Di Maio smentisce Di Maio sul reddito di cittadinanza ai condannati: i suoi fan se ne accorgono
Da molti in Rete è stato definito un “Di Maio contro Di Maio”, ironizzando sugli storici duelli politici che hanno caratterizzato la nostra epoca. La ripetizione non è banale, perché nel corso di una diretta video su Facebook, il leader del Movimento 5 Stelle è apparso abbastanza incerto su alcune normative che ci sono alle spalle del reddito di cittadinanza. Un po’ come avvenuto con Salvini e la Lega nei giorni scorsi, stando all’approfondimento che vi abbiamo tempestivamente riportato a proposito di Federica Saraceni.
Quest’ultima, infatti, più di 10 anni fa ha ricevuto al condanna, da brigatista, a proposito dell’omicidio D’Antona. Per dirla alla Checco Zalone, i leghisti sono “caduti dalle nubi”, condannando nel modo più assoluto il fatto che il reddito di cittadinanza potesse spettare anche a soggetti simili. Il punto è che la legge è stata approvata a suo tempo da un governo composto proprio da Lega e Movimento 5 Stelle. La menzione di quest’ultimo, oggi 2 ottobre, non è casuale. E Di Maio ci ha spiegato il motivo.
Perché Di Maio smentisce sé stesso sul reddito di cittadinanza all’ex brigatista
La questione, infatti, è paradossale. Il post menzionato in precedenza, ci mostra infatti Di Maio al centro di un video Facebook. Lo trovate nella versione originale e completa a fine articolo, ma nel nostro caso vale la pena evidenziare soprattutto un aspetto. Il numero uno del Movimento 5 Stelle parte bene, affermando il vero quando dice “noi in Italia già abbiamo impedito di accedere a reddito se sei ai domiciliari o se sei in una misura cautelare“.
Il problema si pone successivamente, quando aggiunge “allo stesso modo se vale nella norma per le misure cautelari, figuriamoci dopo che una persona è stata condannata“. Non è così, perché quanto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e voluto dallo stesso Di Maio con il Movimento 5 Stelle, dice esattamente l’opposto. Nello specifico, il beneficio può essere richiesto se siano trascorsi dieci anni dalla condanna.
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