Dal Famicom al NES: due volti della stessa medaglia

di Shadow Ranger |

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Dal Famicom al NES: due volti della stessa medaglia Bufale.net

Tutti riconoscono il NES, il Nintendo Entertainment System. Così tanto che per almeno due generazioni di genitori, i boomers e i millennials, ogni singola console col controller stretto tra le mani di un bambino è “un Nintendo”. Fosse anche una moderna PS5, un coevo SEGA Master System o una console portatile, ogni oggetto atto a far funzionare videogams, ogni singola console è per molti “un Nintendo”.

E come Nintendo divenne sinonimo di console, è una storia che parte dal fratello nipponico del NES, il FamiCom, stesso concetto declinato in una forma diversa.

Nintendo dal digitale al FamiCom

Nel 1983 Nintendo era nel pieno della sua “transizione al digitale”. La seconda generazione di console, dove Atari aveva dominato il mercato internazionale, era ormai agli sgoccioli, e Nintendo aveva subito diverse trasformazioni.

Nata alla fine dell’ottocento come ditta produttrice di giochi di carte tradizionali, Nintendo era passata dalle carte Hanafuda ai giochini “da fiera” sotto la direzione di Hiroshi Yamauchi, terzo CEO della casa e del programmatore e ingegnere Gunpei Yokoi.

Yokoi guidò due transizioni, passando prima dalle carte alle bancarelle, con giocattoli “da poco” come l’Ultra Hand, la “manina estensibile a pantografo” per irritare gli amichetti e un Love Tester negli anni ’60, poco più che un congegno con due sferette che reagivano alla conduttività elettrica della pelle umana, un perioscopio chiamato Ultra Scope e uno sparapalle da softball che chiamò Ultra Machine, e i primi giochi portatili, i Game&Watch.

Scatola dei due Duck Hunt, fonte beforemario.com

Scatola dei due Duck Hunt, fonte beforemario.com

Aveva anche portato al successo Nintendo nel mercato dei giochi Arcade col “Dipartimento di Ricerca e Sviluppo 1”, responsabile di Arcade come Donkey Kong (clone di Braccio di Ferro creato per problemi coi diritti del Thimble Theater e per tamponare il fallimento commerciale di Radar Scope), ma semplicemente ad un certo punto della sua storia Yamauchi, che ricordiamo (come leggerete nell’articolo dedicato al Game&Watch ed a Tetris) non era un gamer ma un imprenditore, sentì che non sarebbe bastato.

Il Game&Watch non sarebbe durato per sempre, e i giovani Giapponesi avevano fame di elettronica, e volevano avere a casa i giochi arcade della casa che al momento potevano giocare su licenza su console come Atari.

Nintendo aveva già creato le sue console fisse nella prima generazione, la serie dei Color TV Game (affini per natura ai nostri Pong): la palla passò a Masayuki Uemura, leader  del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo 2, che raccolse le intuizioni del collega di R&D1 per “portarle nel futuro”.

Uemura aveva sognato una console a 16 bit dotata di floppy disk che potesse “diventare un computer”: dovette accontentarsi di una console a 8 Bit con alcune delle caratteristiche da lui sognate.

Le origini del FamiCom

Lo stesso nome della console rifletteva la natura, nonché la direzione presa da tutte le console Nintendo da quel momento in poi: fu proprio la moglie di Uemura a suggerire che, negli anni ’80, il computer era un oggetto sostanzialmente unipersonale, mentre il “family computer” avrebbe dovuto essere condiviso con tutta la famiglia, creando il concetto di Party Game che tutt’ora è il fulcro della Nintendo Switch e del suo successore.

Confezione completa del FamiCom

Confezione completa del FamiCom

Uemura, che era entrato a far parte della famiglia Nintendo partendo da Sharp, ditta con la quale Yokoi e Yamauchi erano entrati in contatto per reperire le fotocellule necessarie allo Zapper di Duck Hunt e altre collaborazioni da cui sarebbe nato proprio il Game and Watch, fu messo immediatamente da Yamauchi a lavorare a qualcosa che fosse a. un successore dei Color TV Game, b. in grado di portare ai bambini giapponesi l’esperienza arcade ma a casa, c. che costasse pochissimo e d. che sembrasse bello esteticamente nonostante i suoi limiti.

Il FamiCom entrò in competizione col SEGA Master System inaugurando una tradizione che Nintendo mantiene ancora oggi: le sue console costano meno della concorrenza, hanno hardware più datato ed economico della concorrenza, ma hanno dalla loro soluzioni tecniche innovative e una pletora di proprietà intellettuali forti, fortissime.

Yamauchi insistette perché la console avesse colori vivaci e un aspetto “premium”: da cui il colore rosso sgargiante del FamiCom. Yamauchi studiò l’uso di joystick convenzionali, scoprendo che nell’ecosistema immaginato da Yamauchi (una piccola stanzetta giapponese con due bimbetti assisi davanti alla TV e il FamiCom poggiato per terra) sarebbe stato facilissimo pestare il joystick e spezzarlo.

La soluzione divene ricorrere al pad con la croce direzionale creato da Gunpei Yokoi per i Game&Watch, che da allora divenne il simbolo stesso dei controller Nintendo.

Alcune soluzioni tese al risparmio videro i pad del FamiCom saldati direttamente alla scheda madre: errore che sarebbe stato corretto nel NES Occidentale e nel Super Famicom successivo, dato che nonostante la robustezza della croce direzionale il “pesta pesta” dei bambini danneggiava i tasti.

Un altro intoppo nella vita del FamiCom fu una serie di bug nel primo lotto di produzione che rendevano le console inclini ai blocchi: avrebbe potuto essere un disastro, ma Yamauchi dispose un richiamo a sue spese con sostituzione del lotto interessato, cementando l’idea di Nintendo come una ditta “seria” e pronta a sacrificare i suoi profitti per difendere i diritti del consumatore.

Il Family BASIC

Il Family BASIC

Il FamiCom era una console semplice truccata da console premium: nonostante fosse possibile semplicemente inserire ed estrarre le cartucce di gioco (al lancio furono distribuiti Donkey Kong, Donkey Kong Jr. e Braccio di Ferro, del quale tardivamente erano arrivati i diritti sbloccando la possibilità di un secondo gioco), Gunpei Yoki suggerì un pulsante “eject” assolutamente non necessario perché al modico prezzo di un bottoncino con molle il ragazzino avesse di fronte qualcosa di “tattile” e dall’apparenza costosa.

Il secondo pad aveva un microfono incorporato, utile per il karaoke amato dai giapponesi o per interagire con alcuni giochi, e le cartucce erano a carica dall’alto, colorate e con grafiche ispirate ai giochi.

Il FamiCom nell’intenzione di Nintendo avrebbe potuto diventare un vero e proprio computer: allo scopo fu distribuita una tastiera con una cartuccia munita del linguaggio Hu-BASIC, ma ovviamente solo nel mercato Giapponese.

Ironicamente, la stessa Nintendo che aveva investito sul “FamiCom come computer” decise di rimangiarsi rocambolescamente tutto quando, acquisiti i diritti di Tetris, dichiarò che ELORG aveva venduto i diritti per sviluppare Tetris su computer, ma non sulle console da gioco e FamiCom e NES non andavano considerati computer.

Nel 1986 Nintendo tentò un’ulteriore evoluzione del FamiCom, passando dalle cassette ai floppy, col Famicom Disk System.

Famicom Disk System

Famicom Disk System

Il Disk System era rivoluzionario e si avvicinava alla visione originaria di Uemura e consorte introducendo la moderna possibilità di giocare su Floppy, comprare i propri giochi da “chioschi online” e scaricare e caricare punteggi di giocatori di tutto il mondo, arricchendo inoltre la console di quell’aspetto fisico ipertrofico e “premium” che il CEO cercava dalle origini.

La stessa pirateria informatica che in mercati come quello Italiano era percepita come un bonus, nonché l’intrinseca fragilità dei floppy disk, specie nelle unticce e nutellose manine del bambino medio rispetto alla già incline al sudiciume cartuccia decretarono l’insuccesso del Disk System e la resistenza del FamiCom nella sua forma base.

Le cartucce inoltre, in quanto tali, potevano essere rivendute con chip aggiuntivi per estendere le capacità audio/video della console: ma nel 1986 accadde un’altra cosa.

Dal FamiCom al NES

Minoru Arakawa, presidente di Nintendo of America, provò per diversi anni dal 1983 a lanciare il FamiCom in Occidente.

Ci riuscì in parte col “Nintendo Vs”, giochi arcade basati sull’hardware del FamiCom, e provò un accordo con Atari per produrre un “Nintendo Advanced Game System”, presentato nel 1984 come un FamiCom con tastiera e cartuccia BASIC incorporati dal sobrio colore nero.

Arakawa ammise che l’autodistruzione di Atari e il fallimento dell’accordo furono la cosa migliore capitata a Nintendo, e per quanto la presenza di controller wireless e una tastiera “da vero computer” sarebbero state avveniristiche, questa non era la direzione da prendersi.

Cosa avremmo potuto avere

Cosa avremmo potuto avere

Arriviamo ora al 1985: Atari, per una serie di ragioni che abbiamo visto, si era autoeliminata dal mercato.

La seconda generazione di console era finita, e la terza premeva alle spalle, col Commodore 64 diventato suo involontario araldo. Il fallimento della politica di “Protezionismo Giuridico” di Atari aveva inondato il mercato di giochi di terze parti di qualità infima, contribuendo, al tramonto della seconda generazione, a far percepire l’Atari VCS come qualcosa di ormai desueto e di scarsa qualità.

Non un fattore, ma tanti decretarono la fine di Atari, e il mercato fertile perché Nintendo si impossessasse per sempre della vittoria nella Terza Generazione.

Il NES divenne una versione “migliorata e peggiorata” del FamiCom, che raccolse gli aspetti “premium” scartando alcune funzioni per aggiungerne altre.

Secondo Yamauchi, le “differenze climatiche” tra il Giappone e gli USA resero necessario avere il connettore delle cartucce nascosto e riposto all’interno della console, per evitare che i bambini toccandolo per errore scaricassero energia statica nello stesso: questo fu l’occasione per ridisegnare il NES con un grigio crema tematicamente simile al GameBoy a suggerire continuità, e l’aspetto del Videoregistratore, oggetto del desiderio degli Americani.

Cosa abbiamo avuto

Cosa abbiamo avuto

Il FamiCom aveva piccole cartucce coloratissime, ad immagine e somiglianza delle cassette audio. Il NES doveva somigliare ad un elettrodomestico, avere l’aspetto “premium e raffinato” che l’Atari VCS non aveva più, con cartucce ampie e grandi che proteggessero il delicato involucro ma avessero invece l’aspetto di videocassette.

Se il FamiCom aveva joypad saldati, il NES consentiva agevolmente di rimuovere i pad, comprarne uno o due, o anche lo Zapper e ROB, tenero robottino creato apposta per soli due giochi, il cui scopo non era essere comprato in massa, ma apparire sugli scaffali a suggerire l’idea che il NES era una vera console proiettata nel futuro e con tutto un futuro davanti.

Mentre il modello commerciale di Commodore era, sostanzialmente, randellare nel giocatore il concetto che il crollo di Atari era dovuto all’inferiorità delle console sugli home computer, utilizzabili per svago e lavoro, il modello commerciale di Nintendo fu proporre il NES come avveniristico e insieme affidabile ed economico intrattenimento per tutta la famiglia.

Alcune funzioni furono guadagnate, altre perse: il FamiCom originale aveva un connettore a 60pin, il NES da 72 pins, ma il NES difettava dei pin usati per comunicare con le funzioni aggiuntive della cassetta.

Un esempio tipico è la cartuccia di Castlevania III, che nella sua versione Famicom (Akumajō Densetsu, “La Leggenda del Castello del Demonio”) aveva un chip audio aggiuntivo per perfezionare la resa della colonna sonora inaccessibile sul NES.

Il NES invece disponeva di un lockout chip, il 10NES, presente sia nella console che nelle cartucce che, se non avesse riconosciuto una cartuccia approvata, avrebbe bloccato la console simulando un errore, costringendo la console a riavviarsi costantemente con un inquietante lampeggiare del led di accensione.

ROB, il cavallo di Troia della novità NES

ROB, il cavallo di Troia della novità NES

Il lockout chip fu la risposta all’inondazione di giochi di terze parti sul mercato Atari: l’unico modo per avere una cartuccia col Lockout chip era quindi passare attraverso Nintendo stessa ottenendo il sigillo di approvazione oppure dedicarsi a vari “mezzucci” variamente contrastati da Nintendo, come vendere cartucce “bypass” su cui inserire i giochi o, come fatto da Atari-Tengen, procurarsi il codice del 10NES dichiarando che era necessario per tutelarsi e poi “clonarlo” in un chip simile, il “Rabbit”, innescado una lunga battaglia giudiziaria tra le due case che porterà Tengen a spostarsi sulla produzione di giochi per la concorrenza, SEGA.

Il NES sostanzialmente si presentava al mondo come un FamiCom depurato delle funzioni meno apprezzate (la possibilità di “diventare un home computer o quasi”, la possibilità di usare chip aggiuntivi nelle cartucce, l’aspetto di un costoso giocattolone) per acquisire le vesti di una console matura, solida ed elegante pronta ad esigere il suo posto non più per terra davanti ad una vecchia TV, ma in un salotto tra il videoregistratore e i lussi accessibili di una generazione di giocatori evoluti e fedeli al marchio della Grande N.

Per gli standard dell'epoca, questa scena non era affatto grottesca

Per gli standard dell’epoca, questa scena non era affatto grottesca

L’evoluzione di Nintendo da produttore di giochi Arcade a produttore di console domestiche era cominciata ed insieme era giunta al compimento successivo: il NES era diventato un fenomeno di costume, e nel 1990 decine di giovani giocatori si sfidarono negli USA nel Nintendo World Championships proprio su un NES, ispirato da film come Il Piccolo Grande Mago dei Videogames dove il cattivo agitava un goffissimo Power Glove (esempio da manuale degli accessori inguardabili e inutilizzabili, creati come specchietto per le allodole per far sentire il giocatore acquirente di oggetti “tecnologici e costosi”) dichiarando che lo stesso “era uno sballo” e vantandosi di possedere, e aver giocato, almeno “97 cartucce”, un numero esorbitante per tempi precedenti il digital delivery e prova dell’enorme supporto del NES.

La riprova del NES come fenomeno di costume si ebbe proprio col Piccolo Grande Mago: Nintendo inviò una riproduzione del Power Glove non ancora terminato apposta per la scena in cui il malvagio Lucas esibisce la sua ricchezza calcolandola a spanne in accessori Nintendo di dubbia utilità (il Power Glove non ebbe successo in quanto inutilmente macchinoso e poco ergonomico, ma come ROB servì a cementare l’idea di una Nintendo pronta a sperimentare contro una SEGA stagnante) e lanciò i NWC proprio l’anno dopo i campionati immaginari in cui il piccolo “Grande Mago” Jimmy sconfigge il malvagio ed egoista Lucas in un grande torneo dove viene presentata la novità del momento: Super Mario Bros. 3

Ogni console successiva, dal SuperFamicom/SNES in poi non avrebbe che perfezionato tale sentire.

La cavalcata dei Famiclones

La semplicità costruttiva del FamiCom e del NES rese entrambi i fratelli clonabili da subito, specialmente nei mercati in cui Nintendo non poteva arrivare o non era interessata ad arrivare.

Abbiamo visto assieme come grazie all’intuito di Henk Rogers il Tetris di Pajitnov potè lasciare la Russia e diventare il gioco di punta del GameBoy: eppure il NES non arrivò mai ufficialmente in Russia.

Ci arrivò il Dendy, sfacciatissimo clone del FamiCom prodotto a Taiwan e importato da Steepler Ltd, futuri importatori delle console Nintendo quando esse arrivarono per davvero, venduto con cartucce clone come “Somari” (Sonic con sprite modificati per somigliare ai personaggi della saga di Super Mario Bros) e la “Cartuccia dei Gabbiani”, una delle cartucce “mille giochi in uno” con la colonna sonora di Ghost in un menù di caricamento, il tutto presentato da appositi e austeri programmi televisivi dove conduttori in scene di rara tristezza descrivevano il giocatore medio come un bambino abbandonato davanti ad una vecchia TV con la madre che, tra una faccenda domestica e l’altra, controlla se il rampollo sia ancora vivo e invitavano i piccoli spettatori pronti a chiedere se avrebbero mai lavorato nel mercato dei videogames a “cercarsi un lavoro vero”.

Dendy Jr. Praticamente, un FamiCom nero

Dendy Jr. Praticamente, un FamiCom nero

E ci arrivò il Gradiente Phantom, assurdo mostro di Frankenstein made in Sud America composto dal case di un Atari con la Light Phaser di un Master System e la mainboard di un Famiclone con apposite cartucce uguali a quelle del NES ma in plastica nero Atari.

Uno dei FamiClones più sfacciati fu il SUBOR, anzi la serie dei SUBOR, dato che ne uscirono diversi esemplari. Clone non del FamiCom standard o del NES, ma dell’assai imbarazzante kit Basic: il SUBOR aveva la tastiera esterna incorporata nel case e veniva venduto con Hu-BASIC, il dialetto usato dai computer Sharp e del FamiCom per essere usato come ausilio didattico.

Il SUBOR godette di popolarità e del supporto promozionale del famoso attore Jackie Chan per gli anni ’80 e ’90, ma quando nel 2020 il Governo Cinese decise di limitare il mercato dei videogames come mezzo per combattere formalmente la ludopatia e di fatto per rinforzare il suo controllo sui media, anche SUBOR cadde.

Secondo Jackie Chan, un computer

Secondo Jackie Chan, un computer

Ma i FamiClone più famosi in Italia sono l’ormai celeberrima PolyStation e le miniconsole come il SUP! 400-in-1, rispettivamente sui 40 euro e sui 10-20 a seconda dei casi su tutte le bancarelle di Italia.

La PolyStation ebbe spot promozionali sulle TV locali italiane, il SUP tiene banco sulle bancarelle o nei vari Aliexpress e simili.

La PolyStation è l’esempio tipico del concetto di Shanzai, intraducibile parola cinese che descrive il tarocco così tarocco da fare cerchio e diventare bellissimo, un Olimpo popolato da scarpe Abibas e MIKE che mostrano la futilità del marchio di lusso rispetto al goffo prodotto del fasonista annoiato, spesso lo stesso fasonista che produce il marchio di lusso.

Come rovinare il Natale

Come rovinare il Natale

Un FamiClone, con tanto di cartucce in stile FamiCom, riempite di giochi, a parole migliaia ma di fatto arricchiti da decine di versioni dello stesso tarocco, veduto in una scocca simile alla PlayStation in tempo per rovinare il Natale di generazioni di bambini.

Azione commerciale deliziosamente ironica, contando che la PlayStation originale, come sappiamo, nacque proprio dal tentativo di Nintendo di collaborare con SONY per creare un “Nuovo SuperFamicom” con CD e la storia invece andò diversamente.

Successore “moderno” è il SUP, consolina portatile con 400 giochi (molti copiati) e un connettore videocomposito fuori tempo massimo per attaccarlo ad una vecchia TV NTSC e rovinare le feste ai genitori che tornano dal bancarelliere chiedendo perché, nonostante aver trovato un adattatore HDMI/Composito, sulla loro TV PAL il giochino si veda in bianco e nero.

Il fascino dei FamiClones deriva oltre dalla loro sfacciata bruttezza dall’enorme successo del NES, per il quale ancora oggi continuano ad esistere videogiochi.

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