La tecnologia moderna ci ha dato nuovi istinti e nuove abitudine. Ha preso bisogni e abilità che avevamo già in passato e ci ha dato modi più efficaci per fare le stesse cose, ma non ha cancellato la memoria di quando le stesse erano fatte in modi diversi.
Si ha l’illusione che “ai nostri tempi” era tutto diverso. Ma “nei bei tempi andati” c’era bisogno di molte cose di cui abbiamo bisogno ora, e lo si faceva, grossomodo, nello stesso modo.
L’avete visto questa settimana, molti di voi che hanno ricevuto giochi in dono: uno dei rimpianti dell’epoca moderna è che un videogame spesso riceve patch sin dal “Day One”. Compri il tuo gioco, e prima di usarlo dovrai spendere almeno un’oretta a scaricare patch.
Crediamo che in passato i giochi arrivassero “perfetti”, ma non era così.
Semplicemente, i difetti esistevano eccome, ma non c’era modo di correggerli agevolmente. Un intero lotto di Ghostbusters per il Commodore 64, parliamo ovviamente dell’originale e non delle cassettine pirata successive, arrivò nei negozi fallato richiedendo la sostituzione della cassetta.
In alcuni casi le patch c’erano ed erano distribuite in modo creativo: un bug in Pokemon Rubino/Zaffiro/Smeraldo che bloccava alcune funzioni di gioco fu corretto distribuendo la patch mediante invio del gioco in busta chiusa a Nintendo, oppure sui CD di altri titoli della casa per GameCube.
In Giappone, dove era disponibile un accessorio per scansionare codici contenuti nelle carte collezionabili Pokémon, con un ritorno all’antico imprevisto per il 2004, la patch fu offerta su una scheda scansionabile con un apposito codice, in diretta dal mondo delle schede magnetiche e perforate vintage.
Ed era un enorme miglioramento rispetto alle prime due generazioni del gioco, dove gli errori erano molti e la risposta fu tenerseli fino alla terza generazione, quella di Rubino e Zaffiro.
Più avanti nel tempo uno strumento per distribuire le patch, oltre ai lotti di produzione successivo, divennero le riviste da edicola per i gamer.
Il concetto stesso di patch, anzi il termine, rimanda però alle sue origini: le prime patch della storia erano di fatto toppe adesive attaccate su nastri e schede perforate per evitare di doverle reincidere daccapo.
Molti guidatori danno per scontata la presenza di un navigatore GPS. Ma un tempo il navigatore era, di fatto, una persona.
Questo non per assenza di tecnologia: la tecnologia GPS esiste dal 1973, ed è stata introdotta per l’uso civile dagli anni ’90, sia pur con pesanti limitazioni fino al 2000.
Ebbe però una lunga serie di predecessori, come Iter-Avto (siamo negli anni ’30, pronunciatelo quindi “Iter-Auto”), una specie di sistema a rulli che faceva scorrere una mappa risparmiando all’autista la fatica di procurarsi un compagno di viaggio armato di guida turistica e Tutto Città.
Iter-Avto non aveva modo di percepire la posizione del veicolo: usava il tachimetro della macchina, specialmente all’epoca un oggetto impreciso e incine ad errori di almeno 10 km/h orari per regolare la velocità del rullo.
Nel 1971 la BBC presentò un cugino inglese del sistema, che usava però cassette audio pronte a dettare il tragitto ed uno scatolotto che accendeva e spegneva l’autoradio a seconda della velocità, ottenendo un effetto assieme ad Iter-Avto.
Con gli anni ’60 e il sistema TRANSIT, decisamente più goffo e lento (veniva aggiornato ad intervalli di ore) cominciò il sogno di un sistema satellitare, ma per molto tempo l’automobilista dovette basarsi sui cartelli stradali o su un amico (nelle famiglie in gita, il ruolo veniva tradizionalmente assegnato alla moglie o al figlio maggiore, tradizionali occupanti del sedile anteriore passeggero nella “famiglia tradizionale”) armato del Tutto Città per la tratta cittadina, di enormi mappe e guide “da Autogrill” per le ferie, strapagate e distese sul cruscotto.
Alcuni modelli lussuosi, come le Buick, cominciarono a darti una bussola nel sistema di infotainment di bordo già negli anni ’80, ma con l’arrivo del GPS civile dagli anni ’90 in poi il partner con la mappa e l’orologio fu sostituito dapprima da uno dei GPS “esterni”, i Tom Tom da appiccicare con una ventosa al cruscotto, e poi dai sistemi di navigazione che conosciamo.
L’arrivo degli Smartphone e degli Infotainment evoluti diede il colpo di grazia alle mappe cartacee: se prima era vista comune non solo l’automobilista, ma anche il turista con la sua brava mappa pronto a chiedere indicazioni, adesso Google ed Apple Maps fanno la parte del leone, ed in automobile quando non si ha un veicolo abbastanza moderno da avere già il navigatore incorporato si può montare una staffa per il supporto cellulare.
Inoltre l’era connessa presentava e presenta un vantaggio: un navigatore “off line” andava aggiornato, sovente acquistando CD con le nuove mappe da caricarsi mediante il PC di casa, e il caso odierno della località “non ancora presente sul GPS” tendeva a presentarsi ancora più frequentemente.
Le mappe cartacee sono ancora sopravvissute, ad esempio per viottoli e installazioni come le fiere (pensate al tipico stand di Lucca Comics).
Anche qui ne abbiamo parlato però: sostanzialmente lo smartphone è diventato un agglomerato di una serie di oggetti tipici di ogni vacanziero. Le cartine geografiche e le guide turistiche, sostituite dal navigatore GPS incorporato e Internet, ma anche la macchina fotografica (magari usa e getta) e le telecamere per girare il filmino delle vacanze o le foto da esibire agli amici.
Amazon Music e Spotify hanno preso il posto di radioline e Walkmen prima, dei lettori MP3 dopo. La fotocamera incorporata ha inglobato la macchina fotografica e la telecamera, l’orologio incorporato oltre agli orologi ha inglobato sveglie e calendari da viaggio, nonché i giochi portatili.
La valigia del vacanziero perfetto era molto più pesante, e richiedeva frequenti visite al fotografo per sviluppare le nostre foto (ogni scatto doveva quindi contare, e si sceglieva il fotografo più abile in famiglia per avere ottimi ricordi senza spendere troppo), e l’unico sollievo fu dato dal passaggio dal Super 8 alle telecamere VHS e MiniVHS (che non richiedevano sviluppo e caricamento in camera oscura) e poi con l’arrivo delle prime telecamere e macchine fotografiche digitali, che consentivano di “rifare” scatti e riprese ad libitum cancellandoli sulla scheda di memoria.
Oggi Internet è la tipica fonte di ricerche, con ChatGPT che tende ad entrare nelle aule, nel bene e nel male.
Un tempo, prima di Wikipedia (anche esso sistema non immune dagli errori), prima di ChatGPT, prima della ricerca su Internet, ovviamente il mezzo di intrattenimento e cultura primario erano le enciclopedie.
Come Il Tesoro del Ragazzo Italiano, Ed. UTET, degli anni ’60, con informazioni (spesso un po’ datate, come l’invito a gettare i rifiuti in mare piuttosto che lasciarli sulla spiaggia in quanto “Il mare accoglie e purifica”), miti e leggende, l’Enciclopedia Britannica, la Treccani, la Grande Enciclopedia DeAgostini (GEDeA) e altre.
Se si aveva il bisogno di una illustrazione particolare e non si voleva vandalizzare un libro in liberia, si correva in copisteria con l’enciclopedia sottobraccio per farsi fare una fotocopia da incollare sul quaderno, o si ricalcava una illustrazione particolarmente bella millantando capacità di disegno inesistenti.
Per una parentesi durata dagli anni ’90 al 2000, le Enclopedie furono diffuse su CD e DVD, come la celebre Encarta di Microsoft, in Italia tallonata dalle edizioni digitali di Rizzoli, DeAgostini e altri produttori.
Per un fulgido periodo, quando Internet non era ancora ubiquitaria ma i computer lo erano, tutti i produttori di testi scolastici misero a catalogo un’edizione su CD, e persino dizionari come il Nuovo Campanini Carboni Latino-Italiano ebbero il loro bravo CD per consentire allo studente proto-telematico di impratichirsi con le “versioni” direttamente su Word.
A quel punto ottenere quelle immagini era facile come avere una stampante.
Merita una menzione di onore Bompiani, che già nel 1984 aveva diffuso una sua enciclopedia digitale per Commodore 64. Il mezzo usato però, il Datassette, rendeva la consultazione assai scomoda e lenta, con tempi di caricamento superiori al tempo di fruizione del contenuto.
Infatti tra la nota lentezza del Datassette, la sua natura sequenziale (tale per cui dovevi caricare “programma per programma”) e la ridotta capacità dati dell’epoca, il tempo necessario ad individuare una determinata voce enciclopedica (ammesso tu avessi avuto la stampante) era superiore di molto al tempo che avresti impiegato per portare un volume cartaceo in copisteria.
Prima di Internet, era possibile fruire di musica e film a casa, ed era anche possibile per i “diversamente onesti” darsi alla pirateria.
La parola chiave era il videonoleggio e il noleggio musicale: non era infrequente che gli stessi negozi che vendevano supporti audiovisivi li noleggiassero: non tutti avevano i soldi per comprare tutto, e probabilmente un determinato film ti sarebbe servito solo una volta nella vita.
Inoltre, il gestore del negozio fungeva anche da recensore vivente, consigliandoti in base ai tuoi gusti personali.
Potevi quindi affittare cassette audio, vinili, CD, VHS e, nell’ultimo periodo, CD Video e DVD. Ovviamente potevi anche darti anche alla pirateria: molti stereo avevano una funzione per “riorganizzare” la musica su CD in modo da riempire una cassetta audio il più rapidamente possibile, e più avanti la diffusione dei masterizzatori CD rese possibile ed economico usare il PC come mezzo di pirateria informatica casalinga.
Per le VHS assieme al Macrovision arrivarono progetti per rimuovere la protezione, spesso direttamente allegati a riviste come Nuova Elettronica, con fantasiosi nomi come il “Virus Killer” per evitare il marchio registrato.
Blockbuster, catena di noleggio film, un tempo fu così famosa da essere sinonimo di “gran successo di cassetta”: oggi sopravvive in un unico esercizio commerciale, vivo più per mantenere i ricordi che per vendere.
Vi abbiamo già parlato della storia del cercapersone e della diffusione del “Teledrin” in Italia. Quello di cui ora parleremo è come l’ingegno portò ad usarli come antenati degli instant messenger.
Prima di Whatsapp esisteva un intero codice di messaggi al Teledrin, traslato in messaggi SMS.
Una intera generazione ricorderà tvtb per “ti voglio tanto bene”, xsone per “persone”, c6 per “ci sei”, amete per “amore eterno”, xké per “perché”, axitivo per “aperitivo”, x fv per “per favore”, ntm per “non ti merito” cmq per “comunque”, civepo per “ci vediamo poi”, nonché interi codici basati sul “contare gli squilli” quando arrivarono i cellulari ma il traffico voce si pagava assai salato e senza plafond mensili sulle schede ricaricabili.
La necessità aguzza l’ingegno, e Teledrin ed SMS introdussero una standardizzazione del messaggino pari solo alle abbreviazioni delle lapidi Romane dell’età Consolare.
Tali precauzioni erano dovute a due fattori: l’SMS si pagava a singolo messaggio, non potevi sforare i 160 caratteri ma alcuni cellulari consentivano di “concatenare” più SMS, in questo caso inviando e ricevendo un “megaSMS” con multipli di 153 (i sette caratteri persi andavano per raccordo) ma, ovviamente, prezzo moltiplicato per ogni forma di componente.
Il secondo fattore era la tastiera: i cellulari nascono come evoluzione del telefono fisso, e come tale non avevano tastiere alfanumeriche, ma numeriche. Avevano però lettere per ogni tasto, mutuate dall’uso americano di creare numeri con ausili mnemonici (un fioraio ad esempio avrebbe avuto come numero 1-800-3569377, ovvero 1-800-FLOWERS).
Quindi scrivere “TVTB” di fatto richiedeva premere una volta il tasto 8, tre volte il tasto 8, una volta il tasto 8 e due volte il tasto 2, quindi “8-888-8-22”.
Vi lascio provare a scrivere “Ti voglio tanto bene”.
Prima del Parental control, il genitore medio aveva modi assurdi per controllare il tempo dei propri figli dinanzi ai videogiochi ed al telefono. In una parola: lucchetti.
Molti lucchetti.
Esisteva un lucchetto da applicare al telefono fisso di casa per evitare chiamate troppo lunghe o senza permesso, che impediva fisicamente di usare la ghiera rotante del telefono stesso, ma non impediva ad un ragazzino determinato di far scattare lo zero più volte, con ogni tot cambi di impedenza portati dagli “scatti” utilizzabili per simulare l’inserimento di un numero.
Simili lucchetti bloccavano le console da gioco più rinomate dell’epoca, come il NES di Nintendo.
Attualmente, Nintendo Switch è rimasta una delle console da gioco portatili più diffuse, seguito dal più perfomante ma meno pervasivo Steam Deck e da una pletora di console portatili alimentate da giochi retro.
Altrimenti, il mercato dei giochi per cellulari è sempre in enorme atttività.
Ma in passato, come abbiamo avuto modo di vedere, c’erano molte console portatili: il GameBoy di Nintendo, il SEGA GameGear, il WonderSwan e l’Atari Lynx, col GameBoy ad essere il più rappresentativo.
Prima del GameBoy, Gunpei Yokoi aveva creato i Game&Watch, piccole consoline a doppio schermo LCD con un singolo gioco: ce ne sarebbe dovuto essere anche uno con Tetris, ma Henk Rogers stesso si oppose, trovando il doppio schermo alquanto confusionario.
Il Game&Watch ebbe però molti epigoni per buona parte degli anni ’80 e ’90, ovvero gli “scacciapensieri”, i giochini tascabili (notissimi in Italia quelli di Gig Tiger) con un piccolo display LCD e controlli.
Altre marche note furono Tronica, produttrice di simil Game&Watch con allarme e calcolatrice incorporati, Casio e Tomy.
Prima ancora, i ragazzini annoiati potevano divertirsi con giochini portatili meccanici, come il Waterful Ring Toss di Tomy, uno scatolotto pieno di acqua con degli anelli da spostare con una pompetta d’aria sul fondo per incastrarli, con un po’ di fortuna, su alcuni ganci.
Nintendo, prima di vendere videogames ma dopo aver venduto carte da gioco, fece del resto la sua fortuna con molteplici giochi meccanici.
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