C’erano una volta tastiera e mouse (anche come non li immaginate)
C’erano una volta tastiera e mouse. Sono la prima cosa a cui pensate quando guardate un computer, ma non è sempre stato così, non è detto che sia sempre stato così e, per lungo periodo, nessuno aveva idea su come dovessero essere fatti.
Se guardate un computer estremamente datato, probabilmente non vi troverete alcuna tastiera. Se guarderete uno dei computer più “vintage”, vedrete oggetti del tutto irriconoscibili come tastiere e mouse, creati in un’epoca in cui nessuno sapeva come dovevano essere fatti mouse e tastiere e quindi si andava a braccio.
Prima delle tastiere, prima dei mouse
Prima delle tastiere, prima dei mouse, la situazione dei computer era la stessa che abbiamo visto sostanzialmente con la scoperta del monitor, articolo di cui questo è sia sequel che prequel che parte di un arco narrativo in comune.
I primi computer non avevano monitor, non avevano tastiere, non avevano mouse. Potevi programmarli con una serie di interruttori a pannello, oppure inserendo delle schede perforate riportando gli input del caso.
Il primo ad arrivare fu la tastiera, quando si pensò di collegare delle telescriventi ai computer. Strumenti da usare sulla rete telegrafica: potevi battere a macchina un messaggio e una “macchina da scrivere” lontana chilometri l’avrebbe ribattuto uguale consentendo ad un operatore a digiuno del codice Morse di interpretare il tuo messaggio e rispondergli.
Nel dopoguerra qualcuno cominciò a chiedersi se non fosse possibile utilizzare una telescrivente per comunicare con un computer in modo più semplice ed efficace, ad esempio la Teletype Corporation Modello 33.
Le tastiere dell’epoca erano quindi di fatto macchine da scrivere evolute, dai tratti molto diversi da una tastiera odierna. Ad esempio mancavano i tasti cursore e il tastierino numerico, nonché i tasti funzione, introdotti solo nel seguito.
Esattamente come per quanto visto nella storia del monitor la tastiera infatti deriva dalla pre-esistente macchina da scrivere, ereditandone diverse soluzioni tecniche.
Dalla macchina da scrivere alla tastiera, passando per la telescrivente
Abbiamo quindi assistito al momento storico in cui le telescriventi cominciano ad appaiarsi ai computer. Non ancora tastiere, ma “dispositivi con tastiera” in grado di interfacciarsi con un computer.
Di avi della macchina da scrivere ce ne erano nella storia da tempi precedenti la storia dell’informatica: nel periodo in cui gli “automi” del Rinascimento davano l’illusione del movimento autonomo facendo sognare all’Umanità di poter creare “vite artificiali” (sogno coronato in parte con ChatGPT e le AI) tale Francesco Rampazetto (1575), editore veneziano più volte in contrasto con la Chiesa per la stampa di libri religiosi, progettò un congegno meccanico con tastiera e caratteri a rilievo per consentire ai ciechi di comunicare per iscritto tra loro.
Seguirono il tacheografo (1823) di Pietro Conti e il Cembalo Scrivano (brevetto del 1855) di Giuseppe Ravizza, anch’esso nato come strumento per i non vedenti.
Fu però il giornalista americano Christopher Latham Sholes, nel 1868, a brevettare la prima macchina da scrivere così come la conosciamo: uno strumento non di assistenza per i diversamente abili, ma di uso comune per professioni basate sulla scrittura, come la sua.
Prima di arrivare alla commercializzazione con Remington nel 1874 dovette risolvere un problema fondamentale: le macchine da scrivere meccaniche tendevano ad incepparsi quando, battendo troppo velocemente, i caratteri tipografici si incastravano tra di loro.
Creò così una disposizione dei tasti che fosse fruibile da un dattilografo esperto, coi tasti disposti in modo da consentire una scrittura fluida con ambo le mani assieme e le lettere più comuni abbastanza distanziate.
Nacque così il sistema QWERTY, croce e delizia di milioni di tipografi, utenti di PC e gamer, in quanto perno focale del sistema di controllo WASD, l’uso delle citate lettere come sostituto delle frecce cursore in ambito videoludico.
A questo punto della storia era chiaro che tutte le macchine da scrivere avrebbero dovuto essere, salvo eccezioni come il sistema DVORAK del 1936 (creato per una scrittura più ergonomica in lingua inglese) e il layout QZERTY in un certo periodo in Italia, basate sul sistema QWERTY delle prime Remington.
E così avrebbero dovuto essere le telescriventi. E questo è quanto, perché tutto il resto delle tastiere era una terra ignota e sconosciuta.
Il 4 Luglio del 1955 entra in servizio il primo computer munito di tastiera, il MIT Whirlwhind, e tra gli anni ’50 e ’60 la telescrivente diventa una compagna di ogni computer.
Al momento di arrivare all’informatica domestica e per piccoli uffici però arriva una doccia fredda: nessun produttore ha le idee chiare su come debba essere fatta una tastiera.
Sia dal punto di vista meccanico, che dal punto di vista ergonomico.
Come è fatta una tastiera? Nessuno lo sa
Sostanzialmente, le telescriventi avevano tastiere meccaniche, belle “cliccose” e sonore come piacciono ai gamers moderni. Nel 1970 i primi computer per hobbisti arrivavano come kit da assemblaggio. Le tastiere erano non meno nude nei computer, tasti montati direttamente dall’utente su pannelli di legno per stabilità.
Ditte come Tandy, Apple e Commodore, protagoniste della prima grande battaglia dell’informatica resero popolare la tastiera, rendendola centro degli spot pubblicitari e parte del computer essenziale moderno assieme al monitor.
Ma anche qui, eravamo di fronte alla verità dei fatti che ogni computer arrivava con la sua tastiera.
Le prime tastiere usavano switch meccanici, come i prediletti dei gamer moderni, ma anche tentativi di costruire tastiere più silenziose ed economiche in un’epoca in cui si cominciava a prediligere il risparmio e la silenziosità alla rumorosità e costo.
Già ai tempi del SOL20, predecessore dei citati home computer, Processor Technology Corporation, erano disponibili sul mercato tastiere con contatti in foglia conduttiva e spugna, incubo dei collezionisti perché il materiale col tempo si degrada rendendole impossibili da usare al giorno d’oggi senza riparare tutte le spugnette.
Come avrete notato, era comunissima l’immagine di un Home Computer con la tastiera direttamente costruita nel case, cementando l’idea che ormai tastiera e computer erano diventati un binomio indissolubile e non era più concepibile per l’utente medio l’uso di interruttori e pannelli ma il presente ed il futuro dell’informatica dovessero passare dalla scrittura.
Se Tandy ed Apple usavano nel TRS e nell’Apple II switch meccanici, il Commodore PET usava contatti di plastica e grafite simili a quelli dei telecomandi, inclini all’usura, ed i successivi Commodore VIC20 e 64 usarono varianti più robuste, ma sempre basate sull’uso di contatti di grafite montati su perni plastici con molle.
Il Tandy Color Computer usava invece, come lo Spectrum, il Commodore C116 e le calcolatrici d’epoca, una tastiera modello “Chiclet”, con piccoli e scomodi tastini di gomma col contatto di grafite attaccato in fondo.
E questo è il meno delle differenze tra tastiere, dato che c’erano tre elefanti nella stanza.
La disposizione dei tasti, i tasti cursore e i tasti funzione.
La posizione dei tasti
Abbiamo spiegato i motivi per cui la maggioranza delle tastiere erano QWERTY. E questo è quanto.
Adesso vi mostreremo due tastiere praticamente coetanee. Questa è la tastiera del Commodore PET, primo modello
E questa è la tastiera dell’Apple II
Oggi noteremmo una serie di cose molto strane: ad esempio le definiremmo un orrendo incubo di ergonomia. L’idea di scrivere un testo su una tastiera squadrata da registratore di cassa con una barra spaziatrice minuscola e due tasti cursore che ti costringono alle contorsioni per attivare le diverse funzioni (c’erano solo due tasti cursore, basso e destra: dovevi premere shift per alto e sinistra) oggi ci provocherebbe i crampi alle dita solo a pensarlo.
Una tastiera senza tasti funzione e senza i cursori alto e basso oggi ci angoscerebbe.
Vedere due computer sullo stesso scaffale con due tastiere completamente diverse ci destabilizzebbe: oggi siamo abituati alla possibilità di comprare un PC, comprare a parte monitor, mouse e tastiera e poi riciclarli all’infinito a prescindere dalla marca e dal modello.
Una buona tastiera meccanica oggi diventa un investimento che puoi passarti da PC a Mac, usare su Windows, Linux, MacOS o persino su un tablet Android.
Ed ogni tastiera in commercio si somiglia.
A parte i simboli grafici, la tastiera di un portatile Apple e di un portatile PC Compatibile sono perfettamente sovrapponibili, e non esiste curva di apprendimento.
Puoi scegliere tra comprare una tastiera a bolle, meccanica o con contatti a forbice, e a parte la sensazione tattile dei tasti, puoi riprendere a battere alla cieca perché troverai tutti i tasti nella stessa posizione in cui li hai lasciati.
Perché i produttori oggi sanno come è fatta la tastiera più ergonomica possibile e tranne alcuni tentativi peculiari, ti lasciano trovare i tasti dove dovrebbero essere.
Quel dove dovrebbero essere è arrivato assai tardi nella storia dell’informatica. C’è stato un tempo, specialmente quando gli home computer avevano la tastiera incorporata nella scocca, in cui cambiare computer significava doversi impratichire con una tastiera del tutto diversa.
Troverete un video di David “8 Bit Guy” Murray sull’argomento: per un lungo periodo le tastiere erano uniche come fiocchi di neve: data per assodata la posizione dei tasti lettera, cursori e altri tasti erano messi in posizioni del tutto arbitrarie e la stessa ergonomia generale era inesistente. I tasti erano disposti per stile, non per praticità.
L’importante era che ci fossero numeri e lettere: il tastierino numerico, onnipresente in tutte le tastiere full size odierne era un lussuoso optional da ufficio, i tasti cursore un optional messo “dove capitava” e i tasti funzione di lì da venire.
Il motivo era semplicissimo per pensarci: tutto quello che serviva agli hobbisti, che usavano il computer essenzialmente come “coders” per scrivere i loro programmi (o trascriverli da apposite riviste) erano numeri e lettere, e con linguaggi come il BASIC potevi “risalire” di riga limitandoti a indicare al computer il numero di riga da modificare.
Solo un numero limitato di utenti aveva bisogno di un tastierino numerico apposito e delle frecce cursore: contabili, ragionieri e chi lavorava con fogli di calcolo e affini.
E anche loro, come vedremo, furono presto stimolati ad imparare ad usare il nuovo oggetto del desiderio: il mouse.
Cursori e numeri furono le cenerentole della tastiera.
Altra Cenerentola illustre furono i tasti funzione, oggi parte essenziale dell’uso di Windows, ieri “qualcosa che poteva o non poteva esserci per aiutarti: se non lo trovi pazienza, il computer si usa lo stesso anche così”.
Il tasto funzione era un’aggiunta, anche essa nata dalle telescriventi evolute, che poteva o non poteva esserci. Scopo del tasto funzione era “essere tutto quello che si riteneva potesse servire”.
Se un programma particolare aveva bisogno di un comando, lo si poteva “girare” al tasto funzione. I videogiocatori ricorderanno ad esempio giochi sul Commodore 64 che all’avvio ti chiedevano di selezionare il numero di giocatori o la modalità di gioco usando i quattro tasti funzione (“sdoppiati” in otto col tasto Shift) all’avvio, gli utenti di programmi di videoscrittura, calcolo e musica la possibilità di accedere al menù con quei tasti.
IBM cominciò a popolarizzare le tastiere “moderne” con la creazione dello standard IBM PC Compatibile, di cui abbiamo parlato assieme al Book 8088, riproduzione moderna e portatile (sia pur coi suoi evidenti limiti) dello standard d’epoca.
Le tastiere IBM (e una parentesi sugli standard Apple)
Il nonno di tutte le tastiere che state usando ora è apparso storicamente assieme all’IBM PC 5150 del 1981
La Modello F era ancora un incubo ergonomico (del resto era coetanea della citata tastiera del Commodore VIC20 e Commodore 64), ma cominciava a mostrare i tratti caratteristici dell’oggetto che amiamo chiamare “Tastiera standard da PC”.
Ovvero dieci tasti funzione oltre il Blocco Numerico, Caps Lock e Scroll lock, rispettivamente per usare il tastierino numerico come tasti cursore per scorrere velocemente tra le pagine, per attivare il “tutto maiuscolo” senza dover tenere pigiato Shift e per bloccare l’output a schermo in un determinato momento.
I tasti funzione erano dieci, ma a lato e i tasti erano attuati da un sistema a molle che chiudeva il relativo contatto elettrico, garantendo così una certa solidità e “cliccosità” rispetto alla concorrenza.
Se la Model F è il nonno, il padre nobile di tutte le tastiere moderne è la Model M del 1985, tutt’ora costruita da Unicomp e di fatto prima del genere delle “tastiere 100%” moderne.
Una Model M, disponibile con tutti i connettori della storia del PC IBM dal connettore proprietario AT passando al PS/2 fino all’attuale USB è sostanzialmente la tastiera moderna.
Guardando una Model M pensereste di avere di fronte una tastiera moderna alla quale qualcuno ha staccato i tasti “Windows” ed “Fn” (rispettivamente usati sui computer moderni come sostituto della combinazione Ctrl+Esc e per attivare funzioni specifiche della tastiera, come funzioni addizionali dei tasti funzione e il cambio colore su una tastiera RGB), ma è vero il contrario.
Tutte le tastiere moderne sono cloni della Model M variamente rivisitati.
La modifica più comune fu il passaggio, come abbiamo anticipato, dalla tecnologia meccanica “buckling spring” ai più silenziosi ma meno robusti contatti a cupola di gomma con grafite.
Sia pur essendo disponibili modelli senza il tastierino numerico, con la Model M IBM popolarizzò il design “moderno” della tastiera: sei file di tasti a diverse altezze per ergonomia, cursori a T rovesciata, dodici tasti funzione più “Stamp” (per inviare alla stampante l’output video), Blocco Scorrimento, Interruzione e Bloc Num e il tastierino numerico di fianco.
Dal versante Apple le tastiere del LISA e del Macintosh (1983 e 1984) avevano un aspetto simile, ma una connessione proprietaria a “jack telefonico” (sostituita in seguito dalla connessione ADB) e l’assenza di tasti cursore e un tastierino numerico venduto a parte.
L’idea di Steve Jobs era “costringere” l’utente ad accettare l’esistenza del mouse negandogli ogni altro strumento di navigazione nei menù: i produttori software avrebbero dovuto adattarsi a tale scelta e non viceversa.
Tale proposito non durò a lungo: già nel 1986 i tasti cursore riapparvero in tutta la loro gloria nelle tastiere Apple, ancorché “in linea” anziché a T rovesciata come sul modello IBM, divenuto poi il modello vincente.
Solo nel marzo del 1987 Apple finalmente cederà producendo la Apple Extended Keyboard con switch meccanici Alps ma un fattore di forma simile alla IBM Model M, con cursori a T rovesciata, dodici tasti funzione, sei file di tasti e tastierino numerico incorporato.
E alla fine arriva il Mouse
E ancora non siamo arrivati alla popolarizzazione del mouse, iconico compagno della tastiera e che come abbiamo avuto modo di vedere ne ha condiviso i destini contribuendo a forgiarne persino l’aspetto.
Vi stupirà sapere che come il monitor e la tastiera, il mouse esisteva molto prima della sua popolarizzazione, ma al loro contrario è nato dopo i computer e non prima, ancorché eredità soluzioni del suo antenato (e parziale successore), il trackpad.
Il primo mouse della storia era un oggetto di legno con due ruote metalliche e un tasto in cima, creato da Doug Engelbart nel 1961 ad imitazione di un planimetro.
Il suo nome deriverà dalla forma: i primi mouse erano “al contrario”, ovvero col cavo posto in fondo, ed erano di fatto oggettini di legno che “correvano” su una scrivania con un codino per “inseguire” i movimenti di un cursore. Furono così chiamati “topi”, quindi “mice”, quindi “il mouse”.
Parliamo di oggetto molto più scomodo rispetto ai mouse attuali: avere due ruote anziché un singolo sensore (o sfera) come vedremo significava dover sollevare e riposizionare il mouse diverse volte durante il suo funzionamento.
Ma fu comunque un enorme passo avanti nella visione di Engelbart che sognava un approccio più ergonomico ed umano all’informatica.
I vantaggi del mouse erano evidenti: al contrario di una penna ottica non richiedeva una mano ferma e il contatto col monitor o strutture simili: il mouse si fermava quando tu lo fermavi, e come il planimetro “guidava” il tuo movimento.
Poteva restare accanto alla tastiera quando ti serviva, e paradossalmente quello che noi riteniamo il suo successore era in realtà il suo avo: nell’Inghilterra del 1946 si era già sperimentato con successo il passaggio dal joystick al trackball per il puntamento e il controllo dei Radar.
Nel 1968 Telefunken unì infatti le due intuizioni: nacque così il primo mouse “moderno”, che al posto delle due ruote aveva una palla nel centro, che ruotava due rotelline che a loro volta attivavano dei sensori tracciando la posizione.
Il mouse “a palla”, esattamente come i moderni mouse a sensore ottico non doveva essere riposizionato periodicamente: scorreva “fluidamente” sul piano della tua scrivania.
Arriviamo così al 1973 ed alla nascita di un falso mito e la popolarizzazione del mouse: Xerox decide di investire nel mouse come mezzo per controllare il primo computer della storia basato sin dalla sua nascita su una interfaccia grafica, raffigurazione figurata della scrivania, lo Xerox Alto.
A questo punto della storia Steve Jobs durante una vista ai laboratori Xerox se ne incapriccia e decide di importare il Mouse nelle sue creazioni. Incidentalmente questo cancellerà dalla storia dell'”utente medio” sia Engelbart che Ralph Benjamin (l’inventore del trackpad).
Per troppe persone la storia comincerà da Xerox e sarà popolarizzata come “Il Mouse inventato da Xerox e ‘rubato’ da Steve Jobs”.
Nessuno dei due predicati della frase risulterà vero: Xerox non aveva inventato il mouse e Steve Jobs non rubò niente. La sua visita (regolarmente approvata) ai laboratori Xerox lo portò all’idea di prendere uno strumento “per tecnici” e renderlo popolare per gli utenti base.
La fissazione di Steve Jobs per il mouse fu tale, come abbiamo anticipato, da ordinare la rimozione dei tasti cursore dalle prime tastiere per LISA e Macintosh.
L’utente finale doveva innamorarsi del mouse, amare il mouse, rispettare il mouse, riverire il mouse, fare del mouse il centro della sua esperienza in un mondo grafico.
Per diversi anni i mouse Apple furono rigorosamente monotasto, e l’assenza di tasti cursore sulla tastiera agì da sprone per i programmatori per popolarizzare il mezzo.
Fu comunque l’innegabile effetto volano di Apple a rendere popolare il mouse: presto anche tutti gli altri computer dell’epoca si fornirono di mouse, spesso in formati incompatibili l’uno con l’altro.
La palma della Babele assoluta va a Commodore, che propose per il suo Commodore 64 ben due modelli di mouse, il 1350 e il 1351, entrambi basati sul popolare meccanismo optomeccanico ma uno il cui input era letto simulando la presenza di un joystick collegato (fino a quel momento strumento ubiquitario per ogni videogioco e interfaccia grafica) ed il secondo un vero e proprio mouse che usava le linee usate dal SID (il chip audio) per controllare i paddles in stile Atari per tracciare la posizione orizzontale e verticale del puntatore.
Due modelli cui aggiungere il Neos MS-30, in vendita solo un anno prima (1985) da Mitsumi sotto il marchio Nihon Electronics e reso obsoleto dal mouse “della casa”.
Da quel momento in poi esplose la mania del mouse: presto i due tasti divennero tre, poi apparve la rotellina per “scorrere” liberamente il testo, e i mouse optomeccanici divennero ottici.
Breve catalogo delle tecnologie del mouse (e qualche esperimento esotico)
I primi mouse erano sostanzialmente, come abbiamo visto, “planimetri elettronici”, con due rotelle che girando misuravano distanze e controllavano il movimento di un puntatore.
Dall’esperienza del trackpad nacquero i primi mouse “optomeccanici”: una palla di gomma faceva girare due stecchette con due rulli ed una rondella attaccata ad un sensore ottico.
La rondella era traforata: il sensore ottico percepiva la presenza di luce ed oscurità e quindi tracciava la presenza di un movimento bidimensionale nelle direzioni orizzontale e verticale.
Già negli anni ’90 Sun, nelle sue “SPARCstation” usava dei mouse ottici, ma diversi da quelli che siamo abituati ad esigere oggi. Il “Mouse SPARC” era essenzialmente formato da due sensori e aveva bisogno per funzionare del suo tappetino.
Mentre un mouse optomeccanico funziona su qualsiasi superficie liscia e ben pulita (abbisogna del tappetino per assicurarsi dei due requisiti), un mouse ottico moderno abbisogna di una superficie opaca (funzionerà bene su un tavolino, benino su alcuni disegni un po’ particolari, non funzionerà su superfici laccate o trasparenti), il mouse Sun poteva funzionare solo sul suo tappetino, istoriato con una serie di fittissime e sottilissime linee di cui una serie riflettente solo ad infrarossi e l’altra solo a luce rossa.
I due sensori emettevano e ricevevano solo il tipo di luce necessario, e si combinavano nella posizione di un mouse così particolare che se mai avessi perso o usurato il tappetino, avresti dovuto buttarlo (o reperire un nuovo tappetino, cosa più facile quando entrambi erano in vendita).
Nel 1986 appare brevemente nella storia il mouse più strano del pianeta: e non parliamo dei mouse “giocattolo” apparsi dopo con forme di macchinine e simili. Parliamo del Mouse Honeywell, progettato da uno dei padri nobili del mouse stesso, Jack Hawley.
L’Hawley Wheel Mouse, “mouse a ruote di Hawley” si presenta come un ritorno all’antico in salsa moderna. In un mondo che da venti anni aveva abbandonato il mouse “a ruote” per concentrarsi su una unica palla, il mouse di Hawley usava due diversi dischi inclinati accoppiati ai loro bravi sensori ottici.
Il mouse di Hawley aveva un enorme vantaggio sui mouse optomeccanici: non raccoglieva sporcizia. Anzi, era letteralmente il suo punto di vendita riportato sui brevetti
Un mouse optomeccanico, con la “pallina”, come vedremo richiedeva periodiche ritualità di cui ci siamo liberati solo col mouse ottico. Andava pulito ed era apribile proprio per ispezionare il vano con la palletta di gomma dura.
Un mouse di Hawley poteva andare avanti all’infinito, sulla più lurida e unta delle scrivanie, senza perdere colpi. Il particolare sistema a doppia ruota garantiva l’assoluta assenza di ogni infiltrazione di sporco nei suoi apparati meccanici, ma rendeva difficoltosi alcuni movimenti angolati, dando l’illusione che il mouse avesse dei “glitch”, probabile motivo per cui la sua sorte finì lì.
La storia del trackpad non finì confluendo nel mouse: il mouse aveva guadagnato dal trackball il concetto di palla come guida di sensori meccanici e optomeccanici, i trackball tornarono in scena muniti di tasti e interfacce compatibili coi mouse diventando alternative “per scrivanie affollate” del mouse stesso.
A tutt’oggi il trackball ha una sia nicchia di affezionati utenti, nonostante mouse e trackpad assorbano tutto il resto.
I mille formati di mouse e tastiere e le ritualità perdute
Abbiamo visto come le prime tastiere commerciali sono arrivate all’utente in un tempo in cui era comune avere il computer con la tastiera incorporata. Per molto tempo quindi non si poneva il problema di quale tastiera comprare.
Compravi un Apple II, la tastiera era lì. Compravi un Commodore 64, la tastiera era lì.
Solo coi computer IBM compatibili potevi trovarti lungo la storia a scegliere tra interfaccia XT e AT (che usavano lo stesso connettore ma non erano elettricamente compatibili, quindi dovevi assicurarti di avere una tastiera che ti lasciasse selezionare il formato, o usare quella giusta), la più comune e duratura interfaccia PS/2, introdotta nell’omonima linea di PC e usata da tutti i PC compatibili fino ad un lungo periodo oltre l’arrivo delle periferiche USB e le periferiche USB stesse.
Apple parimenti passò dalle tastiere integrate ad un connettore proprietario in forma di spinotto come quello di modem e telefoni al sistema ADB, per poi migrare sulle USB.
Stessa sorte ebbero i mouse, che sostanzialmente venivano collegati a quello che c’era.
Computer ad 8 bit come il Commodore 64 usavano la porta joystick stile Atari, la quale a sua volta era meccanicamente ma non elettronicamente compatibile con le seriali a 9 PIN usate da alcuni mouse per PC, quelli che non usavano il formato PS/2 (ma vi erano in commercio adattatori per determinati modelli di mouse), e parimenti poteva capitare di imbattersi in mouse, ad esempio quelli dell’MSX o dell’Amiga, con connettori DB9 ma non recipriocamente compatibili.
Era una situazione simile a quella del mondo dei cellulari, dove prima dell’arrivo delle USB ogni produttore aveva un suo spinotto, un suo caricabatterie ed una sua serie di accessori.
Se ci è voluto l’arrivo imminente del prossimo anno e delle direttive europee per arrivare, con l’ultimo iPhone recentemente uscito, ad avere un solo tipo di caricabatterie, lo USB-C per tutti i cellulari in commercio, fortunatamente arrivati alla boa del 21mo secolo era già possibile trovare mouse e tastiere USB e farla finita con una babele di formati, anche se nel mondo PC per molto tempo si continuò ad usare le connessioni PS/2 e mouse e tastiere furono vendute “biformato”, compatibili con l’uno e l’altro sistema mediante un adattatore fornito nella scatola.
A partire dagli “Intellimouse” Microsoft del 1999 il fino ad allora elusivo sistema dei mouse ottici, riservato come abbiamo visto ad applicazioni costose e tecniche, fu reso popolare fino a cancellare dalla mente degli utenti il mouse optomeccanico, cancellando una intera ritualità.
Come anticipato, periodicamente il mouse optomeccanico andava pulito: bisognava aprire un apposito scompartimento e pulire la palla di gomma con abbondante acqua saponata in modo da farle perdere lo strato di unto e grasso. Bisognava inoltre assicurarsi che i “roller”, le parti di contatto tra la palla e i sensori non fossero ricoperte di sporco e pelucchi, ricorrendo alla gentile azione di un cottonfioc o persino un piccolo coltellino per sgrattare via il sudiciume.
Ovviamente nelle scuole si tendeva a rubare se non il mouse le pallette degli stessi, portando alcuni istituti ad accorciare la vita dei mouse stessi incollando lo sportellino, e molti altri utenti gettavano via mouse del tutto funzionanti ritenendo che bastasse pulire la palla e non rimuovere i pelucchi dai roller.
Il mouse ottico azzerava del tutto questa manutenzione, promettendo inoltre una sensibilità maggiore.
Parimenti l’evoluzione delle tastiere subì quella che il gamer moderno invece avrebbe definito “involuzione”: gli switch meccanici furono col tempo accantonati perché rumorosi, gli switch a spugna e foglietto conduttivo perché fragili, come anche gli switch a contatto.
Vinse il sistema delle tastiere a “cupola di gomma”, silenziose e affidabili, ancorché meno robuste rispetto al passato e con l’affidabilità destinata a finire assieme al logorio delle cupolette.
La necessità di occupare poco spazio sui portatili fece nascere, sin dagli anni ’90, i “trackpad”, sensori che leggevano il movimento del dito su una superficie piana e tastiere con contatti sempre più sottili, arrivando a contatti ultrapiatti a forbice o a farfalla.
Entrambe le soluzioni sono state traslate ad esempio su tastiere portatili Bluetooth, da usare con tablet e Mediacenter come soluzione “da tenere in mano” e per munire di tastiere tablet e cellulari.
Ancora oggi, nel 2023, l’essere umano non riesce a fare a meno del concetto di tastiera e puntamento: anche sui cellulari si preferisce almeno l’uso di una tastiera “virtuale” che metodi di scrittura “naturale”, da sempre inseguiti ma mai in grado di scalzare il dominio del tasto.
Oggi puoi incontrare tastiere di ogni forma e tipo: tastiere rigide, tastiere di soffice silicone lavabile arrotolabili e conservabili (utili ad esempio in ospedali e strutture simili), tastiere di lusso, tastiere di forme strane, e parimenti puoi incontrare nella tua vita mouse ottici e non di ogni forma e concetto.
Negli anni ’90 potevi incontrare mouse col telefono incorporato per fare delle telefonate, mouse a forma di macchinine, mouse muniti di joystick e mouse di forma tonda, come l’ormai infame Apple USB Mouse, dalla ben poco ergonomica forma tonda e la tendenza a “roteare in mano all’utente“. Ma anche in questo caso, si sarebbe presto tornati all’antico.
L’importanza dei diversi standard nel retrocomputing
La brevissima carrellata, da non intendersi come inclusiva o sostitutiva di testi più tecnici sui numerosi formati apre una questione per il collezionista di retrocomputer, a cui è rivolta questa guida.
È assai probabile, anzi diamolo per sicuro, che al mondo ci siano più computer vintage funzionanti che mouse e tastiere rimasti del formato adatto.
Il motivo è lo stesso che abbiamo visto per i monitor CRT: le tastiere venivano consumate, i mouse usati fino alla disintegrazione fisica di guscio e switch, con la fine della produzione di computer con formati proprietari o tastiere incorporate si è finito di produrre tastiere e mouse di quel formato per sempre e col passaggio alla USB siamo arrivati in un ecosistema in cui è possibile trovare nella grande distribuzione solo mouse e tastiere USB (e talora Bluetooth), uno sparuto numero di tastiere e mouse PS/2 e zero possibilità di imbattersi negli altri formati passati.
Se non altro perché l’enorme successo del formato PS/2 ha creato il bisogno di mantenerlo per ecosistemi più datati ed una scorta di mercatino dell’usato che difficilmente sarà smaltita in tempi brevi.
Intanto resta un problema: se mi trovo un vecchio computer “orfano”, cosa posso fare?
Fortunatamente la scienza moderna ha prodotto adattatori: il citato mouse 1351 per il Commodore 64 ormai ha prezzi elevatissimi. Se ne avete uno funzionante, potete rifarvi dei 50$ dell’epoca, ma se non lo avete potete usare un adattatore Micromys o mouSTer per usare rispettivamente un mouse PS/2 o USB al suo posto, e col secondo adattatore risolverete anche i bisogni di molti altri dispositivi con la porta tipo DB9.
Per dispositivi con la tastiera incorporata abbiamo già visto la Mechboard per il Commodore 64, tastiera meccanica con switch moderni, ma è anche possibile acquistare nuove tastiere meccaniche per un Apple II, progetti per usare un Arduino per connettere tastiere moderne ad un Apple LISA, adattatori per usare tastiere del formato AT sui precedenti PC compatibili col formato XT, adattatori per usare una tastiera PS/2 su un più antico Tandy 1000 e kit per costruire la propria tastiera meccanica nuova per un PET.
L’elenco potrebbe andare avanti e va anche nel senso opposto: ad oggi nei negozi ci sono adattatori per collegare mouse e tastiere PS/2 (come detto ancora disponibili in grande abbondanza) a computer moderni e c’è chi si è imbarcato nell’impresa di usare mouse e tastiere Macintosh vintage sul proprio moderno Macbook per un solo motivo: “perché poteva farlo”.
Ovviamente, sono tutti esperimenti interessanti da fare per sfizio: ma sappiate che insistere per adattare vecchie tastiere e mouse a computer nuovi, per quanto possa tacitare la vostra sete di retrocomputing, potrebbe togliere ad altri collezionisti una scorta di ricambi già in costante riduzione, e non siamo sicuri ne valga la pena.
Ancora più ovviamente, se avete già una vecchia tastiera vintage, siete liberi di fare quello che volete, nessuno l’ha mai messo in discussione.
Mentre però per l’uso dei CRT è innegabile che un monitor catodico restituisca un’esperenza visuale più simile ai propri ricordi, il fattore nostalgia in vecchie tastiere e mouse sembra essere più sfumato e tattile: non cambia tanto la fruibilità, cambia provare le sensazioni tattili che provavi all’epoca, usando dispositivi magari meno ergonomici ma carichi di ricordi.
Tutti pazzi per la tastiera meccanica e il mouse da gaming
Abbiamo visto il retrogamer scoprirsi a desiderare il monitor CRT ora che non può più averlo. Abbiamo visto mezzi per collegare vecchie tastiere e mouse a computer moderni (e viceversa).
Scopriamo ora invece che i principali produttori di tastiere da gaming vendono, anche per prezzi elevati, tastiere concettualmente simili a quelle degli anni 80, ancorché migliorate.
Una tastiera meccanica “80%” (o “Tenkeyless”, “Senza tastierino numerico”) è sia un viaggio indietro nel tempo che un viaggio nel futuro. Gli switch meccanici inizialmente scartati per la loro rumorosità diventano ora garanzia di affidabilità e sicurezza.
Il rumore da “dattilografo a mitraglia” che infastidiva i nostri antenati adesso diventa in alcune community un vanto di onore. La tastiera deve “fare thock!”, ovvero deve avere una sonorità tale da ostentare l’elevata qualità costruttiva e robustezza, consentendoti a “orecchio” di capire che non sei di fronte ad una tastiera a bolle o che gli switch stanno facendo il loro dovere e i tasti “lunghi” (barra spaziatrice, invio, shift) non traballano sugli stabilizzatori.
Con buona ragione: un “gamer” accanito può arrivare a distruggere una tastiera a bolle o usurare i delicati meccanismi di plastica di una tastiera a forbice, logorare i tasti più usati fino a cancellarne i caratteri e “sbalestrare” i delicati meccanismi di un mouse.
Un accanito dattilografo può consumare diverse tastiere nella sua vita: chi vi scrive è alla terza tastiera da quando è entrato nel team di Bufale nel 2014, di cui la terza è una tastiera meccanica proprio per questo motivo, e la seconda ha diverse “bolle” visibilmente sfondate.
Un accanito gamer non è diverso dal dattilografo di un tempo: una buona tastiera per lo scrivano o il commercialista da ufficio significava ridurre i tempi di lavoro e i dolori alle mani. Una buona tastiera per un gamer può fare la differenza tra vittoria e sconfitta, o almeno tra dolorini e dolori.
La “tastiera da gaming 80%” moderna non ha il tastierino numerico, nuovamente percepito come “una cosa da ragionieri” (ma è possibile trovarne in commercio anche 100%, con tutta la gamma di tasti), ed ha switch meccanici di vario tipo, distinti tra tattili e lineari.
Lo switch “lineare” è il più silenzioso (ancorché sempre dall’iconico rumore), si attiva “a corsa piena”, quindi premendo il tasto fino in fondo, ed è il più adatto per chi vuole una tastiera più silenziosa o, meglio, per chi si dedica al gaming intenso, avendo movimenti consistenti col più frenetico dei videogiochi, mentre il più rumoroso switch “tattile“, che fornisce attuazione ed una sensazione di “click” già durante la corsa è maggiormente adatto al dattilografo che vuole “sentire” la tastiera attivarsi sotto le dita e vuole aumentare la sua velocità di battitura.
Le tastiere meccaniche moderne hanno spesso (ancorché non sempre) luci RGB colorate a renderle retroilluminate per le condizioni di gioco più intense o per la salute degli occhi durante sessioni di dattilografia prolungata e la possibilità di cambiare i singoli tasti, in blocco per rinnovare l’aspetto della tastiera o singolarmente per un aspetto personalizzato o per evidenziare i tasti più usati nel gaming, ad esempio il popolare sistema WASD, che consentiva nei primi FPS come Quake di usare la mano dominante sul mouse per controllare la telecamera di gioco e l’altra mano sulla tastiera per controllare il movimento.
Ma anche il meccanico attuale è un nipote del meccanico d’epoca. Ci sono switch di diversi tipi, kit per lubrificare quegli switch dando loro maggior durata e affidabilità, tastiere che rendono possibile sostituire gli switch senza dissaldarli e kit di montaggio elevatamente personalizzabili con uno tra gli ormai infiniti switch dei vari tipi presenti sul mercato, gusci con ammortizzatori e spugne ed ogni accessorio possiate sognare.
C’è stato un periodo negli anni ’70 in cui il “vero affezionato” doveva di fatto costruire la sua tastiera come rito di passaggio. C’è stato un lungo periodo in cui la tastiera era già lì pronta ad attenderlo, e, ironicamente, toriamo in un’epoca in cui assemblare la propria tastiera da un kit diventa un marchio di onore.
Se la tastiera torna ad essere meccanica, ma diventa brillante e luminosa, anche il mouse non può esimersi dal fare il suo ingresso nel futuro: certo non tornerà alla palletta o alle ruote, ma il mouse odierno diventa luminoso, con possibilità di regolarne il peso e la sensibilità e pluriaccessoriato con pattini adesivi, tappetini di diverse lunghezze ed anche essi con luci e “ponti” per tenere il cavo lontano dalle dita.
Come anticipato c’è chi continua a produrre la leggendaria Model M nel modo più simile alle forme originali: si tratta di Unicomp, che tutt’ora produce l’iconico modello col numero minimo di derivazioni, donandoti una tastiera meccanica senza lucine e lucette, ma solida come quel solido set che avevate negli anni ’80 e ’90.
Comprare una tastiera ed un mouse ieri ed oggi
Immaginiamo quindi di essere un utente medio negli anni ’80 e ’90. Dovevi comprare mouse e tastiera. Probabilmente ti saresti accontentato di “quello che passa il convento”.
Ad essere un utente più preciso ti saresti presentato in negozio con una precisa indicazione del formato che ti serviva: più avanti negli anni ’90 ti saresti regalato dei colori e delle forme particolari.
Probabilmente i primi tentativi di “tastiera ergonomica” come la “Microsoft Natural Keyboard” del 1994 (antesignana delle attuali tastiere ergonomiche Sculpt ed Ergonomic), assai più spesso tastiere colorate, o le prime tastiere coi nascenti “tasti multimediali” per controllare il volume ed altre funzioni di Windows.
Oggi invece dipende tutto dalle tue pretese: hai tastiere per tutte le tasche. Puoi accettare tastiera e mouse venduti col tuo PC, oppure farti un giro nelle catene di elettronica per comprare tastiere di bassa o mediogamma.
Oppure entrare nel vortice delle tastiere meccaniche e spendere somme di denaro dal centinaio fino ai 300 euro e passa per scegliere i propri switch, i propri accessori e dedicarsi a lubrificare, installare e verificare la propria tastiera tasto dopo tasto, per l’emozione di essere più competitivo nei giochi di domani, ma vivendo come nel 1970 circa dove tuo era l’onere, la gloria e la fatica di montare il tuo perfetto setup.
Ovviamente, più si sale coi costi più la tastiera e il mouse diventano oggetto del desiderio essi stessi: non era infrequente in passato cestinare un computer, il suo mouse e la sua tastiera assieme.
Oggi difficilmente dopo lo sforzo di aver assemblato la propria tastiera meccanica, o dopo aver speso dai cento euro in su per una tastiera meccanica di buona qualità precostruita si getterebbe via la stessa: non è infrequente che cambiato o aggiornato il PC, tastiera e mouse restino lì, saldamente al loro posto.
Più si va avanti nel tempo, più ci sembra di vivere ieri.
Ed anche questo è sia computing che retrocomputing.
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