Dopo Lamù, sostiamo nel retro televisivo un altro po’, per parlarvi di un “vero falso mito”: tutti sapete la storia dei Power Rangers, ottenuti assemblando spezzoni di una serie televisiva giapponese con del girato Americano e continuando tale tradizione per decenni, almeno fino a quest’anno dove tutto finirà in un reboot.
Era l’ormai lontano 1993: per capirci, il Commodore 64 avrebbe cessato per sempre di essere venduto un anno dopo con Commodore finita in fallimento, Enrico Ruggeri vince Sanremo con Mistero, Carlo Azeglio Ciampi, diventa il primo Presidente del Consiglio non parlamentare della storia della Repubblica Italiana, il SEGA Mega Drive si approssima alla fine del suo ciclo vitale, pronto ad essere sostituito nel 1994 dal meno noto Saturn, Game Gear e GameBoy Color si condividono un derby delle console portatili e il primo episodio dei Mighty Morphin’ Power Rangers viene trasmesso in America.
Ma la storia comincia da lontano. Da molto lontano, e dalla Marvel del Sorridente Stan Lee, santo patrono dei Geek che ci guarda da lassù col sorriso buono di chi per tutta la vita ha ramazzato palanche di danaro con le intuizioni più nerd.
Ma come tutte le grandi invenzioni, il genere ha più genitori. Un lato della storia è indubbiamente Giapponese, ed è il genere Tokusatsu, “fotografia speciale”. L’altro lato, Sentai, vede lo zampino di Stan Lee.
Come abbiamo visto tutti assieme, il teatro Giapponese ha sempre avuto una immensa passione per l’effetto speciale.
L’immagine stessa dei ninja deriva non da reperti storici, ma dell’effetto speciale più primordiale della storia del teatro: truccare un attore da “roadie” o attrezzista, vestito di nero per confondersi con lo sfondo e farlo saltare fuori in scena urlando il suo grido di battaglia mentre salta dalle quinte alla scena madre simulando il ninja che compare di sopresa facendo la sua mossa.
Negli anni della Seconda Guerra Mondiale simili tecniche furono fuse col modellismo: non avevi bisogno di filmare una scena di guerra in un set costoso, bastava creare un modello realistico di una città distrutta e lasciare che la telecamera facesse il suo lavoro.
Finita la guerra, Eiji Tsuburaya, riconosciuto come “padre del genere”, si ritrovò improvvisamente tagliato fuori dai film di guerra, blacklistato di fatto e costretto a reinventarsi.
Esaminando film di fantascienza come King Kong e i Mostri della Universal Tsuburaya arrivò alla conclusione che si poteva “tornare all’antico” e usare tutta la magia del teatro per creare storie di mostri e di eroi.
Nel 1954 Tsuburaya e il direttore Ishirō Honda ebbero l’idea di piazzare un attore dentro un costume di gomma a forma di grosso lucertolone e mandarlo a calpestare una miniatura di Tokyo, imbastendo la storia di un mostrone grosso e cattivo pronto a devastare Tokyo, che poteva essere fermato solo da valorosi eroi (mostro che, nei capitoli successivi della saga, si sarebbe in qualche modo rabbonito decidendo di aiutare gli eroi contro mostri ancora più grossi, cattivi, inca**ati e fatti di gommaccia ancora più costosa).
Avrete capito che era nato Godzilla, il mostro più celebre della storia moderna.
Ovviamente, rotto l’argine coi mostri, e ricordando l’amore dei Giapponesi per gli eroi leggendari, era arrivato il momento di portare alla luce con le stesse tecniche un eroe più umano.
Non bastava Godzilla contro i mostri, ora ci volevano eroi umani pronti a menarsi coi Kaiju, ovvero orridi pupazzoni di gomma pronti a menarsi gioioisamente con attori vestiti con maschere colorate e tutine aderenti per la gioia di grandi e piccini.
Nel 1957 appare Super Giant, storia di un bizzarro supereroe in una tutina aderente (sin troppo…) con le antennine mandato da una razza di alieni benevoli per menarsi contro i mostri grossi e cattivi, seguito nel 1966 dai più famigerati Ulltra Q e Ultraman, basati sul canovaccio ormai collaudato e ispirati dal primo supereroe “ufficiale” del Giappone (Ogon Bat, in italiano Fantaman).
Quello cioè dei mostri enormi che arrivano sulla Terra, dove trovano ad attenderli un eroico essere umano (o umanoide) in grado di diventare enorme a sua volta per combatterlo.
Se però possono combattere i “Gargantua” (uno dei tentativi falliti di tradurre il concetto di kaiju in una parola occidentale) possono combattere anche i normali esseri umani: il Giappone ispirandosi ai supereroi americani tira fuori Gekko Kamen, ovvero Maschera di Luna, un eroe-motociclista, segretamente un detective timido e imbelle, che vaga con la sua moto rombante e la sua maschera bianca alla ricerca di mostri da pestare.
Cosa che farà senza sosta dal 1958 al 1959, quando un ragazzino tra i tanti che si riunivano nelle case dei bambini più ricchi per guardare lo show in una delle prime TV in bianco e nero diffuse nelle case giapponesi decise di buttarsi giù da una veranda imitando le avventure del suo idolo di bianco vestito.
Gli sponsor tirarono la spina e lo show finì, venendo sostituito da una pletora di eroi in costume più attenti a fare cose che i ragazzini non potessero imitare, come gli improbabili Seven Color Mask e Messenger of Allah di Sonny Chiba, nonché da una parodia del 1974 di Go Nagai, famoso per Mazinger Z, in cui anziché il motociclista di bianco vestito l’eroina era Kekko Kamen (“Maschera Libidinosa”), eroina mascherata nota per combattere ignuda (tranne per maschera, guanti e stivali) una serie di improbabili pervertiti pronti a insidiare le grazie di un gruppo di procaci studentesse liceali saltando loro letteralmente addosso per soffocarli tra le cosce.
La cosa, credetemi, non deve avere senso, solo farne.
I tempi erano maturi ormai perché arrivasse sulla scena Shotaro Ishinomori, responsabile per un genere di Tokusatsu più adulto (adolescenziale quantomeno e non infantile) e moderno, la saga di Kamen Rider (1971), che mescola temi horror a tempi supereroistici, mentre altre emittenti giocavano con la struttura standard del genere, dandoci nel 1972 Ultralion (Kaiketsu Raion maru), storia apparsa anche sulle emittenti locali Italiane di un samurai in grado di “trasformarsi” in se stesso con un capoccione da leone di pezza incollato in faccia per combattere mostracci in costume.
Nell’universo di Ishinomori, lo stesso di Cyborg 007 per capirci, un gruppo di NeoNazisti, la società segreta SHOCKER rapisce alcuni uomini, paradigma di perfezione fisica, per trasformarli in grotteschi mutanti in grado di dominare il mondo con la loro superiorità fisica, distinguendosi dunque dalla concorrenza per introdurre nel genere tematiche horror, pulp e fantascientifiche assieme.
Uno di loro, lo studente universitario Takeshi Hongo (i cui attore più tardi interpreterà la folle mascotte SEGA Segata Sanshiro) riesce a fuggire a metà della trasformazione: conserva così la sua coscienza umana e buona parte del suo aspetto umanoide, ma acquisisce la capacità di trasformarsi (henshin), elemento che vedremo tornare nel futuro in un ibrido tra un essere umano e una cavalletta (ha più senso se lo guardate, davvero) per combattere i kaijin (“strani mostri/strane persone”), ovvero i mutanti “completi” creati da SHOCKER e diventati mostri assetati di sangue, nazismo e desiderio di dominio.
Kamen Rider introduce alcune delle convenzioni del genere, tra cui la henshin, ovvero la “trasformazione” con scene stock, riciclate di puntata in puntata, in cui l’eroe umano grazie ad un congegno tecnologico o magico si trasforma nella sua forma “superiore”.
La serie ebbe un successo esplosivo tra gli adolescenti e i ragazzini attratti dal miscuglio di pulp e supereroi, ma aveva un enorme problema: potevi vendere solo un numero limitato di fantoccini dello stesso eroe.
L’emittente Toei cercò di correggere il tiro facendo di necessità virtù: un incidente sul set in cui l’attore principale si fracassò una gamba spinse a creare un Secondo Kamen Rider, questa volta un fotografo rapito da SHOCKER per sostituire Hongo e diventato suo amico e più avanti (quando anche Kamen Rider divenne un franchise) introdurne un terzo e un quarto, quest’ultimo, Riderman, mutilato di un braccio in modo da poter vendere fantoccini con diverse braccia artificiali con vari gimmick da appiccicare.
La via era tracciata: se potevi vendere due fantoccini, con la giusta motivazione ne potevi vendere tre, quattro e pure cinque se ti girava.
Ishinomori fu chiamato all’opera e nel 1975 tirò fuori il meno cupo e più colorato Himitsu Sentai Gorenger: il primo Sentai (“squadrone combattente”) della storia, dove Himitsu sta per segreto.
Nel nuovo canovaccio, ispirato al fatto che in America già erano nati fumetti compilation coi diversi eroi della casa (Justice League, Avengers, Justice Society…), un esercito di mostracci chiamato Black Cross Army decide di invadere il Giappone, fermato da una società di eroi chiamata EAGLE (EArth Guild LEague, “Società per difendere la Terra”).
Convenientemente entro la prima puntata la BCA riesce ad ammazzare tutti i membri di EAGLE (complimenti…) tranne cinque che decidono di combatterli indossando tutine aderenti (e nel caso dell’unica donna nel team, rosa e con la gonnellina sopra i pantaloni aderenti…), coloratissime e con elmetti veramente goffi e contro i quali EAGLE manda un mostro alla volta.
Un singolo mostro la settimana. Praticamente c’erano già tutti gli elementi più goffi dei Power Rangers, ma ancora mancava qualcosa.
Ishinomori ci riprovò un paio di anni dopo con JAKQ (1977), provando nuovamente ad allineare il target al pubblico adolescenziale dei Kamen Rider (serie che ancora continuava), introducendo il tema per cui ogni Sentai vede le trasformazioni dei personaggi ispirate ad un tema: in questo caso il Poker.
La storia virò con un nuovo cast (ma esistente nello stesso universo narrativo del precedente, nonché delle serie dei Kamen Rider, solo in un altro luogo, dando origine ad una convenzione del genere Sentai/Super Sentai) verso atmosfere pulp, con un sindacato criminale (“Crime”) da combattere grazie ad una società segreta di poliziotti chiamata ISSIS (forse oggi sarebbe meglio cambiare nome…) che, come una versione “benevola” di SHOCKER recluta quattro paradigmi di umanità resi invalidi o pariah sociali da vari incidenti per trasformarli in cyborg anticrimine con tutine colorate: l’atleta olimpico Goro Sakurai (l’unico senza problemi di salute o reputazione, arrivato lì giusto per sedurre l’immancabile e unica Ranger donna…), il peso Welter Ryu Higashi accusato di omicidio e squalificato da tutte le competizioni pugilistiche per aver osato rifiutarsi di vendere degli incontri, la donna poliziotto ferita in missione e rimasta menomata di un braccio e qualche organo Karen Mizuki (che in cambio dei suoi servigi ha ricevuto arti funzionanti nuovi di pacca e le attenzioni sentimentali di Goro…) e l’oceanografo clinicamente morto Bunta Daichi resuscitato come cyborg per l’apposito scopo di unirsi allo Squadrone.
La serie introdusse un secondo topos tipico della serie: il “Sesto Ranger” (in questo caso il quinto, dato che si partiva da quattro), un tizio apparso a metà serie con poteri maggiori di tutti gli altri per sollevare Goro dall suo ruolo di leader.
La serie fu un fiasco e probabilmente la storia sarebbe finita qui, se non fosse stato per Stan Lee.
Siamo arrivati così al secondo padre del genere, Stan Lee della Marvel Comics.
Stan Lee aveva un approccio al fumetto basato sostanzialmente sul fatto che lui doveva mandare avanti una azienda.
Qualsiasi cosa avvesse quindi fatto profittare le creazioni della Casa delle Idee era una idea bene accetta.
Nel 1978 Gene Palc, editore di Marvel, viene mandato in Giappone per onorare un accordo tra Toei e Marvel che avrebbbe consentito alle due case editrici di scambiarsi proprietà intellettuali.
Toei aveva già in mente un improbabile canovaccio in cui Peter Parker, l’Amichevole Uomo Ragno avrebbe dovuto viaggiare per il giappone con Yamato Takeru, dodicesimo mitico Imperatore del Giappone, arrivato direttamente dall’anno 100 dopo Cristo per vivere un’avventura a suon di ragnatele, mostri e mazzate.
La Marvel pose un veto all’idea, salvando di fatto un intero genere.
Propose invece una riscrittura del mito di Spider-Man dove il giovane motociclista Takuya Yamashiro si imbatte in un UFO chiamato Marveller (da “Marvel”, appunto) con un alieno moribondo del pianeta Spider che gli consegna un bracciale che gli consentirà di diventare Spider-Man (Supaidaaman, pronunciato alla Giapponese) e trasformare il Marveller nel super robot Leopardon (la cosa non deve avere senso…) col quale potrà menarsi con diversi mostri meccanici alieni e ostili agli ordini del Professor Monster e della Iron Cross Army, alieni cattivi responsabili peraltro della morte del padre di Takuya.
Questa volta la serie ebbe molto più successo, anche se il superrobot Leopardon ridusse le sue apparizioni perché a metà serie ignoti decisero di fregarsi il costume necessario e la produzione non poteva permettersi di commissionare un ricambio.
Il (relativo) successo della serie spinse Toei a introdurre Marvel nella creazione del Sentai, facendo nascere i Super Sentai.
Un iniziale canovaccio proposto da Marvel propose una serie in cui Capitan Japan , un supereroe ovviamente ispirato all’eroe Marvel Capitan America avrebbe dovuto formare uno squadrone combattente con i “Capitani” di diversi paesi del mondo (il tema sarebbe diventato dunque “I supereroi”), diventando un seguito diretto di Supaaidaman (con lo Spider-Man Giapponese che passa la scena a Capitan Giappone).
Questa volta fu Toei a richiedere qualche cambio e, dagli e dagli, Toei e Marvel stabilirono il format che ora conosciamo.
Nel nuovo canovaccio un Generale Giapponese invia quattro giovani promettenti in quattro nazioni del mondo per imparare tecniche di combattimento, al ritorno facendogli trovare l’ormai immancabile e personaggio a gettone Ranger Rosa, una piacente agente dell’FBI, sciovinisticamente priva del brutale addestramento delle sue controparti.
Cassato l’uso della parola Captain, i cinque eroi vengono così chiamati Battle Japan, Battle Cossack, Battle France, Battle Kenya e Miss America (mai una gioia, insomma…), dove, ovviamente, “Cossack” suona più figo che Russia (e c’era una Guerra Fredda in mezzo) e siccome fino al momento del suo furto Leopardon aveva avuto successo, i Battle Fever vengono muniti del Battle Fever Robot, primo robot della storia dei Rangers affine al concetto occidentale di Megazord.
Perché Battle Fever J?
Perché la Disco Dance aveva reso la parola Fever una parola trendy e che suonava bene. La combinazione di supereroi occidentali, robottoni (o meglio un povero disgraziato che soffocava lentamente nella gommapiuma fossilizzata), engrish (Inglese “giapponesizzato”) buttato a ca**o e la povera Miss America con la parrucca incollata sull’elmo e una tutina aderente vista adenoidi salvarono l’intero genere dal disastro ferroviario che era stato JAKQ.
A onor del vero, i bozzetti originali mostrano che i Battle Fever avrebbero dovuto avere un aspetto più tradizionale, ispirato allo stile superoeroistico di John Byrne, all’epoca disegnatore su X-Men e Fantastic Four, ma Toei volle mantenere lo stile “Spandex ed elmetti”, concedendo giusto dei menti scolpiti con finte labbra.
Marvel continuò a mantenere lo status legale di coautore e mantenere diritti di copyright sulle due serie successive Denziman e Sun Vulcan, queste ultime responsabili per popolarizzare un’attrice che in Battle Fever J aveva interpretato il “terzo mostro della settimana” facendone la “Regina Hedrian”, leader dei cattivi: Machiko Soga, la futura Rita Repulsa (mediante la sua interpretazione ridoppiata della Strega Bandora, come vedremo).
Marvel poi sparì dall’orizzonte, lasciando Toei da sola.
Tra i motivi, il fatto che Supaidaaman aveva avuto abbastanza successo per salvare il franchise ma non tanto quanto desiderato da Marvel.
A questo punto come già visto Marvel era lì solamente per prendersi i diritti di autore ma oltre i citati bozzetti dei Battle Fever non diede più alcun input per Denziman e Sun Vulcan.
Stan Lee propose di far adattare da Marvel Sun Vulcan per distribuirlo in Occidente: l’iniziativa fallì in modo clamoroso e Margaret Loesch, a capo della divisione TV di Marvel, stroncò l’idea del Sorridente.
Senza reciproci interessi Toei e Marvel si separarono per sempre, o quantomeno per diversi decenni.
Vi abbiamo parlato ai tempi di Lamù del tentacolare impero di Haim Saban e Shuki Levy, israeliani naturalizzati Americani, produttore televisivo l’uno e musicale l’altro, responsabili di diverse sigle televisive per cartoni animati (la citata Lamù, Goldrake, He-Man…) e qualche serie in proprio, ovvero Kidd Video.
Saban voleva creare una serie “di peso”, ed ebbe la stessa idea di Stan Lee, solo diversi anni dopo.
Durante un viaggio in Giappone a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 Haim Saban si imbattè in Choudenshi Bioman (1984), ottava serie del Franchise, che ormai alquanto stancamente proseguiva sul rassicurante filone introdotto da Marvel, con l’unica differenza, ispirata da serie come General Daimos (1978) di introdurre non una, ma due ranger donna allo scopo di creare sottotrame sentimentali e creare storie di amore nel quintetto consentendo di avere almeno due coppiette pronte.
Saban ebbe un’idea che gli sembrò del tutto originale: usare solo gli spezzoni della serie coi robottoni, i personaggi in costume e i mostri e collegarli a scene girate con attori adolescenti tipici delle serie “tanto a un chilo” americane.
Assemblò di fretta e furia un pilot chiamato I Bio-Men, con la storia di cinque ragazzi con dei “particolari bioritmi” che li avrebbero resi eroi e cominciò a presentarla in varie emittenti locali.
Si imbatté in una certa Margaret Loesch, ora dirigente della FOX, che ebbe un tragicomico flashback di quando aveva stroncato brutalmente la stessa idea avuta dal suo allora capo Stan Lee.
Per un imperscrutabile gioco del destino, questa volta decise che avrebbe stroncato il pilot ma non l’idea: eravamo già nel 1992, e Bioman era vecchio di otto anni.
L’idea fu quindi accettata con nuove condizioni.
Nel 1992 FOX, Saban e Toei strinsero dunque un accordo che comprendeva il produttore di videogames, action figure e dei Gunpla (action figure dedicate alla serie Gundam, note perché vendute in kit di montaggio da assemblare in casa) Bandai per acquistare invece la sedicesima serie del franchise, Kyōryū Sentai Zyuranger.
Serie più moderna nelle tematiche, la prima del franchise ad usare i dinosauri (da sempre amati dai ragazzini) e dove tutti gli elementi già visti (sesto ranger, robottone, personaggio femminile “al rimorchio”….) erano già arrivati al pieno sviluppo.
Saban decise di massacrare allegramente la trama per abbassarne il rating.
In originale gli Zyuranger erano un gruppo di principi (e una principessa) di una antica civiltà che coesisteva coi dinosauri, estinta quando la Strega Bandora, un tempo una strega buona e generosa, era impazzita dal dolore per aver perso un figlio ucciso dai suddetti rettili (!!!), per la precisione gettato da una rupe da un Tirannosauro a cui aveva rotto le uova (!!!!) ed aveva deciso nell’ordine di compiere una serie di scelte di vita alquanto discutibili come vendere l’anima al Diavolo (!!), scatenare l’Era Glaciale e una pioggia di meteoriti ed estinguere i dinosauri.
Cinque “Divinità Guardiane di tutti i dinosauri”, inesplicabilmente dall’aspetto di poderosi robot, avevano quindi deciso di esiliare Bandora su un pianeta lontano ed ibernare cinque principi (a dire il vero sei, ma col sesto le cose erano andate male…) in attesa di tempi migliori.
Ai giorni nostri Bandora torna sulla Terra per conquistarla, il “Saggio Barza”, segretamente un capodomino Giapponese (!!!) risveglia i quattro principi e la principessa rendendoli gli Zyuranger.
Si unirà a loro un sesto principe, fratello dello Zyuranger rosso, morto durante l’ibernazione e riportato in vita per poco tempo (il tempo scandito da una candela magica) da Bandora per combattere gli altri. Lo Zyuranger verde si pentirà e scoprirà una grotta dove riposare per fermare lo sciogliersi della candela magica e usare la poca vita rimasta per soccorrere il fratello fino alla vittoria finale.
Saban riuscì da tutto questo a tirare un nuovo materiale dove Zordon di Eltar, alieno buono e saggio, in passato aveva sconfitto la Strega aliena Rita Repulsa, dominatrice galattica incline a provare forti mal di testa quando le cose si mettono male, imprigionandola in un cassonetto spaziale cosmico depositato sulla Luna.
Quando un gruppo di astronauti, incuriositi dalla presenza di un cassonetto sulla Luna e ispirati da quello che tutti i personaggi dei film di fantascienza occidentali fanno decidono di aprirlo, Rita salta fuori coi suoi amici alieni dall’immondizia riprendendo la dominazione del mondo dal cassonetto dove l’aveva lasciata.
Il responsabile Zordon, il cui pianeta pare non abbia leggi sul lavoro minorile, chiede quindi al robot vagamente rappettaro Alpha 5 (perché degli anni ’90 non si butta mai niente) di reperire five teenagers with attitude (in italiano cinque esseri umani autoritari ed emotivi [… ] degli adolescenti), perché su Eltar ovviamente non esistono leggi sul lavoro minorile.
Scherzo: ovviamente Saban, come la Toei prima di lui, stava cercando di irretire un pubblico adolescente, ma mentre i Giapponesi coi Super Sentai lo facevano con storie a loro adatte basate sui racconti di miti e leggende da sempre portati in cinema, teatri e letteraturua, Haim Saban si è basato sul meccanismo più semplice, l’immedesimazione. Citando la sigla italiana, presentando dei “Ragazzi come noi / in gamba come noi” avrebbe fatto in modo che i ragazzini si immedesimassero nei giovani protagonisti (o meglio, attori che interpretavano ragazzini molto più giovani).
Altrettanto ovviamente, mentre i Zyuranger nipponici erano orgogliosi di essere richiamati in vita dal Capocondomino Barza per combattere il male, i cinque esseri umani autoritari ed emotivi reagiscono esattamente come ci si aspetta reagirebbero un campione di arti marziali, un nerd, un ballerino di hip hop, una ragazzina vanitosa ed una ragazza studiosa: il quintetto decide di mandare a**ancu*o Zordon e davanti alla prospettiva di andare a menarsi con dei mostri alieni aggratis se ne vanno ignari della promessa di ottenere “la forza delle creature più potenti della terra: i dinosauri” e ben cinque robot fatti a mano da Zordon in persona nei suoi passati giorni da guerriero galattico.
Altrettanto ovviamente per le strutture narrative occidentali, il quintetto cambia immediatamente idea nel momento che un branco di mostriciattoli in costume ottenuti tagliando scene giapponesi con scene intercalate con stuntmen sottopagati cominciano a importunarli così, a sfregio, accettando di metamorfosarsi nei Mighty Morphin’ Power Rangers, saltare a bordo degli Zord e imparare ad accendere lo stereo e collegarli per formare il Megazord.
Le sole scene coi pupazzoni e coi robottoni furono riciclati: il resto delle puntate divenne un canovaccio adolescenziale con bulli stupidi e buffi, figure adulte ragionevolmente imbelli, arti marziali, buoni sentimenti e lezioni di morale.
Nasce così la struttra standard che durerà per trent’anni.
Un inizio, in cui i cinque (a metà serie sei) adolescenti affrontano problemi tipici dell’adolescenza, tra bulletti buffi e sconclusionati, compiti da fare, amici in difficoltà e lavoretti part-time mentre la malefica Rita Repulsa commissiona alla sua masnada di mostri un mostrone cattivo da mandare sulla Terra a opprimere gli esseri umani (rigorosamente liceali di Angel Grove, possibilmente vicino al bar dove i Power Rangers bevono salutari spremute di frutta perché mai sia fargli fare troppa strada o fargli fare tardi i giorni di studio), i Power Rangers nascondendo la loro identità si metamorfosano (citazione testuale) e vanno in battaglia, Rita Repulsa lancia un incantesimo per far diventare il mostro enorme, i Power Rangers chiamano il Megazord e vincono.
Il canovaccio viene persino santificato espressamente e un po’ puerilmente nella trama: perché i Rangers non chiamano il Megazord nei primi due minuti di ogni episodio? Zordon non vuole le escalation (termine ironicamente moderno) e obbliga i Rangers sia al segreto sulle loro identità che all’altruismo, nonché concede l’uso degli Zord solo quando il mostro diventa di dimensioni tali da non poter essere gestito a mani nude.
Ma per una intera generazione fu un successo assoluto.
Presto però cominciarono i problemi.
L’attore che interpretava il Blue Ranger, il secchione del team, lasciò dopo diverse stagioni adducendo di essere fortemente discriminato in quanto omosessuale, e al resto del cast non andò meglio.
La serie cominciò ad avere successo, ma gli attori continuarono ad essere pagati con stipendi da cottimanti al McDonald’s, salvo quando Saban decideva di mandare i personaggi a studiare all’estero, formula che consentiva di rimpiazzare attori sottopagati con attori sottopagati.
La scelta di usare materiale giapponese variamente incollato a scene girate ebbe effetti risibili per una serie attuali: solo Kimberly, la Pink Ranger, aveva una controparte femminile e quindi era autorizzata a indossare il gonnellino di ordinanza.
Trini, la Yellow Ranger, nel materiale originale era un personaggio diverso, un ragazzo, il “buffone del team” e decisamente superdotato (o quantomeno, il suo stuntman lo era): nelle scene di combattimento, Trini diventava più alta di una spanna e con un “bozzo” sospetto ad altezza inguinale.
Ma nessuno ci faceva caso, e nessun ragazzino conosceva i retroscena.
L’arrivo in scena del Green Ranger migliorò e peggiorò le cose: allo scopo di evitare il fratello moribondo del protagonista, la storia inserì l’ormai celebre Tommy Oliver, personaggio, come Lamù e Fonzie, destinato a rubare la scena a tutti.
Dimenticatevi la trama del fratello moribondo: Rita Repulsa, nel materiale americano, semplicemente raccatta un campione di arti marziali rivale del Red Ranger, Jason e gli fa il lavaggio del cervello per renderlo malvagio, ma grazie al potere dell’amicizia (e dopo che Tommy da solo ha quasi sconfitto tutti e cinque gli scappati di casa per poi essere amichevolmente massacrato da Jason da solo) si libera dell’incantesimo e decide di tornare buono.
I giovani telespettatori americani a questo punto vengono allegramente presi per il sedere: se Burai, il Green Ranger giapponese, arrivava in ritardo ad ogni scontro perché doveva razionare il tempo rimasto sulla Terra, Tommy semplicemente spende buona parte delle sue apparizioni ad arrivare in ritardo in quanto procrastinatore cronico e persona assai distratta (cosa che impatta negativamente il tuo curriculum se hai un pianeta da salvare) per poi correggere il tiro e ripristinare la candela incantata, questa volta parte di un rito voodoo di Rita Repulsa per “riprendersi” un po’ per volta i poteri elargiti.
La cosa ha un doppio scopo: vi abbiamo spiegato che ogni anno o due le serie Super Sentai giapponesi finiscono e nello stesso universo narrativo una nuova squadra combattente si attiva.
Il che significa che dopo due anni di episodi dei Mighty Morphin’ Power Rangers Saban aveva finito il materiale e non aveva nessuna voglia di girarne in proprio, distruggendo i margini di profitto.
Saban risolse il problema subappaltando a Toei nuove scene.
Il cosiddetto pacchetto Zyu2, apparso piuttosto tardi nella serie, risolve diversi errori tra quelli presenti. Il Green Ranger non è più un procrastinatore cronico o un defunto, il Blue Ranger esibisce congegni fantascientifici degni della sua qualifica americana di nerd ufficiale, lo Yellow Ranger non ha più il “pacco” in bella mostra e quando si teletrasporta lo fa chiudendo le cosce e Machiko Soga recita alcune scene col labiale pronto per essere ridoppiata in Inglese.
Ma anche così, ad un certo punto Toei dovette staccare la spina per dedicarsi alla serie successiva, i Dairanger.
Saban risolse il problema mischiando le scene rimaste del pacchetto Zyu2 con scene dei Dairanger, tirando fuori la trama amata da grandi e piccini di Tommy Oliver che, per risolvere il problema di Rita Repulsa che gli succhia il potere, riceve da Zordon il potere del White Ranger (in realtà un personaggio di una serie diversa) e tutti i MMPR ricevono nuovi Zord ottenuti dai rottami dei loro Zord ormai sconfitti ricondizionati e aggiornati alle nuove tecnologie (in realtà i robot dei Dairenger), in modo da poter continuare la serie.
Un successivo adattamento risolverà anche il problema della fine del pacchetto Zyu2 introducendo una trama in cui Rita Repulsa unisce le forze con lo stregone creato da Saban Lord Zedd (e cambiando attrice perché ora Saban poteva permettersi il rischio economico, giustificando la cosa con un “rito magico” che la strega aveva fatto per diventare più piacente agli occhi di Lord Zedd e convincerlo a diventarne compagno e alleato anziché rivale), riesce a distruggere la fonte di potere dei Mighty Morphin’ Power Rangers e gli stessi, con l’aiuto delle loro controparti aliene del pianeta Aquitar chiamate da Zordon (scene di lotta tratte dalla 18ma serie Super Sentai, i Kakurangers) scoprono una nuova fonte di energia, i Cristalli di Zeo, diventando i Power Rangers Zeo (scene tratte da Ohrangers, la 19ma serie).
Saban introdusse così una nuova convenzione del genere: un “finale apocalittico” in cui dopo una serie in cui i Ranger trionfano sul male, un nuovo cattivone ancora più forte dei precedenti distrugge la fonte di potere dei Rangers, costringendo Zordon a cercarne una nuova e ancora migliore (basata sul bisogno di usare le scene della serie Sentai successiva) che tornano nel gran finale aprendo così l’inizio della serie successiva.
La “nuova” formula consente di sbarazzarsi degli attori divenuti ormai scomodi: alcuni vengono spediti a studiare all’estero, il citato David Yost vede il suo personaggio mandato in un altro pianeta a curarsi da una malatta cosmica in modo da non poter rivendicare un trattamento personale ed economico migliore.
Un ulteriore finale riadattamento al materiale originale arriva col finale di Power Rangers in Space (basato su scene di Denji Sentai Megaranger, la 21ma serie Sentai). Laddove nel materiale giapponese i Megaranger erano eroi del mondo virtuale dei videogiochi e della CG (concetti nel 1997 innovativi), nella versione americana erano un gruppo composto dai precedenti Turbo Rangers (formazione composta dagli “avanzi” dei precedenti Mighty Morphin’ e Zeo) guidati dal principe alieno Andros che, per salvare il mondo da un’unione di criminali delle serie passate, sfascia il tubo che tiene in vita Zordon consentendo così a Saban di introdurre il tema di diverse squadre combattenti create in diversi posti dell’America (e in un paio di casi, dello spazio cosmico) che si avvicendano di anno in anno connessi al Campo morfico, la mistica fonte di energia retconnata come studiata dal compianto Zordon che contiene il potere di trasformarsi, le esperienze e le memorie di tutti i vari combattenti riuniti dagli angoli di casa di Saban, più un paio di alieni.
La formula dell’episodio viene ulteriormente retconnata: i Rangers possono ora essere giovani reclute della polizia galattica (Power Rangers SPD), giovani reclute di un’organizzazione tipo Starship Troopers (Power Rangers Lost Galaxy), operatori del primo soccorso (Power Rangers Lightspeed Rescue), e a questo punto l’obbligo di segretezza viene a decadere, ma resta il divieto di escalation, se non altro perché coi Rangers diventati impiegati pubblici i loro datori di lavoro non potrebbero permettersi la temuta escalation.
Saban potè quindi continuare a sputare fuori una serie diversa ogni due anni, seguendo la falsariga dei Giapponesi di Toei. Questo finché nel 2001 Disney decise di comprare Fox Family Worldwide nel 2001, acquisendo i diritti sul franchise dei Power Rangers, aggiungendo Marvel Entertainment, LLC nel 2009.
La storia dei Power Rangers aveva fatto cerchio: Disney portò la produzione delle scene “occidentali” in Nuova Zelanda, la piccola Hollywood del fantasy “alla stracciona”, vedasi Hercules e Xena, e dal 2003 al 2009 tirò fuori sette serie, mantenendo però intatta la lore e le ambientazioni, sfruttando all’osso personaggi legacy e ambientazioni.
Lo svogliato e volto della saga Tommy Oliver viene riesumato in Power Rangers Dino Thunder del 2004 nel ruolo di un geniale paleontologo (gettando qualche dubbio su come uno studente svogliato e procrastinatore sia diventato un famoso accademico) leader di una squadra di ragazzini con la metà dei suoi anni e pronto a inguainarsi nel loro stesso spandex (preso dalla serie Toei Abaranger), mentre in Mystic Force del 2006, basato sulla serie fantasy Magiranger l’ultima apparizione di Machiko Soga prima della morte viene retconnata in una ormai pentita e buona Rita Repulsa che come ultimo atto nella saga torna per incitare la generazione attuale di Rangers (cinque adolescenti che scoprono il mondo della magia, raggiunti dai genitori stregoni del loro leader e altri pupazzoni di gomma variamente incantati…) a perseguire il Bene e la Generosità.
Nel 2010 Saban decide di rivolere la gallina dalle uova d’oro e ricompra la saga da Disney, lasciando quindi Marvel e Toei nello stesso posto per un solo anno.
Stan Lee non resterà con le mani in mano: nel 2010 tirerà fuori Heroman, tokusatsu col soggetto creato da lui stesso e creato con lo Studio Bones Giapponese, avventure di un ragazzino al comando di un robot giocattolo in grado di diventare un robot a grandezza umana, senziente e obbediente al suo volere.
Anche Saban non perderà tempo: sposterà tutto da FOX a Nickelodeon e comincia una nuova convenzione: da ogni serie Super Sentai ne farà due, ovvero trasformando la seconda parte in una serie a parte col prefisso “super”.
Farà eccezione con “Megaforce/Super Megaforce”, basate rispettivamente sulla 34ma e la 35ma serie Sentai, quest’ultima celebrativa del 35mo anniversario del franchise (Gokaiger) con come protagonisti un gruppo di pirati spaziali col potere di avere tutti i poteri dei 34 squadroni sentai rimasti.
Saban prende la palla al balzo per inventarsi una “celebrazione del ventennale” in cui coloro che hanno i poteri di tutti i Power Rangers passati, più alcuni poteri “mai visti su questa Terra” (giustificazione per le serie precedenti a Zyuranger: nella mitologia di Saban ogni squadrone dai Gorenger in poi è esistito anche nell’universo narrativo americano, ma “su altri pianeti”) sono altri cinque esseri umani autoritari ed emotivi, residenti nella stessa città immaginaria (Angel Groove) dei Mighty Morphin’ alla loro età (cui si unirà un adolescente alieno, inversione rispetto alla storia originale dove i cinque pirati spaziali buoni raccattavano un terrestre fan dei Super Sentai per farne il loro mozzo spaziale/sesto ranger) a cui un allievo segreto di Zordon (intepretato da un capoccione di plastica…) conferisce temporaneamente i poteri di tutti gli altri per sconfiggere una Armada di conquistatori alieni
La serie diventa una colossale operazione nostalgia, col finale rigirato due volte per introdurre il maggior numero di guest star possibili, ormai del tutto fuoriquota come adolescenti autoritari ed emotivi richiamati dal’ospizio apposta per un inchino ai millennial.
Saban chiuderà anche Saban Capital Group, inc. nel 2018, vendendo il marchio dei Power Rangers ai produttori di giocattoli Hasbro, ricavandosi però un ruolo fisso di consulenza e direzione artistica, trasformando la proprietà intellettuale nel suo personale piano pensionistico: finché Toei tirerà fuori i Super Sentai, Saban potrà continuare ad avere un costante flusso di cassa derivato da Hasbro pronta a vendere versioni americane dei fantoccini Toei/Bandai e mandare in onda le serie.
E la storia finisce qui, incamminandosi verso la chiusura definitiva del Franchise nella forma che conosciamo, con Hasbro che ha annunciato di voler spezzare una continuity durata oltre trent’anni per ricominciare da zero,
Il Super Sentai abbiamo visto ha avuto un’origine assai travagliata, e come il Tokusatsu l’ha sparato fuori come sua derivazione diretta, continua a sua volta a produrre prodotti derivati.
Uno dei più famosi è stato Sailor Moon del 1992, genere con coi Naoko Takeuchi ha introdotto di fatto il Majokko Sentai. Tipologia di serie che è sia un ritorno alle origini che un passo avanti.
A differenza del Super Sentai, il Majokko Sentai non presenta robottoni, essendo quindi più affine ad una versione animata di Gorenger e JAKQ, e vede trasformazioni ispirate (da cui il nome Majokko, letteralmente Giovane ragazza magica) alle maghette Toei degli anni ’80 e ’90, i personaggi come l’Incantevole Creamy e la Magica Emi in grado di trasformarsi da anonime bimbette in affascinanti adolescenti per comprendere il mondo degli adulti e avere un’anteprima dei loro sogni futuri.
Abbiamo quindi uno squadrone combattente con cinque esseri umani autoritari ed emotivi, ma in questo caso tutti di sesso femminile che per puro caso scoprono di essere reincarnazioni di una Principessa Lunare (ispirata al mito giapponese di Kaguya-Hime), regina di un antico regno buono e giusto e delle sue quattro guardie del corpo che senza alcuna ragione apparente se non il fatto che la loro autrice ha sempre avuto un interesse per la moda, l’astronomia ed è tecnicamente una farmacista laureata, si trasformano in un gruppo di eroine con lo stesso codice cromatico dei Super Sentai (bianco per il leader, rosso, blu, verde, giallo e nero per i compagni di squadra) con improbabili divise scolastiche alla marinaretta e tacchi vertiginosi, ognuna ispirata ad uno dei pianeti del Sistema Solare più vicini al Sole (lasciando Plutone e i pianeti più lontani per le alleate arrivate in seguito).
E abbiamo il Sesto Ranger che in questo caso è l’unico maschio ammesso, l’eterno fidanzato della bionda protagonista Usagi, il cui costume consiste in un alrettanto improbabile frac con cilindro, protagonista di infiniti meme che evidenziano come mentre nei Super Sentai sovente l’anello debole del gruppo è proprio la Pink Ranger, stereotipicamente fanciulla in difficoltà o interesse amoroso degli altri eroi, in Sailor Moon l’anello debole è Mamoru/Marzio, ovvero Tuxedo Kamen/Milord (in originale “Maschera di Frac”), il cui scopo è letteralmente apparire, dire due frasi di incoraggiamento alla sua amata e scomparire mentre i mostracci (anche loro rigorosamente al femminile) tentano di gonfiarla di mazzate come una zampogna.
Anche il Majokko Sentai ha avuto suoi generi derivativi, come Wedding Peach, a tema “abiti da sposa” e Mermaid Melody (a tema sirene e idol pop), ancorché a differenza dei Sentai non parte di un universo condiviso e, genericamente, meno acclamati e riconosciuti di Sailor Moon.
Anche in questo caso Saban provò ad allungare le mani sul franchise, con una serie in parte live-action, in parte animata.
La storia è a questo punto poco chiara: le due ipotesi parallele è che Toei abbia stroncato un orrore trascendentale paragonabile ad un miscuglio tra una serie adolescenziale alla Sweet Valley High e delle bamboline disegnate da un ubriaco, oppure che Saban stesso si sia reso conto di non avere abbastanza soldi per gestire entrambi i franchise (creando così una versione “Power Rangers” di Sailor Moon) e, come per gli altri progetti paralleli, abbia tirato la spina a tutto il resto del franchise.
Ci siamo risparmiati quindi una serie con una Sailor Mercury nella carrozzina volante del Professor X negli X-Men, Milord senza mascherina, Adrienne Barbeau nel doppio ruolo del mentore e della villain e una Usagi decisamente sproporzionata per una quattordicenne.
Ovviamente, in Giappone tutti questi generi hanno avuto, ed hanno, un immondo successo, con Toei che nel 2012 ha creato una affettuosa parodia del genere, gli Akibaranger (dal nome del quartiere di Tokyo famoso per le sale giochi e i negozi di elettronica e gadget), storia di un otaku (un nerd allo stato terminale) e le sue due amiche che riescono a diventare Rangers usando il potere delle loro fantasie fuori controllo interagendo coi Sentai e coi Rangers.
Una delle teorie del complotto è la “maledizione dei Power Rangers”.
In trent’anni di pubblicazione ininterrotta è fatale trovare qualche dramma nelle vite degli attori. Oltre ai citati problemi sul set della prima serie, abbiamo avuto negli anni la morte dell’attrice che interpretava la prima Yellow Ranger, morta giovanissima in un incidente stradale, il decesso per cancro al pancreas di Machiko Soga, la Rita Repulsa americana e interprete di infinite “cattivacce” nella serie, l’arresto di uno dei Red Rangers accusato di un brutale omicidio, il cancro (fortunatamente superato) della Pink Ranger della serie Lost Galaxy, uccisa nello show per dare modo all’attrice di uscire di scena e decidarsi alle cure a tempo pieno e, recentemente, la morte del volto della saga Jason David Frank per suicidio (inserito quest’ultimo in un elenco completamente fake di “vittime del vaccino”, peraltro).
Come per Lamù, anche la saga americana ha avuto almeno due tentativi di reboot recenti, di cui uno una reunion e uno cinematografico. Entrambi con meno successo di Lamù e i casinisti planetari probabilmente per il diverso approccio.
Un reboot del 2017 ha cercato, invero in modo apprezzabile, di portare le vicende della serie ai giorni nostri, introducendo i temi ad esempio del bullismo, della disabilità e della discriminazione LGBTQ in un blockbuster cinematografico e aggiornando gli effetti speciali “gomma e pupazzi” con l’uso delle moderne tecnologie.
L’effetto nostalgia ha reclamato però la sua tassa: il progetto di un sequel del film (che si chiude con un sequel hook per introdurre un nuovo Green Ranger nel mix) è stato infatti apparentemente bocciato per essere sostituito da un nuovo reboot ambientato negli anni ’90 con ambientazioni coerenti con l’epoca.
Non è il primo tentativo fallito: già nel 1995 Saban aveva provato a portare al cinema un film basato esclusivamente su scene girate in America e senza le parti Toei, scoprendo che il fan duro e puro reclamava i pezzi Toei e con forza.
Maggior successo ha avuto una serie a fumetti ambientata nella cronologia della serie anni ’90 che ne riprende pedissequamente ogni tema e personaggio, dimostrando come il peggior nemico e il miglior alleato di ogni franchise storico sia la nostalgia stessa.
Recentemente un episodio speciale per il trentesimo anniversario americano è approdato su Netflix, su ispirazione proprio del David Yost scacciato a pedate dal franchise per motivi economici/discriminatori, nel quale i quattro Rangers con attori ancora vivi rimasti reclutano la figlia del personaggio della Yellow Ranger per salvare il mondo un’ultima volta da una incarnazione robotica dell’altrettanto defunta Rita Repulsa.
Questo escludendo il citato tentativo di reboot in programma da Hasbro, che chiuderà l’arco narrativo iniziato negli anni ’90 con Cosmic Fury (attualmente in corso), saga in cui i Maestri del Campo Morfico aiutano gli ultimi Power Rangers dell’attuale continuity, anche loro col potere dei dinosauri, a ricatturare Lord Zedd, uno dei primi nemici dei Mighty Morphin’.
Un po’ come è accaduto per la serie animata di Pokemon, altro fenomeno di quegli anni, la serie dovrebbe ricominciare con nuovi personaggi, nuove ambientazioni, inseguendo un pubblico che non è più quello di un tempo.
Un’altra delle creazioni di Ishinomori citata ha visto recentemente un Reboot: Shin Kamen Rider (2023) dell’Hideoki Anno di Evangelion, altro reboot postmoderno in cui SHOCKER diventano non più un gruppo di neonazisti, ma un sindacato criminale che dopo aver “scoperto” che l’essere umano è per natura destinato all’infelicità vuole dominare il mondo per costringere di fatto l’umanità a “diventare felice” dando a derelitti e diseredati il potere di vendicarsi contro i loro oppressori nel modo più brutale possibile.
Nel 2005 il franchise ha rischiato di prendere una direzione del tutto diversa col reboot anticipato di vent’anni.
Nel “progetto Hexagon” la riunione dei passati Rangers sarebbe stata anticipata di otto anni e il reboot di venti con Tommy Oliver tornato come capo del’Esagono, una specie di Pentagono dei Power Rangers costretti di fatto a diventare agenti governativi sotto il suo controllo ed uno scenario alla Marvel Civil War (anni prima del fumetto e del film cinematografico) in cui una fazione di Rangers al comando del Mighty Morphin’ Red Ranger storico Jason sarebbe tornato dalla pensione apposta per fermare l’ex amico e distruggere l’Esagono allo scopo di convincerlo a tornare a salvare il mondo con umiltà.
Scopo di Hexagon era anticipare l’addio alla saga avendo tutti i veterani assieme combattersi per futili motivi per poi ritirarsi e cedere il passo alla nuova generazione.
Un tema questo adatto per un pubblico più adulto di quello previsto.
Del resto, una complessa Civil War tra eroi in un mondo in pericolo basata su dilemmi etici, morali e legati alla concentrazione di potere mal si sarebbe collegata ad un franchise partito da una strega cosmica reperita in un cassonetto dell’immondizia e combattuta da un un branco di adolescenti autoritari ed emotivi.
Il materiale Toei fu usato per Ninja Storm e divenne un canovaccio di Ninja Neozelandesi che combattono mostracci cattivi che hanno trasformato il loro maestro in un tenero criceto parlante (non fate domande), e il personaggio che avrebbe dovuto diventare Tommy diventato leader dei “Ranger Governativi” divenne un sesto ranger nerd e sarcastico, figlio del sorcio parlante e pronto a regalare ai suoi amici ninja bizzarri congegni.
Sin dal 1993 sono esisititi giochi basati non sui Super Sentai, ma sui Power Rangers, partendo dal videogioco del 1993 sui Mighty Morphin’ Power Rangers per SNES e Game Gear fino al 2019 col picchiaduro Battle for the Grid
Non sono esistiti altri giochi, sorprendentemente, escludendo quindi le ultime incarnazioni del franchise ma dando voce all’ultima intepretazione di Jason David Frank prima della sua morte.
Per chi ha avuto pazienza di seguirmi fino a questo punto, ora ho delle curiosità pronte.
Una gag del noto fumettista Davide “Daw” Berardi gioca sui “personaggi scartati dalla storia” introducendo assieme alla Quinta Tartaruga Ninja, Tintoretto e Nunzio il Tredicesimo Apostolo la sfortunatissima figura del Power Ranger Marrone.
Ignorando che questa triste figura è davvero esistita ed è stata espulsa dalla storia esattamente come previsto dalla gag, una volta in Giappone e ben due volte in Occidente.
Tra Gorenger e JAKQ Toei aveva infatti pubblicato una Prima Seconda serie, ovvero Ninja Captor del 1976, storia di un gruppo di Ranger-ninja che combattono dei ninja mostruosi e cattivi.
Tra i buoni compariva Ground Captor 4, un improbabile ventenne dal potere della Terra e dal fisico assai corpulento caratterizzato dal color marrone del terriccio, evocativo però di altre sostanze.
La scarsa qualità di Ninja Captor spinse Toei a far finta che la serie non fosse mai esisista e, salvo pochi gadget, considerare JAKQ la seconda serie Sentai e dimenticarsi dell’esistenza del Ranger Marrone.
Un Ranger Marrone tornerà con le sembianze di un buffo pensionato in Kishiryu Sentai Ryusoulger del 2019, adattato nell’attuale Cosmic Fury che però nuovamente rimuove tutte le scene col Ranger Marrone, evitando così che l’ultimo personaggio apparso in un ciclo narrativo cominciato ormai negli anni ’90 sia lo scartato dalla Storia per eccellenza.
Per una citata convenzione, raramente nelle serie Sentai si è vista una donna al comando.
Bisognerà aspettare Time Force (2001) per avere, e brevemente, una Pink Ranger a capo della baracca: salvo poi rinunciare al grado ed alla leadership per innamorarsi del nuovo Red Ranger, antenato del precedente e suo partner trovandosi così nell’assai imbarazzante situazione di diventare antenata del suo primo fidanzato e spasimante del di lui trisavolo.
Nel 2005, adattando Dekaranger in Power Ranger SPD, Saban tirerà fuori dal cilindro la prima Red Ranger donna della storia, Charlie, una poliziotta galattica corrotta che compare, con un costume fatto esclusivamente per le produzioni americane con pezzi di costumi delle serie precedenti riverniciati, per farsi sconfiggere dai buoni e farsi arrestare.
Disney cercherà di impedire la presenza di un Red Ranger donna, sia pur temporanea e malvagia, ma alla fine lascerà correre: in Samurai Sentai Shinkenger, adattato in America come Power Rangers Samurai del 2011 appariranno ben due Red Ranger, un ragazzo e una ragazza, coesistenti e intercambiabili.
Se vogliamo essere però pignoli, ricordiamo che il primo leader di una squadra Sentai donna è stata Usagi Tsukino, la “Bunny” di Sailor Moon, nell’ormai lontano 1992, ancorché usando il colore bianco (simbolo di leadership alternativo al rosso dai tempi di JAKQ).
Saban provò nel 1998 a creare una propria serie Sentai fatta esclusivamente di materiale americano, i Mystic Knights of Tir Na Nog (1998), nota in Italiano come Mystic Knights: Quattro Cavalieri nella Leggenda.
La serie era un economicissimo miscuglio di temi Sentai e fantasy chiassoso alla Hercules, Xena, Fantaghirò e Desideria e l’Anello del Drago, con un cast di cinque eroi (di cui il quinto, dal colore oro/marrone, bistrattato nel testo Italiano a causa della maledizione del Ranger Marrone) piazzati in una Irlanda di cartapesta per combattere una versione romanzata della Regina Maeve, con meno dignità divina e più affine ad una Rita Repulsa di sottomarca pronta a mandare i suoi mostri in Irlanda.
Anche qui abbiamo il solito quintetto di quattro eroi e una principessa: il nobile “Ranger Rosso” Rohan dal potere delle Fiamme, segretamente figlio buono di Maeve, l’astuta e seria principessa Deirdre dal potere dell’Aria, Ranger Bianca, anch’ella proveniente dalla mitologia e in ogni puntata frustrata dalle scarse capacità strategiche dei suoi colleghi uomini, il principe Ivar dal potere della Pietra, Ranger Blu perennemente distratto dalla ricerca di un calice sospettosamente simile al Santo Graal, il ladro Angu col potere della Terra, amico di Rohan dall’armatura argentata e il Ranger Marrone Garrett, spasimante rifiutato della bella Deidre, anche lui come il Green Ranger dei MMPR inizialmente sottomesso alla crudele regina Maeve, dal Potere della Natura e l’abilità di parlare con gli animali.
Sorprendentemente per una serie cassata, la serie ha un suo finale coi buoni che trionfano e la pace che torna: il quintetto sarebbe tornato per sconfiggere un nuovo nemico, ma gli scarsi ascolti spinsero Saban a dirottare il budget sui Power Ranger e l’adattamento della serie animata Digimon e non vi furono mai più serie Sentai girate esclusivamente con trame ed elementi made in Occidente.
Saban proverà ad adattare altri Tokutastu, come Kamen Rider, diventato Masked Rider e la saga dei Metal Heroes, diventata Big Bad Beetleborgs, con scarso successo, dovuto anche al tentativo mal riuscito di cancellare le atmosfere cupe delle due opere di Shotaro Ishinomori per farne goffe commedie adolescenziali a base di goffi e simpatici adolescenti che ricevono da alieni benevoli grandi poteri per salvare la Terra e migliorare le loro vite: alcune delle bizzarre creature ricreate per le due serie finiranno nelle altre produzioni, compresi i Power Rangers e i Mystic Knights.
Il motivo?
L’assonanza di Morphin’ con “Morphin”, ovvero la morfina.
Destino che toccherà anche alle Tartarughe Ninja nel Regno Unito, che diventarono Teenage Mutant Hero Turtles, le “Tartarughe Eroiche” perché il ninja era percepito dai censori come un’entità malevola e fortemente diseducativa.
Una parentela non troppo remota: ricordate gli Exogini, i famosi fantoccini di gomma lanciati nel 1987 come variante della linea americana MUSCLE (Millions of Unusual Small Creatures Lurking Everywhere, Milioni di minuscole creature bizzarre che si annidano ovunque).
Venduti come due gruppi di alieni minuscili sempre in lotta tra loro, in realtà devono la loro bizzarra backstory alle loro origini come parodia del genere Tokusatsu, per essere precisi di Ultraman.
Nel 1979 il duo di artisti Yudetamago (“Gang dell’Uovo Sodo”), composto da Yoshinori Nakai e Takashi Shimada era in fissa con due cose: i wresting e i supereroi, termine che abbiamo visto in Giappone comprendeva sia i Tokusatsu che i Supereroi Occidentali.
Inventarono così il bizzarro personaggio di Kinnikuman (l’Aquila degli Exogini), un supereroe dalle fattezze di un Ultraman pezzente, coi labbroni e il naso schiacciato dalle vaghe fattezze suine, il cui nome significa letteralmente Muscle-Man, col potere di ingrandirsi come Ultraman, volare con le sue potenti scorregge e lanciare raggi laser dopo essersi nutrito con abbondante aglio, da solo oppure usato come condimento per il suo Gyudon, la zuppa di manzo.
Nato inizialmente come protagonista di una storia breve, Kinnukuman nel corso delle sue avventure incontrerà altri Chojin (supereroi), rivelando di essere il goffo ma segretamente forte e capace principe di un clan galattico di Supereroi e, finiti i Kaiiju, si unirà a loro per combattere altri Chojin (però malvagi) in scontri di wrestling sempre più emozionanti con in palio il destino della Terra.
Il punto di forza di Kinnikuman, che rivelerà di essere in realtà segretamente bellissimo sotto la sua goffa maschera (ma a seconda se si tratti della versione originale o del doppiaggio occidentale, passibile di condanna a morte se mostrerà il suo vero volto oppure di esilio e privazione di ogni diritto, compreso quello di salire sul ring con condanna a morte in caso di ribellione), così bello da poter purificare l’acqua inquinata e sanare le ferite più brutali con un sorriso è il suo incrollabile ottimismo: Kinnikuman è sciocco, vanitoso, a tratti pigro e inetto ma quando sente che qualcuno ha bisogno di lui riesce a concentrarsi diventando il più grande dei Chojin.
Con un franchise che dura ancora adesso, uno spin-off sulle avventure del non meno strampalato figlio di Kinnikuman, e derivazioni come MUSCLE ed Exogini, la parodia in salsa Wrestling dei Tokusatsu ha vinto numerosi premi e visto i disegni dei piccoli fan trasformati in Chojin.
Gi stessi Exogini sono un tentativo di rivendere i Kinkeshi, i giochini in gomma basati sui personaggi di Yudetamago, ad un pubblico all’epoca ignaro sia dei Tokusatsu che dei Sentai.
Immaginate di vendere bambole di Sailor Moon a bambine che non sanno cosa sia Sailor Moon: probabilmente le vendereste come generiche Bratz o Barbie.
Di questo ne potremo parlare in articoli futuri: sappiate che ogni Exogino deriva in realtà dallo stesso concetto di Ultraman.
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