In tempi di conflitto ha fatto scalpore negli ambienti tecnologici l’idea Russa di superare le sanzioni creando in proprio “computer Antisanzioni” (in realtà un tablet in una carrozzeria da minitorre con monitor esterno) e facendo ricorso alla pirateria informatica.
Non è la prima volta però che assistiamo ad una simile “ingenuità”: il mercato Russo dell’era Sovietica e dell’immediato post-Muro, in particolar modo negli anni ’80 e ’90, ha avuto modo di regalarci perle tecnicamente forse ingenue, ma collezionisticamente e storicamente abbastanza interessanti da studiare.
Perlopiù, parliamo del “lusso accessibile” dei “capitalisti occidentali”, ovvero lo Spectrum di Sir Clive Sinclair e le console Nintendo, ma anche calcolatrici Casio e altri piccoli oggetti del desiderio.
Ricorderete tutti i Game&Watch: se non li ricordate, ne troverete riproduzioni moderne con batterie ricaricabili in vendita dalla stessa Nintendo, prodotte per un periodo limitato ma ancora nel momento in cui scriviamo disponibili in catene di vendita come Amazon e Game Stop.
I Game&Watch erano piccoli giochini a cristalli liquidi, ispirati dai loro omologhi Mattel, basati sulle IP Nintendo (Mario, Donkey Kong, Zelda…), con un “form factor”, una “carrozzeria” che in seguito avrebbe ispirato i loro discendenti moderni come il Game Boy Advance Micro e la linea portatile cominciata dal Nintendo DS e finita coi New Nintendo 2/3DS, un display a cristalli liquidi da calcolatrice dove versioni semplificate dei personaggi della casa si muovevano su sfondi disegnati e un piccolo speaker forniva effetti sonori e una rudimentale musica di sfondo.
Ovviamente i G&W furono un successo pluriclonato, come ad esempio nei “Game Clock Tronica“, identici in tutto tranne che per i giochi in essi contenuti e il marchio.
Entra ora in scena “Elektronika” un marchio sotto il controllo del Minelektronprom (Ministero per l’Industria Elettronica Sovietico) incaricato di colmare il divario tecnico tra URSS e USA fornendo beni di consumo accessibili alla gioventù sovietica.
E tra gli stessi includiamo calcolatrici, orologi e Game&Watch, ovviamente nessuno di questi proveniente dal “decadente occidente capitalista“.
La “clonazione” fu resa possibile proprio dalle tecniche costruttive adottate da produttori come Casio, Nintendo e Sharp: una produzione di massa ottenibile con parti facilmente reperibili sul libero mercato.
Una volta clonato il processore Sharp cuore del Game&Watch, reperiti tutti gli altri elementi e duplicata la scocca, ecco che Elektronika potè intrattenere una generazione di piccoli russi con dei “quasi Nintendo” col logo della Grande N orgogliosamente sostituito da scritte in cirillico tese a descrivere la grande novità di un “gioco elettronico con microprocessori” e, nelle prime generazioni, persino con personaggi occidentali come Topolino.
Col tempo apparvero G&W con IP “locali”, come il lupo e la lepre del cartone animato Russo “Nu, Pogodi!” (traducibile con “Allora me la pagherai!”), storiella con un lupo descritto come un teppista vizioso e ribelle verso le autorità comuniste, vandalo, motociclista e fumatore che cerca di catturare un leprotto astuto e buon lavoratore bolscevico, venendo frustrato nel suo proposito e urlando a fine puntata “Allora me la pagherai!“, con evidenti somiglianze con le tematiche descritte in cartoni animati come gli occidentali Tom&Jerry.
Elektronika non clonò solo il Game&Watch: sotto il marchio Elektronika i giovani Russi poterono usare un clone della celebre Casio FX-950 e della FX-700P, aprendo la linea per la clonazione delle calcolatrici programmabili Casio con “dock” per stampa e funzioni aggiuntive.
Elektronika peraltro introdusse una serie di orologi da polso al quarzo con l’inconfondibile display a segmenti, echeggiante la linea economica Casio.
Siamo agli anni ’80 e ’90: grazie ad un certo sfacciato disprezzo per il diritto d’autore occidentale, e al capitalismo occidentale che di fatto ha inventato il concetto di bene di massa ottenibile assemblando a basso costo parti a basso costo reperibili sugli scaffali per inondare il mercato di oggetti facilmente riproducibili, il Minelektronprom ha potuto riempire le tasche dei giovani studenti russi dei ninnoli più desiderati dei loro coetanei.
Ma l’informatica?
Entra ora in scena lo ZX Spectrum, creazione di Sir Clive Sinclair, britannico, destinata a combattere una seconda guerra dell’Home Computer contro il Commodore 64 dell’Americana (ma con ascendenze tedesche, vedi Tramiel) Commodore.
Commodore abbiamo già visto aveva già di fatto vinto la prima guerra dell’Home Computing ponendo sul mercato oggetti come il VIC-20 e il Commodore 64 più accessibili ed economici della concorrenza, rappresentata dall’Apple II e dal Tandy-RadioShack Color 80.
Una guerra parallela vide dall’82 in poi il Commodore 64 contrapposto allo ZX Spectrum: ancora più economico, basato sul più performante processore Z80 ma con un piccolo buzzer al posto del SID (sintetizzatore audio polifonico a tre voci), privo della capacità di creare sprites e con un’umile tastierina fatta di tastini gommosi, lo ZX Spectrum aveva un prezzo inferiore che lo rese popolarissimo nel Regno Unito (e passibile di essere comprato per poi essere portato in negozio per ottenere uno sconto sul Commodore 64 poco dopo…).
La digressione è essenziale per capire perché lo ZX Spectrum ebbe successo anche in Russia: vi abbiamo spiegato come buona parte della circuitazione essenziale di Commodore sia custom.
Ci sono voluti 41 anni di ricerca moderna per arrivare al risultato di ottenere un clone quasi perfetto dei primi esemplari del Commodore 64 (nel senso di dover ricostruire alcuni chip, come il SID, mediante microcontroller e pacchetti FPGA astrattamente in grado di riprodurre oggetti eccedenti di molto le prestazioni del semplice integrato), ed era impossibile che la Russia riuscisse in un breve lasso di tempo a clonare ogni chip MOS Technology per avere il proprio “Kommodor 64”.
Altamente possibile invece era costruirsi il proprio Spectrum ZX: come per i Game&Watch e le calcolatrici Casio gli Spectrum erano costruiti di parti facilmente reperibili e/o replicabili. Inoltre mentre un Commodore 64, sia pur dotato di modulatore antenna, di fatto per essere usato al suo meglio richiedeva almeno il Datassette proprietario ed era altamente consigliato avere un monitor dedicato e il lettore floppy, uno ZX Spectrum poteva essere collegato ad ogni TV dell’epoca e usare un registratore da tavolo (o persino un walkman con ingresso e uscita audio) per caricare e salvare programmi: ogni scolaro o scuola Russa poteva procurarsi facilmente quanto serviva per non rendere il proprio clone un fermaporte.
Inoltre, proprio la possibilità di poter usare audiocassette come medium rese lo ZX Spectrum privilegiato perché assistito da un forte mercato della pirateria.
Computer clonati apparvero con collezioni di cassette piratate o create “in loco” e riprodotte con banali registratori doppia piastra.
Tra questi cloni apparve lo “ZX Spectrum Leningrad” (a dispetto del nome uno sfacciato clone dello ZX Spectrum e non una “nuova versione”) ma dall’aspetto abbastanza fatto in serie da convincere almeno una generazione di giovani russi che lo Spectrum legittimo fosse prodotto proprio nei dintorni di Leningrado.
Il “Leningrad” venne al mondo con diversi problemi di compatibilità con la sua controparte “capitalista”, e per questo fu succeduto dal Leningrad 2, migliorato e munito in fabbrica dell’interfaccia Kempston, necessaria per usare i joystick DB9 usati ad esempio dal Commodore 64 e dell’Atari 2600, che nei ZX Spectrum normali era un accessorio venduto a parte.
Il Leningrad aprì la porta ad una serie di cloni dei cloni che arrivarono fino agli anni ’90, come il Nafanja, un bizzarro clone in bachelite marrone e con tasti tondi, interfaccia joystick incorporata e diretto ad un pubblico abbiente, il Moskva diretto ad un pubblico più popolare ed evoluzioni ancora più bizzarre.
Merita una menzione di onore l’Hobbit, clone pluriaccessioriato e pimpato con tutti gli accessori possibili per uno ZX Spectrum (compreso lettore floppy, interfaccia joystick e uscite video EGA (il formato usato dai monitor per PC fino al più moderno VGA) e composito, mentre l’originale aveva solo l’uscita antenna), che arrivò dopo la caduta del Muro di Berlino ad essere sfacciatamente venduto nei negozi occidentali come alternativa “superiore” all’originale, o quantomeno pluriaccessoriata.
Sempre in quegli anni gli stessi creativi dietro il Leningrad tirarono fuori lo Scorpion ZS-256, longevissimo (almeno fino al finire del secolo) clone dello Spectrum così elaborato da poter usare accessori da PC dell’epoca.
Ma oltre al dovere viene il piacere: passiamo così alla storia del più sfacciato clone made in Russia di sempre: il Dendy.
Sappiamo quindi che negli anni ’80 la Russia aveva orologi al quarzo, aveva calcolatrici “Casio o Quasi(o)” e aveva i Game&Watch “grossomodo Nintendo”.
Aveva anche lo ZX Spectrum, ma i giovani russi non avevano niente con cui videogiocare al livello dei loro coetanei occidentali, salvo una sequela di cabinati arcade pari ai nostri cabinati degli anni ’70 e ’80.
A casa quindi non avevano niente per cui valesse la pena essere allontanati dalla TV dai loro genitori. La situazione cambiò negli anni ’90: ma prima dobbiamo descrivere cosa facevano 10 anni prima le loro controparti nel mondo Capitalista.
Nei nostri anni ’80 una certa Nintendo, dopo aver riempito le tasche dei ragazzini dei Game&Watch colmò quel divario portando nelle case il FamiCom, “Family Computer”, console a basso costo (65 dollari di allora in madrepatria, mentre un Commodore 64 superava i 500) che portava i cabinati su licenza Nintendo nelle case dei piccoli Giapponesi.
Unito ad una attenzione assoluta per il cliente (Nintendo richiamò a sue spese una prima tiratura di console difettose, inaugurando il concetto di Nintendo come azienda sui cui contare), il FamiCom si affermò presto come console più venduta nel 1984, aprendo la pista al lancio in Occidente, tra il 1985 e il 1986, sotto le vesti del Nintendo NES (“Nintendo Entertainment System”), una delle console più iconiche e famose di ogni tempo.
In un mercato apertamente favorevole ai computer e “scottato” dal crollo di Atari, Nintendo creò il concetto di “Party Game”: una console che riunisse tutta la famiglia attorno al divano per il “rito” del gioco di qualità dopo una dura giornata di studio e lavoro, ridisegnando allo scopo il FamiCom in NES in modo che si “mimetizzasse” tra stereo e videoregistratore, altri oggetti del desiderio occidentale. Tale mito è durato fino ad oggi con la Nintendo Switch, ibrido tra una console portatile e fissa presentato come divertimento adatto per tutta la famiglia.
In tutto questo arriviamo alla Russia, che per forza di cose non potè godere del NES.
Come aveva fatto in passato, la Russia decise che se non l’avrebbe avuto passando dagli usuali canali di importazione, avrebbe provveduto in altro modo.
Arriviamo così al 1992, anno in cui peraltro in Europa era già arrivato il Super Nintendo Entertainment System (SNES o SuperNES).
Fino a quel momento, a parte i citati giochi portatili Elektronika (anche essi cloni Nintendo) l’unica fonte di intrattenimento domestico erano costosi cloni delle console di “Generazione zero”, come il Pong, introdotte con un costo pari allo stipendio medio di un affermato professionista e lontano anni luce dalle possibilità di un proletario e lo sciagurato “Rambo TV”, clone Taiwanese dell’Atari 2600 con giochi integrati in memoria e tutti i difetti del 2600 originale e nessun pregio, tra i quali copie dei pessimi joystick DB9 in stile Quickshot prima edizione così pessime da autodistruggersi costringendo il piccolo proletario a incassare i rimbrotti del padre operaio e rinunciare o procurarsi i pad di altre console più blasonate a 8 e 16 Bit col formato DB9, scelta molto più costosa di quanto potesse permettersi.
In questo clima arriva Steepler Ltd., impresa fondata nel 1992 che decide di stringere un accordo commerciale assai dubbio con Micro Genius di Taiwan: Micro Genius avrebbe prodotto dei “FamiClones”, cloni del NES, e Steepler li avrebbe distribuiti in Russia, ovviamente alle spalle di Nintendo.
Riconoscerete un modus operandi comune nella Russia di quegli anni che abbiamo visto aver lasciato semi profondi con segni che si riflettono nella concezione attuale del commercio.
Alla fine Steepler riuscì ad avere il suo clonazzo del NES, e a venderlo per 39mila rubli dell’epoca: al cambio un centinaio di dollari.
Decise di ribattezzare il clone del NES con un nome che non richiamasse assolutamente nessuna delle proprietà Intellettuali Nintendo: lo chiamò “Dendy”, storpiatura pronunciata con un marcato accento russo della parola occidentale “Dandy”, come a voler suggerire un senso di rivalsa e rivincita sociale che avrebbe portato ai giovani videogiocatori russi i lussi e lo sfarzo videoludico delle loro “decadenti” controparti occidentali e capitaliste.
Steepler sfidò il diffuso pregiudizio nella società post-Sovietica e comunista per cui il videogame fosse un lusso borghese incompatibile coi bisogni del proletariato mentre un computer avrebbe almeno fornito ai giovani i mezzi per affermarsi in società e nel mondo lavorativo: e l’ebbe vinta.
Complice la cabarbietà dell’imprenditore Viktor Savyuk, ex DJ, ex distributore di cassette pirata fermate dalle attenzioni del KGB, ex programmatore, il Dendy conquistò il mercato Russo con la forza di un uragano.
Assieme al nome NES Steepler fece scomparire anche il logo della Grande N: Al suo posto arrivò un elefantino bianco dalle sembianze un po’ goffe e una canzoncina un po’ infantile che ripeteva “Dendy, Dendy, tutti amano il Dendy! Dendy! Dendy! Tutti giochiamo con Dendy!”
Complice il disinteresse di Nintendo per il mercato Russo, la scelta di una console datata e riprodotta con parti “da scaffale” in un mercato che avrebbe reso a Nintendo scarsamente possibile far valere diritti d’autore sul clone, il Dendy arrivò nei negozi e nelle pubblicità.
Pubblicità ingenue, un po’ sfacciate, dove ai piccoli russi veniva chiesto di risparmiare i soldi di dolcetti e chewingum perché il Dendy non avrebbe fatto loro cadere i denti, e ignorare il fatto che tra i giochi del Dendy c’era un bizzarro clone di Sonic con Mario al posto del porcospino blu perché “chi compra il SEGA sarà invidioso di aver speso tanti soldi” e “non so come funziona, ma le grandi case di videogames si mettono d’accordo tutto il tempo” perché tanto non importava da dove arrivassero i giochi del Dendy (se dalla paghetta, dai genitori, da un amico oppure da un’evidente infrazione del Copyright per cui ti ritrovi a giocare un clone di Sonic con Mario al posto del personaggio principale su un clone di NES) ma l’importante era giocare.
Pubblicità dove, lontani anni luce dagli spot Nintendo legati ad un ambiente familiare caldo e accogliente, ti trovavi proiettato in un mondo di casalinghe che ti lasciano pascolare davanti alla luce di una vecchia ed austera TV di fabbricazione sovietica (magari una Rubin) “per cinque, sei ore” saltuariamente preoccupandosi della tua salute e igiene mentale e pronte a lasciarti “un’altra mezz’ora” per finire il gioco mentre “lavano i piatti”.
In un mondo dove negli spot tracimavano stoccate alle multinazionali occidentali, frammenti di leggende russe miste a trame di videogiochi e videocassette con video di “gameplay” dei piccoli giocatori russi macchiate da testine sporche e/o in vistoso bisogno di un nuovo allineamento e nastri usurati, nelle pubblicità di “Dendy: The New World” respiravi l’esatto contrario dell’ambiente gaudente e familista che Nintendo introdusse in Occidente.
Di tali pubblicità, create con l’illusione di una mascotte pronta a viaggiare per il mondo portando il Dendy fuori dai confini patri (e dai confini del diritto d’autore) potrete trovare di seguito una descrizione surreale, tra austeri studi televisivi dove la Guerra Fredda non sembrava mai essere finita, arcobaleni deformi e recensioni avariate di giochi visceralmente malfatti e modi sempre nuovi ed elaborati per frantumare i sogni dei piccoli spettatori, come rispondere alla lettera di un piccolo lettore che chiedeva se i programmatori di videogames avessero bisogno di computer speciali con un
“Spiacente piccolo, ma in Russia dubito che un lavoro simile sia anche solo possibile, perché non provi a studiare per bene a scuola e aiutare i tuoi genitori? Magari un giorno potrai anche avere un lavoro vero. Un giorno”.
La stessa produzione di giochi era alquanto eterogenea: gli utenti del Dendy non hanno mai potuto giocare a capolavori come Legend of Zelda, Metroid e Final Fantasy, ma oltre al citato “Somari” ebbero cloni del Re Leone e altri giochi nati a cavallo dell’era a 16 bit, anche per console SEGA, portati da pirati in una gioiosa danza di cloni Nintendo, “bootleg” cinesi e taiwanesi e cloni di cloni col marchio Dendy ma mai usciti dai magazzini Steepler, tutti egualmente recensiti in TV senza alcuna distinzione di origine.
Particolarmente famigerata e desiderata dai piccoli russi fu la “Cassetta coi Gabbiani“, equivalente delle nostre “9999 giochi in 1” (di cui almeno 9000 duplicati in diverse lingue e revisioni o cloni degli altri 9000) inesplicabilmente munita di un menù di selezione con immagini di gabbiani e il tema del film Ghost con Patrick Swayze, “Unchained Melody”.
Fino al 1994 uscirono nuovi modelli del Dendy, tutti più o meno compatibili col parco giochi originale, differenti per pochi dettagli, come un “Dendy Jr.” dedicato ad un pubblico entry level ed un Dendy Classic II. Nel 1994 Steepler si presentò da Nintendo proponendo un accordo per diventare loro distributori ufficiali.
Vi sareste aspettati a questo punto un rifiuto secco della Grande N e che anni di “Somari” (Sonic + Mario) avrebbero impressionato Nintendo in modo negativo.
Nintendo invece accettò, e questo portò alla fine del Dendy e di Steepler.
Astutamente, Nintendo rinunciò allora ed in futuro ad ogni contestazione sulle vendite del Dendy, purché Steepler cessasse per sempre la vendita dei prodotti SEGA, dei propri cloni e delle proprie cartucce per dedicarsi solo ed esclusivamente alla sola promozione e distribuzione di GameBoy e SNES e dei giochi originali, ovviamente con adesivi col logo dello sgraziato elefantino applicati sulle confezioni originali perché a quel punto il logo Dendy era diventato più importante del marchio Steepler agli occhi degli acquirenti.
Successe che il pubblico conquistato pazientemente in anni di “Somari” non poteva permettersi di comprare i giochi originali Nintendo ai prezzi voluti da Nintendo, e Steepler si ritrovò insidiata dalla concorrenza orientale che un tempo era stata la sua trazione.
Col finire dell’era ad otto bit, finì anche l’era del Dendy.
Dendy che fece in tempo a lasciare una enorme impronta nella cultura Russa: se oggi per ogni mamma italiana ogni console è “una Playstation” o “un Nintendo” a seconda dell’età della coppia madre-figlio, per intere generazioni russe ogni console domestica fu un “Dendy” (complici gli adesivi Dendy applicati su cloni e originali Nintendo e SEGA) e tutt’oggi i Dendy sopravvissuti sono oggetti di collezionismo al pari delle nostre console anni ’80, se non più rari a causa della loro produzione regionale.
Perché a volte la necessità aguzza l’ingegno: e crea pezzi di storia divertenti ancorché amari.
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