Ci segnalano i nostri contatti una serie di articoli sulla sanificazione delle mascherine, nonché post virali liberamente tratti da siti di amministrazioni comunali.
Chiariamoci: solo un mese fa probabilmente vi avremmo detto di astenervi. Ma un mese fa, in periodo di Pandemia, è la distanza grossomodo tra il Mesozoico e l’età Moderna. È un tempo incredibilmente lungo, e le mascherine sono diventati un bene di cui c’è estrema penuria.
La motivazione fornita fu che
SI È IN ATTESA DELL’AVVIO DI PROVE TECNICHE SPECIFICHE PER VALUTARE L’APPLICABILITÀ E LE EVENTUALI LIMITAZIONI NEI CASI DI EMERGENZA COME QUELLO ATTUALE. QUESTO STABILIMENTO AVRA’ CURA COMUNICARE IMMEDIATAMENTE EVENTUALI NOVITA’ IN MERITO.
E per il resto potrete rivolgervi al citato articolo.
E sappiamo anche che, dal punto di vista tecnico, le mascherine servono assai più ai medici, in prima linea contro la malattia, ai soccorritori ed alle Forze dell’Ordine, costretti a sottrarsi alla sicurezza delle loro case per la sicurezza altrui, che a noi semplici utenti.
Se è fuori da ogni dubbio che un medico non può e non deve ridursi a sanificare le mascherine, l’utente domestico che le indossa solamente per andare a fare la spesa, e per trattenere starnuti e sputacchi quantomeno eviterà di “razziare” una risorsa sempre più preziosa.
Le Università di Pisa e Firenze stanno studiando ancora adesso corretti protocolli per la disinfezione delle Mascherine, ricordando che la stessa non può essere effettuata all’infinito e non può “rigenerare” una mascherina danneggiata
“Studiando la letteratura scientifica – continua De Maria – emerge chiaramente che alcuni metodi di sterilizzazione rischiano di alterare le proprietà di filtrazione e la capacità della maschera di aderire al volto, cosa che è fondamentale per la protezione degli operatori. Si stanno dunque valutando trattamenti a bassa temperatura e non aggressivi per i materiali polimerici che compongono la maschera. Ma esistono vari tipi di mascherine, fatte di materiali molto diversi, quindi è opportuno mettere a punto trattamenti che possano essere efficaci su tutte quante e non solo su alcune di esse”. Inoltre, conclude De Maria, “Non esistono, ad oggi, indicazioni dei fabbricanti per la risterilizzazione delle mascherine. La nostra sfida è coinvolgere altri esperti nel nostro team di ricerca tramite la piattaforma UBORA e sperimentare questo nuovo approccio il prima possibile, così da poter essere d’aiuto a medici e pazienti”.
Ci sono insomma più mascherine in cielo e in terra di stelle nel cielo e cose nella filosofia di Orazio, l’amico di Amleto.
Per la semplice mascherina di garza o tessuto non-tessuto da molti ritenuta necessaria per far compere, basterà seguire le istruzioni date da ANSA: spruzzare con alcol a 70% la superficie, lasciandola evaporare, maneggiando la preziosa mascherina con le mani ben pulita ed evitare di inzupparla.
Eviteremmo in assoluto di seguire tutte le catene che consigliano di “ammollare” le mascherine in misture di candeggina o comunque raccomandano forme di “inzuppamento” profondo. Proprio perché molte mascherine di “tessuto non tessuto” ed autocostruite (ad esempio quelle ottenute cucendo fogli di carta da forno tra sottili strati di tessuto), ove inzuppate e lasciate a mollo in mastelli d’acqua e detergente accelererebbero la loro degradazione.
Insomma, comprendiamo il bisogno per il cittadino comune (che non è un medico, non può essere un medico: un medico non dovrebbe ridursi al riciclo di un presidio essenziale) di mantenere le proprie mascherine il più a lungo possibile, ma raccomandiamo, in assenza di dati certi che arriveranno, di attenersi al semplice uso di una nebulizzazione con alcol e giammai per operazioni in cui si prevede il contatto con malati o situazioni critiche.
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