Come immaginavamo il futuro ai tempi del retro
Siamo nel 2025, ed un nuovo anno è da poco cominciato. E questo articolo va inteso come un sequel ideale dell’articolo precedente, ma anche qualcosa di completamente diverso.
La settimana scorsa vi ho chiesto di ricordarvi come facevamo assieme nel passato cose che facciamo anche adesso, per dimostrare che non siamo cambiati di molto, e siamo passati dal lucchetto al “Nintendo” al Parental Control, dalle mappe automobilistiche al GPS in macchina e dalla telecamera al cellulare.
Oggi invece vedremo come in passato sognavamo il mondo che sarebbe arrivato.
Il “Modello Night City”, dallo Sprawl a Cyberpunk
“Quando avevi tre anni, i tuoi genitori ti hanno comprato un vecchio Apple IV GS con uno schermo a parete Radius-241, e la tua vita è cambiata. In quinta elementare hai già imparato tutto ciò che il laboratorio di alfabetizzazione informatica della scuola poteva insegnarti – stavi già usando C ++ e META-LINGUA per entrare nel mainframe del distretto e cambiare i tuoi voti. Quando eri tredici anni, ti sei inviato abbastanza fondi dai conti TransAmerican Bank non protetti per permetterti il tuo primo impiannto di connessione neurale”
Questa è la descrizione del netrunner secondo le scatole gioco di Cyberpunk, tutte le edizioni, saga di giochi di ruolo di Michael Alyn Pondsmith, creata nel 1988 su ispirazione del nascente universo cyberpunk, il cui vate fu quel William Gibson padre della Trilogia dello Sprawl (Neuromante, Giù nel Cyberspazio, Monna Lisa Cyberpunk) da cui Pondsmith riprende molte iniziative.
Fa un po’ strano vedere un Apple IV GS nel mondo del futuro: Pondsmith aveva previsto col DataKrash un futuro in cui l’intera Rete sarebbe stata annientata e ricostruita dalle radici sotto il controllo delle multinazionali.
Gibson aveva previsto il Digital Divide nella sua forma più brutale, con le Zaibatsu (termine Giapponese primonovecentesco passato da indicare i grandi centri di interesse economico alle multinazionali conglomerate con diversi interessi, vedi SONY che spazia dal cinema alla tecnologia passando per l’intrattenimento) pronte a profittare della completa ignoranza in campo IT di buona parte della popolazione e, contemporaneamente, la pervasività della stessa.
Nel mondo di Gibson e Pondsmith la tecnologia è ovunque: chiunque può permettersi di farsi “cromare”, ovvero comprare protesi e impianti cibernetici annche da medici corrotti e senza licenza, ma non è necessario sapere come funzionano. Funzionano e basta.
Eravamo negl anni ’80, le carte di credito esistevano già da un pezzo, ma nel mondo di Night City potevi già fare shopping online, ma con l’equivalente delle BBS, in un bizzarra mistura di antico e moderno che aveva previsto l’impatto sociale della Rete ma talora tragicamente sbagliato quello tecnico.
Nella riduzione cinematografica di Johnny Mnemonic il “corriere” Johnny ha un impianto cerebrale da 80Gb nel cervello e grazie all’equivalente futuristico di DoubleSpace, nota utility di compressione dati “al volo” compresa con MS-DOS, portava tale capacità dapprima a 160Gb e poi a 320Gb rischiando danni cerebrali permanenti.
Oggi puoi comprare un pendrive da 512Gb per trenta euro circa o, per un prezzo simile, un disco SSD da appaiare ad un guscio esterno con adattore USB da quindici-venti euro e farci tutto il contrabbando che vuoi.
Il Cyberpunk aveva previsto la pervasività della Rete, il Digital Divide e, sorprendente per autori come Gibson che avevano ricostruito un intero mondo sulla sola fantasia, gli effetti sociali dell’alienazione tecnologica.
Aveva previsto un mondo in cui hacker e netrunners si sarebbero guadagnati da vivere rubando e monetizzando dati, ovvero insiemi di informazioni. Avevano però previsto un intero mondo così evoluto da rimpiazzarti la colonna vertebrale con una nuova in grado di renderti un superumano iperveloce ma non così tanto da far decidere a Steve Jobs e Steve Wozniak che proseguire con la linea Apple sarebbe stata una pessima idea.
Per dinamiche di gioco Pondsmith aveva anche previsto nei suoi giochi di ruolo uno status negativo: la “Cyberpsicosi”, l’effetto che si ottiene dando al proprio personaggio troppi impianti senza curarsi di accrescere la sua umanità contatto sociale per contatto sociale. Una metafora probabilmente della ludopatia che cominciava in quegli anni a colpire i primi gamer inclini alle dipendenze e dell’impatto della tecnologia accessible sul fenomeno degli hikikomori, o una semplice dinamica di gioco per non crearti un personaggio onnipotente. O entrambe.
Il mondo dei Pronipoti
Nel 1962 Hanna e Barbera fusero tutti gli stereotipi del mondo del futuro in una divertente sitcom animata per ragazzini, I Pronipoti, sequel ideale de Gli Antenati (The Jetsons e The Flintstones).
Ambientata dieci anni nel futuro, e postulando un George Jetson quarantenne come il padre tipico delle sitcom dell’epoca, oggi George Jetson avrebbe due anni, sua moglie Jane sarebbe sull’orlo della nascita e ci troveremmo nel pieno del Mondo dei Pronipoti.
Un mondo ovviamente di macchine volanti, videotelefoni ovunque e dove la tecnologia ha liberato l’uomo da ogni lavoro oneroso: George però deve ancora recarsi in ufficio a premere un singolo bottone per tre ore al giorno per tre giorni la settimana evitando di farsi licenziare dall’avido Spacely allo scopo di produrre ingranaggi di precisione per le molteplici macchine che servono l’umanità in ogni modo, dal lavare i denti al portare a spasso il cane.
Nonostante questo, George ha gli stessi problemi di ogni patriarca da sitcom: guadagnare abbastanza per le faccende di casa e per la dipendenza dallo shopping di sua moglie Judy, tenere a freno il figlio discolo ma geniale Elroy e la figlia adolescente e ribelle Jane, e racconta come da bambino (quindi nel 2030) doveva andare a scuola col suo umile jetpack evitando gli asteroidi perché la sua famiglia non poteva permettersi un’auto volante come la sua (descritta nella serie come un’utilitaria, se non un obsoleto catorcio vecchio quasi come Rosie, la governante robot di un modello sorpassato).
Anche qui, ci troviamo in un mondo di macchine volanti, turni di lavoro da tre ore, ma Jane Jetsons anche se usa computer a schede perforate per cucinare è comunque una casalinga senza patente che dipende dal marito economicamente e per gli spostamenti (quando prova a frequentare la scuola guida per le macchine volanti, fallisce tragicomicamente), George è un impiegato che si dichiara sfruttato e sottopagato da un boss tirannico e fino alla seconda serie degli anni ’80 nel “quartiere spaziale” dei Jetsons non vivono persone di colore.
Secondo lo Smithsonian Museum il “retrofuturo” dei Jetson è responsabile per buona parte delle aspettative del futuro nei ragazzini degli annni ’60 e ’80.
Nel 2017 si è provato un reboot/omaggio alla serie: ora i Jetson vivono nel loro appartamento spaziale a causa degli effetti dell’inquinamento che ha devastato la Terra, Jane è una ricercatrice per la NASA che riesce a spendere tempo coi suoi cari non perché come “ci si aspetta da lei” è una casalinga, ma in quanto ricercatrice può alternarsi tra lavoro sul campo e smart working e l’obsoleto robot Rosie è in realtà una copia digitale della madre di George stesso, che ha preferito scaricare la sua mente nel primo corpo disponibile per ingannnare la morte e continuare a vegliare sulla sua famiglia da gentile matriarca.
La stessa esistenza di George come bistrattato premibottoni viene modificata nel reboot moderno (anzi, post-moderno): George diventa un esperto manutentore, ben pagato ma con ritmi di lavoro rilassati perché nel mondo del futuro il lavoro qualificato supera il lavoro delle macchine: sostanzialmente è necessario che un George Jetson sia in grado di riparare in tempi brevi ogni macchinario rotto che incontra perché la tecnologia continui a funzionare.
Non siamo alle macchine volanti di sicuro, e neppure ai robot domestici (o quasi) o alle case spaziali. Ci chiediamo però se ChatGPT ci ruberà il lavoro e siamo prossimi allo scenario in cui ci porremo il problema di cercare un impiegato qualificatissimo in grado di gestire macchine e computer così tanto da essere pronti a pagarlo a pieno stipendio per un turno settimanale di nove ore.
Le previsioni di analisti, scrittori e vignettisti
Qui stiamo parlando però della fantascienza a più livelli, dalla fantascienza adulta a quella per ragazzini. In realtà come abbiamo visto c’era già chi era pronto ad anticipare il futuro ipotizzando evoluzioni degli oggetti del desiderio corrente.
Correva quindi l’anno 1963, non a caso pochi anni ci separano dai Pronipoti e gli esperti della ATT preannunciavano che il desiderio dell’americano medio di avere una TV e un telefono in casa come segni del lusso accessibile avrebbe portato al videotelefono sulla base del “Troveremo senz’altro un modo per usare gli strumenti assieme”
Del resto anche Orwell in 1984, del 1949, aveva previsto come strumento di controllo i “teleschermi”, ovvero televisori muniti di telecamera e in grado di comunicazione bidimensionale.
Non c’è alcuna “profezia misteriosa” o “piano dei poteri forti”: tutti coloro che non avevano in casa una TV negli anni ’40 sognavano come segno di distinzione di avere abbastanza soldi un giorno per comprarla, come sognavano di avere un telefono e combinare entrambi gli oggetti veniva naturale.
Del resto ne Il Sole Nudo di Asimov (1956) viene presentata una razza umana divisa in due: i Terrestri che vivono in Abissi di Acciaio (titolo del primo romanzo della saga, del 1954), in metropoli-alveare sotterranee a metà tra l’arcologia e una stazione ferroviaria con esercizi commerciali, ristoranti e supermercati e gli Spaziali che vivono in pianeti lontani.
I primi abituati a vivere assiepati in città sovraffollate e incapaci di tollerare lo spazio esterno in una forma di agorafobia, i secondi fortemente claustrofobici, aptofobici demofobici che riescono a tollerare di interagire col prossimo solo mediante videochiamate.
Tornanndo alla “predizione” del 1963, come abbiamo visto assieme nell’articolo dedicato, il mondo del 2000 avrebbe avuto modem dalla velocità massima utile e raggiungibile: ben 2500 baud al minuto.
Praticamente una frazione infima dell’ultimo modem analogico prodotto, il 56Kb, e ridicola rispetto alla Banda Larga, col fax come strumento di elezione per il ricco industriale pronto a ricevere la sua rassegna stampa e telefoni in macchina, con l’home banking immaginato come spedizione di assegni via fax ma con speciali “inchiostri magnetici”.
Nel 1934 l’inventore americano Ray Gross, tra l’immaginare tubetti di dentrificio senza tappo con una vite sul collo per tenere il contenuto all’interno e spazzolini elettrici per laccare le unghie delle signore ipotizzò che si potesse trasmettere le prime pagine dei giornali a tutto schermo come parte delle trasmissioni mattutine. Fu percepita come una grande idea, ma oggi ci chiederemmo cosa ha di sbagliato la Rassegna Stampa mattutina in cui un commentatore legge quei titoli e li commenta.
Insomma, sapevamo quello che volevamo, ma senza esattamente arrivare al come, problema più difficile.
Un esempio da manuale è stato un vero e proprio “tentativo di involuzione” negli anni ’60: nonostante già negli anni ’50 la casa automobilistica italiana Iso di Bresso avesse di fatto creato una delle prime utilitarie del Segmento A (le “microcar”, come le moderne Smart biposto – ora fuori produzione -, e la FIAT 500) e anticipato i quadricicli leggeri come la Citroen Ami e la sua variante del gruppo Stellantis FIAT Topolino, Franco Bandini e l’illustratore Walter Molino provarono a prevedere, errando, che nel futuro saremmo arrivati oltre il Segmento A e, per combattere gli ingorghi, avremmo usato le “Singolette”, bizzarri strumenti monoposto a metà tra il Segway e il monopattino con una cupola di vetro.
Ovviamente alla fine il Segmento A ha trionfato, e le città del futuro ora presente sono ricolme di Smart e 500 senza una Singoletta in vista, ma del resto le previsioni non devono sempre prenderci.
Ci prendono un po’, per quanto riguarda le paure.
Il “diritto alla disconnessione” ai tempi del passato
Una vignetta di The Mirror del 1919 prevedeva il telefono “portatile”, prosaicamente il caro vecchio telefono con cornetta “a candela” in grado di suonare anche col cavo mozzato e ficcato in tasca.
Ovviamente è un po’ poco per dire che avevano previsto il cellulare, ma avevano previsto lo scenario dell’omarino della vignetta variamente angosciato dal telefonino che squilla implacabile a tutte le ore, anticipando il diritto alla disconnessione, la facoltà e il diritto di potersi rendere irreperibili nelle ore in cui non si doverebbe lavorare e conservare una stilla di privacy.
La “Playstation 9” nel 2000
Nel 2000, tra la Playstation e la Playstation 2 SONY immaginò la Playstation 9: un agglomerato di nanomacchine in una sfera di plastica che inalate avrebbero portato il giocatore in mondi virtuali creati con la CG un po’ incerta delle pubblicità dell’epoca.
Oggi con la Playstation 5 e la 5 Pro combattiamo con le risoluzioni delle TV moderne e la realtà virtuale la esploriamo con appositi visori, come il PlayStation VR.
Il Retrofuturismo
Una cristalizzazione di tutto questo è nel genere artistico noto come il Retrofuturismo.
Un esempio tipico della forma base del retrofuturismo è la serie di Fallout su Amazon Prime, ispirata dall’omonima saga videoludica, ambientata in un 2296 alternativo dove lo sviluppo della civiltà umana non è mai andato oltre il transistor, eppure il genere umano è sopravvissuto ad una terza guerra mondiale armato di robot e videotelefoni costruiti con tecnologia a valvole, raggi laser, energia atomica ovunque, armature potenziate e rifugi atomici in un mondo sia fermo al 1960 che proiettato nel futuro.
Alcune branche del retrofuturismo prendono le mosse dal Cyberpunk, descrivendo il mondo del futuro come una distopia dove l’umanità stessa è assediatta dalla tecnologia. Altre, come lo Steampunk, ripartono non dagli anni ’60 e ’70, ma dai primi del ‘900 ereditando l’ottismo di chi, vedi “Il 1909” di Rita Pavone (dalla colonna sonora di Il giornalino di Gianburrasca) sognava che il Secolo Breve sarebbe stato un mondo “senza malanni e tiranni […] un secolo di civiltà” dove fonografo, elettricità e (nel caso dello Steampunk) la tecnologia del vapore avrebbero portato pace, ricchezza e felicità ai popoli.
A metà tra Steampunk e Cyberpunk c’era il Dieselpunk, basato sul diesel e sul primo dopoguerra, secondo i codificatori del genere il momento esatto in cui l’ottimismo dello Steampunk è morto lasciando posto al pessimismo.
Del resto, dopo le guerre era chiaro che, in barba al Gianburrasca di Rita Pavone, avremmo avuto malanni, tiranni e cancellato per almeno metà del secolo breve ogni vestigia di civiltà.
Il Dieselpunk getta quindi in un certo senso le basi del citato Cyberpunk ostentando come il processo tecnologico non basta, da solo, a sconfiggere la povertà e il male nel modo.
Il mondo di Fallout però si distingue dal Cyberpunk virando nell’Atompunk, il mondo del secondo dopoguerra, bloccato agli anni ’50 e ’60 della Guerra Fredda, del terrore del nemico Comunista oltre la Cortina di Ferro e dalla minaccia nucleare.
È il futuro visto in Fallout, ma anche in buona parte dei fumetti: un blocco Occidentale di macchinari fantascientifici e sempre più avanzati, dove lo scattante Iron Man, industriale in un’armatura ricolma di tecnologia combatte la rozza e brutale tecnologia della Dinamo Cremisi e di Titanium Men sue controparti sovietiche create “per distruggere”.
Trasversale è la categoria del Raygun Gothic, erede dello stile populuxe o doo-wop che dona ai mondi Cyberpunk e Atompunk l’immagine tipica di colori fluo, angoli acuti, stelle e lampade lava.
Lampade Lava (il cui nome originale fu appunto Lampada Astro) che oggi associamo senza indugio a reperti degli anni ’60, ma negli anni ’60 erano uno dei simboli del futuro alle porte.
Probabilmente non abbiamo macchine volanti nel nostro futuro, ma continuiamo a sognare un futuro in continuità con quello che abbiamo. E citando un noto viaggiatore del tempo, il Doc Brown di Ritorno al Futuro “Il futuro è come ve lo creerete. Perciò createvelo buono”.
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