Si spendono fiumi di parole sul caso Ilaria Salis, ma seriamente, qui sarebbe meglio il riserbo e ricordarsi che la giustizia e il generale concetto di umanità dovrebbero marciare a braccetto e tutti e due tenersi ben lontano dalle “ronde social” e da quel giustizialismo filibustiero che assegna sia torti e ragioni a tavolino.
Le scene, che non amiamo mostrarvi perché tanto le conoscete tutti, dell’imputata italiana trascinata in ceppi e catene davanti alla Corte le avete viste tutti ed hanno causato l’ennesimo terremoto politico, giudiziario e dintorni.
Sappiamo in realtà non molto, circostanza denunciata dalla difesa della stessa.
Succede che l’11 Gennaio 2023 si teneva il “Giorno dell’onore”, una giornata dedicata alla commemorazione delle gesta di un battaglione nazista che tentò di opporsi all’Armata Rossa nel 1945 in una delle pagine indubbiamente più oscure della storia di ogni tempo e che continua a gettare ombre e oscurità.
Circostanza che attira da sempre, per ovvie ragioni, neonazisti e antagonisti di opposto orientamento in scontri che continuano ad essere brutali.
Un gruppo di persone, legate ad un gruppo chiamato la “banda del martello” ha infatti aggredito a martellate delle persone nel corso di quelle manifestazioni, agendo in base a quanto ricostruito animata dal desiderio di punire i neonazisti. Queste persone hanno riscontrato gravi lesioni: ovviamente, a prescindere da ogni circostanza, non è una condotta lecita prendere chicchessia a martellate.
Credo che questo sia assodato. Il punto dolente della questione è che si parla, ricordiamo di accuse e non di condanne.
Accuse che prima di provvedere alle sanzioni dovranno tradursi in condanne, ma di fatto non sono arrivate neppure alla fase processuale.
Al momento infatti Ilaria è accusata per quattro aggressioni: due contestazioni sono già cadute, perché s’è dimostrato che in quei momenti la donna non era ancora arrivata in Ungheria.
I rilievi dell’accusa portano a ritenere che la donna, trovata in un taxi con un manganello retrattile, abbia partecipato alle aggressioni, sommando quindi un cumulo di pena potenziale per i reati di lesioni corporali aggravate e associazione a delinquere, individuando il legame con la “Gang del Martello”.
La difesa nega tali addebiti (del resto nemo se detegere, non è scopo della difesa accusare la persona difesa di cose, specie se nega siano accadute), solleva dubbi sul fatto che la donna ritratta nei video (e quindi legata alle foto sanguinolente delle vittime diffuse sui social) sia lei e lamenta di non aver potuto visionare le immagini di quelle telecamere, quindi non solo sollevando quei dubbi, ma non potendo predisporre difese al riguardo (cardine questo di ogni giudizio: se mi accusano di qualcosa, devono mostrarmi gli elementi di accusa per cui possa difendermi). Inoltre mancherebbe la traduzione degli atti giudiziari in inglese e italiano, opponendo un un’ulteriore barriera di tipo linguistico alla conoscenza degli elementi di difesa e le perizie tecniche richieste.
Ora: non è nostro scopo rispondere a domande tipo
“Ma quella è la foto della vittima?”
“Ma Ilaria Salis ha fatto quello che dicono i giornali?”
Ovviamente non possiamo e non potrebbe nessun altro, neppure i giornali che ci citate.
Se il problema è che la difesa non ha avuto accesso agli elementi necessari a predisporre una difesa, se un processo al momento non si è celebrato, nessuno potrebbe ritenere possibile uno scenario in cui un “aspirante debunker” entra in Procura con caffé, cornetto e cellulare, fa copie di tutti i fascicoli che la difesa non ha avuto, butta tutto in uno scatolone e risponde alle domande del Popolo della Rete.
Il problema è evidentemente un altro: quelle immagini scioccanti, e l’attesa della celebrazione di un giudizio che al momento non può avere colpevoli o colpe da scontare perché non si celebrato.
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