Abbiamo recentemente pubblicato un articolo riguardante i progetti di “depenalizzazione” di alcuni reati, dimostrando come non di depenalizzazione in senso tecnico si tratta, ma di una maggiore discrezionalità offerta alle magistrature, oberate di lavoro, nell’introdurre un “filtro” nella punibilità tra i casi di particolare tenuità ed i casi di gravità media ed alta.
Era solo questione di tempo prima che qualcuno, basandosi sul mero indice edittale (ovvero il “minimo-massimo” delle pene, per spiegarci in termini profani ed accessibili ad ogni lettore, compilasse un piccolo elenco delle condotte con un massimo pari o superiore agli anni cinque, tra cui, apparentemente, rientra il c.d. stalking, con alcune voci critiche che già temono una sua depenalizzazione de facto con perdita della capacità deterrente e detrimento per le vittime.
Come doveroso preambolo converrà riprendere dal precedente articolo il testo della Legge 28 aprile 2014, n. 67, rubricata Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. (14G00070) e pubblicata in Gazzetta Ufficiale al n. 100 del 2-5-2014, che all’articolo 1 prevede:
m) escludere la punibilita’ di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuita’ dell’offesa e la non abitualita’ del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale;
Si parla quindi della punibilità: ricordiamo che non si tratta di depenalizzazione, o, peggio legalizzione, ma, in casi in cui quelle condotte vengano tenute in forma tenue da soggetto non abitualmente dedito, si ritiene che l’ordinamento possa non sanzionare l’atto, fermo restando il diritto per la persona che ne ha patito le conseguenze di ottenere il risarcimento del danno.
Passiamo ora alla formulazione dell’articolo 612bis c.p., impropriamente denominato stalking ma in realtà rubricato come atti persecutori:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Dalla formulazione conseguono una serie di elementi. Gli atti persecutori, in prima battuta, nascono come “forma continuata” delle molestie, rubricate in un articolo specifico a ragione del grave allarme sociale che le stesse provocano.
Diviene quindi una mera ipotesi accademica l’ipotesi di atti persecutori non abituali, e men che meno l’idea di atti persecutori tenui non potrebbe trovare vigenza se non nei manuali di studio.
Non esiste atto persecutorio, anzi, atti persecutori senza reiterazione dunque, e la gravità è evidente in re ipsa.
Comunque, anche per il c.d. stalking, volendo adottare la breve rubricazione giornalistica, erano in passato stati introdotti riti di ADR, “alternative despute resolution”, mezzi alternativi di risoluzione, come l’ammonimento del questore, strumento col quale il questore, ancora prima di adire il processo, ammonisce il soggetto imputato valutando nell’immediato provvedimenti in materia di armi e punizioni e considerando l’inottemperanza al comportamento intimato come un’aggravante specifica, grave e rilevante.
Di fatto quindi lo scrivente, esaminate le ragioni di allarme, ritiene che le stesse non siano applicabili.
Nei, rarissimi, evanescenti e praticamente esistenti solo nella manualistica casi tenui e non abituali (dei quali la stessa esistenza concreta è in dubbio: gli atti persecutori, in quanto continuativi per natura, postulano l’abitualità), già in passato si ricorreva all’ammonimento del questore. Negli altri casi, la gravità e l’abitualità, in re ipsa, inibiscono la depenalizzazione.
Inoltre non va dimenticata la facoltà della parte offesa di far valere tutte le proprie difese, opponendosi ad esempio a richieste di archiviazione e fornendo tutti gli elementi atti a dirimere ogni possibile, residuale dubbio sulla tenuità che, nella stragrande maggioranza dei casi di stalking possiamo ictu oculi ritenere inesistente.
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