui miracolosi rimedi contro il cancro (tanto per cominciare: ma se ce ne sono centinaia di tipi, di tumori, perché ne parlate al singolare?!?) , piuttosto che su quel cibo che fa benissimo o fa malissimo (sì, se andate a verificare, troverete tra le bufale informazioni contradditorie sullo stesso esatto alimento, oppure vedrete che queste contraddicono le ricerche scientifiche VERE fatte sullo stesso.. citandole).
Concludendo: internet è una grandissima risorsa, ma se vuoi davvero capirci qualcosa di scienza, devi essere disposta/o a fare fatica sui libri della materia (no, gli articoli dei blogger non bastano, sorry), ed eventualmente a spaccarti la testa su ogni notizia che leggi, chiedendoti “sì, è tutto molto figo/stupefacente/terribile, ma PERCHÉ succede?”.
Ecco, questo è quel che io chiamo un atteggiamento critico.
Per me ormai è quasi una molla che scatta in automatico: ma è il mio lavoro che me lo chiede, penso sia normale dopo un po’. E non è che me ne stia vantando, riuscite ad immaginare quanto possa essere fastidiosamente pignola? Ecco, direi che è meglio non arrivare a questi estremi. Ma seguire il consiglio, che vi darebbe chiunque abbia un minimo di coscienza, di verificare prima di credere, non penso porti a nulla di male.
Questo della marijuana è l’esempio perfetto, perché gli articoli che la riguardano, e che ho trovato, sono accessibili al pubblico gratuitamente sull’ottimo American Journal of Psychiatry, e ho trovato un paio di collegamenti ad altri articoli sul celeberrimo Lancet.
In questi articoli, innanzitutto si sottolinea una cosa: il consumo di Marijuana, o Cannabis che dir si voglia, potrebbe portare a psicosi, specie se associato al fumo o all’alcool ( http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19797432?dopt=Abstract) . Fino a pochi anni fa, si riteneva che non fosse possibile fare questa affermazione con sicurezza (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17662880?dopt=Abstract), ma nessuno di questi scienziati ha mai asserito che al contrario la marijuana abbia effetti positivi riguardo depressione, ansia e tendenze suicide.
Infine, l’ultimo articolo che vi riporto tratta il caso di un soldato americano in congedo, alle prese con un grosso problema che negli USA è tristemente noto: il disordine da stress post-traumatico (posttraumatic stress disorder, PTSD). Questo disordine si manifesta per esempio nelle vittime di attentati, rapimenti ed abusi, nelle persone coinvolte in gravi catastrofi naturali e nei veterani (definizione dall’istituto nazionale americano per la salute mentale: http://www.nimh.nih.gov/health/topics/post-traumatic-stress-disorder-ptsd/index.shtml).
Ora, questa persona ha cominciato ad assumere marijuana, ed è stato ricoverato una volta per insonnia, irritabilità ed aggressività, a due anni dal congedo. Ha ammesso di consumare marijuana da 18 mesi, e dopo una terapia con quetiapina (un antidrepressivo ed antipsicotico, usato anche per il trattamento della schizofrenia) che rapidamente fa sparire i sintomi: dopo 10 giorni viene dimesso. Tuttavia il paziente non continua ad assumere il farmaco, e dopo 4 mesi si presenta ad una clinica per la marijuana (ci sono queste cliniche negli Stati USA dove essa è stata autorizzata per uso medico), lamentando dolore cronico, insonnia e ansietà, perciò viene diagnosticato il disordine da stress post-traumatico, e per via del dolore viene prescritta la marijuana. Non ha però sintomi psicotici, e spiegherà più tardi che aveva già cambiato il prodotto che assumeva, passando dalla marijuana spacciata illegalmente a quella prodotta legalmente per uso medico.
Sei mesi dopo il paziente è stato nuovamente ricoverato in ospedale, con allucinazioni (le voci nella testa) e percezioni illusorie(credeva che rovinassero le sue finestre, di venire intercettato e di essere Gesù Cristo). Per chi non lo sapesse, questi sono 2 sintomi della schizofrenia. Il paziente è stato nuovamente trattato (con un altro farmaco per il trattamento della schizofrenia, l’aripiprazolo), questa volta per 4 settimane, chiedendo poi lui stesso di aiutarlo a disintossicarsi dalla dipendenza dalla cannabis, che lui stesso riteneva responsabile del peggioramento dei sintomi psicotici, nonostante lo aiutasse a calmare il dolore cronico di cui soffriva per la PTSD.
A un controllo, dopo 3 mesi, il paziente prendeva ancora il farmaco, ma non assumeva più marijuana ed era libero dai sintomi psicotici.
Ora, gli autori invitano alla prudenza, e non posso che dar loro ragione, nel trarre le conclusioni: è vero che per alcuni trattamenti antidolorifici la marijuana potrebbe essere un ottimo aiuto, ma questo non significa che si possa considerarla una panacea per i problemi, specie di origine psichiatrica, ed anzi in certe situazioni può anche peggiorare la situazione ( non di poco: non ditemi che non vi terrorizza l’idea di un tizio con addestramento militare con le paranoie e le vocine nella testa..).
Concludendo, prima di fare un’affermazione, forse bisognerebbe accertarsi della sua veridicità. In questo caso, da una parte si dice “non sappiamo se la marijuana sia utilizzabile in modo sicuro in ambito psichiatrico, anzi, abbiamo paura che potrebbe dare problemi e complicazioni”, dall’altro si afferma “la marijuana fa bene e ti risolve la depressione/l’ansia/le tendenze suicide!”. Dire che non si è certi di una cosa non significa certo affermare il suo contrario. Specie se si tratta di scienza medica, in cui, vi ricordo, siamo appena usciti a tentoni da quell’incubo orrendo che era più o meno fino all’inizio del 1900, quando, tanto per fare un esempio, se ti rompevi un arto, sicuro come l’oro che lo amputavano, se non volevi morire di infezione batterica (eh, sì, gli antibiotici sono stati una gran bella scoperta!). E da lì di passi in avanti ne sono stati fatti di enormi. Ma siamo ancora in cammino, e ci sono molte cose che non sappiamo. Dovremmo ricordarlo più spesso.
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