Editoriale

Cosa sappiamo di Ahoo Daryaei, cosa crediamo di sapere

È diventato virale, così tanto da avere persino un posto nella mostra al femminile della Lucca Comics appena trascorsa il gesto di Ahoo Daryaei.

A tutti gli effetti, la nemesi di una visione teocratica dell’attuale Iran: donna, madre di due figli, separata, studentessa. Improgionata e portata via, rinchiusa in un ospedale psichiatrico per un gesto di protesta che la stampa e l’ateneo locali derubricano a disagio, probabilmente seguiti da maschilisti e disinformati locali, ma in quel mondo è molto di più.

Cosa sappiamo di Ahoo Daryaei, cosa crediamo di sapere

Nell’Iran descritto sin dai testi di Marjane Satrapi come un posto in cui non si sfugge dall’opprimente gabbia del velo, la giovane Ahoo Daryaei viene fermata in malo modo dalla basij, una forza paramilitare Iraniana incaricata di vegliare sulla “morale”.

Parliamo di quell’Iran dove le proteste di piazza vengono sedate fucilando le donne con pallini ad altezza viso e seno, con l’apposito scopo di sfigurarle e cancellarne anche così la figura.

Cosa sappiamo di Ahoo Daryaei, cosa crediamo di sapere

Secondo le autorità locali c’è stato “un dialogo pacato”, secondo Amnesty International e Amir Kabir una serie di atti di violenza.

La giovane reagisce con quel genere di protesta normalissimo per noi, ma rivoluzionario in quel contesto: appare nel cortile universitario in biancheria.

Castissima peraltro: consigliamo a chiunque si sia sentito offeso o in qualche modo persino eccitato da un paio di mutandoni a righe e un reggiseno di riconsiderare le sue prorità e intraprendere un percorso di cura.

Tanto è bastata perché fosse portata via e additata come “mentalmente instabile”: etichetta questa sovente usata dal Regime e dai suoi simpatizzanti anche esteri come modo per zittire le proteste e delegittimare la donna.

Il mondo ora si preoccupa per lei: tra ragazze arrestate per sparire o essere “trovate morte”, protestanti sfigurate e altri scenari del genere, è difficile credere sulla parola alla storia della “donna mentalmente instabile da curare con pacatezza”.

È il momento di riconsiderare quello in cui siamo disposti a credere e cominciare a difendere quello per cui siamo pronti a lottare.

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