Al momento non sappiamo molto della notizia, nessuno conosce ulteriori dettagli salvo quanto rilasciato dal Ministero alle agenzie di stampa.
Una laconica velina che recita
Egypt confirmed on Friday its first coronavirus case and said the affected person was a foreigner who had been put into isolation at hospital.
The health ministry said in a statement that it had immediately informed the World Health Organization and had taken all necessary preventative measures. It did not give the nationality of the affected person or any other details.
L’Egitto ha confermato questo venerdì il primo caso di coronavirus, dichiarando che la persona colpita è uno straniero che è stato posto in isolamento.
Il Ministro della Sanità ha dichiarato pubblicamente di aver informato l’OMS per prendere ogni precauzione del caso, senza rilasciare la nazionalità del malato o ulteriori dettagli.
Siamo in tempi di falsi allarmi e, qualora le successive analisi del caso confermassero (come siamo portati a ritenere, ma i fatti non si giudicano se non con verifiche successive) l’infezione, non è ancora giunto il tempo di allarmarsi.
Era normale che in paesi dove vi è un interscambio tra lavoratori e turisti, e l’Egitto non è esattamente un paesello dimenticato dalla specie umana, arrivino casi di contagio da pandemie.
Come la coppia orientale ricoverata allo Spallanzani non ha significato la fine dell’Italia, probabilmente non sarà un singolo caso a realizzare uno scenario in stile L’Ombra dello Scorpione, ma bisognerà valutare i successivi resoconti e cosa l’OMS e la Sanità Egiziana faranno in futuro.
Assolutamente niente dal punto di vista pratico, tutto dal punto di vista sostanziale.
“Dobbiamo solo sperare” nella capacità dei servizi sanitari di reagire, “e l’Egitto non è certamente un Paese fragile”, osserva Ricciardi.
Ma quanto è grande il rischio che questo primo caso, relativo a un paziente straniero di cui non si hanno ulteriori notizie, possa dare origine a focolai locali di infezione? Per l’ex presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) è troppo presto per fare previsioni: “Per prima cosa dobbiamo capire bene la storia di questa persona – precisa – Da dove viene, che cosa ha fatto, come è arrivato in Egitto, che contatti ha avuto”.
E al momento non sappiamo altro. La rincorsa al dettaglio potrebbe essere un’arma a doppio taglio: cagionare allarmismi.
Certo, l’Egitto è un paese certamente non fragile in un continente che, abbiamo già visto, ha anche stati deboli dal punto di vista della sanità.
Ma senza ulteriori dettagli sulla storia clinica della persona, lanciarsi in congetture e ipotesi potrebbe diventare pericoloso quanto e più del virus stesso.
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