Ci hanno segnalato i nostri contatti un articolo relativo alla denuncia di Save the Children per cui il 51% dei quindicenni in Italia non è in grado di capire un testo scritto.
Articolo che per il nostro lettore ha presentato criticità da affrontare, che echeggiano quanto detto nel 2019 dai colleghi di BUTAC (erroneamente, la segnalazione confondeva noi e loro: pare giusto riequilibrare).
Ma a parte questo piccolo inciampo, la riflessione è degna di accoglimento e merita il riscontro del parere più illuminato che abbiamo reperito sulla rete. Quello di Carlo Canepa, responsabile editoriale di Pagella Politica, tra i migliori siti di fact checking e approfondimento sulla piazza.
In realtà, seguendo il filo lanciato da Canepa, scopriamo che il percorso porta ad un risultato un po’ diverso. Il report citato, senza fonti, descrive la dispersione scolastica implicita come il fenomeno per cui
il 44% di ragazzi e ragazze alla fine della scuola secondaria superiore non è in grado di raggiungere un livello minimo di competenze in italiano, percentuale che sale al 51% per la matematica
Sostanzialmente, il giovane che è a scuola ma non apprende le cognizioni necessarie.
Noterete come la percentuale del 51% non è quella che appare nell’articolo, ma è relativa al livello di competenze in matematica dei giovani alla fine del ciclo secondario superiore. Le competenze in Italiano hanno la diversa percentuale del 44%
Nel 2021 le percentuali erano ancora diverse, tutte inferiori al 50%, e compare come fonte i test OCSE Pisa. Quelli basati sui famigerati test Invalsi.
Seguiamo ancora il filo dell’illustre collega: come lui, esibiremo anche noi i Test Invalsi.
Test per i quali, secondo il dato del 2019 (quello peraltro oggetto della segnalazione pervenutaci e dell’analisi dei colleghi di BUTAC)
A livello medio OCSE, circa il 77% degli studenti raggiunge almeno il livello 2, considerato il livello minimo
di competenza in lettura
Certo, il rapporto parla comunque di una flessione rispetto ai cicli del 2000, 2009 e 2012, ma comunque nella media rispetto al dato internazionale.
È innegabile che la Pandemia sia stata un’ostacolo, con un calo registrabile secondo fonte Invalsi nel numero di alunni in grado di produrre risultati stabili, maggiore nei ceti socioculturali svantaggiati.
La spiegazione empirica è semplice: uno studente in una famiglia svantaggiata non avrà accesso a computer e banda larga, dovrà arrangiarsi con cellulare e la connessione che capita. Al contrario di uno studente che ha genitori e fratelli istruiti e in grado di seguirlo, perderà i buoni uffici dell’insegnante e la possibilità di fare “gruppo di studio”, quindi imparerà in modo malagevole, sarà seguito meno e non potrà ricorrere all’aiuto del corpo docente.
Il suo apprendimento soffrirà molto di più di uno studente in grado di ricorrere all’aiuto della famiglia e con mezzi tecnici e materiali più adeguati, aumentando il divario tra i due.
Anche così, la dispersione scolastica implicita sale al 9,5% di media, non al 51%
Anche qui, concordiamo con le parole del decano Canepa: il dato va interpretato.
E va interpretato correttamente.
Non possiamo dire “Ok, la situazione è peggiorata, quindi non c’è bisogno di misurare quanto”.
Il dibattito sull’Istruzione è sociale ancor prima che politico, ma anche politico. Muove fondi, investimenti e muove consenso.
Un dato interpretato in modo erroneo diventa quindi potenziale oggetto di consenso e campagna elettorale.
Una campagna elettorale basata su un dato inesatto evolve troppo rapidamente in quel genere di scontro acceso che per mobilitare il consenso introduce ogni strumento politico.
Tra cui, purtroppo, una rilettura aperta anche alle fake news.
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