C’era una volta la cartuccia, ed era il media più conosciuto

di Shadow Ranger |

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C’era una volta la cartuccia, ed era il media più conosciuto Bufale.net

Abbiamo parlato un numero fa degli antenati di Nintendo Switch, e tutti avevano qualcosa in comune: l’uso della cartuccia. Per buona parte della storia dei videogames infatti il modo principale per comprare un nuovo gioco era averlo su cartuccia.

La prima cosa che viene in mente pensando all’Atari VCS, oltre ai suoi scomodissimi joystick sono proprio le cartucce. La prima cosa che viene in mente pensando al NES sono le cartucce su cui soffiare quando si bloccavano (come ricorderemo, una nota leggenda metropolitana).

Praticamente fino all’arrivo delle cassette per il Commodore 64 gioco era sinonimo di cartuccia, ed anche dopo ci sono voluti i floppy disk dei PC Compatibili ed i CD della Playstation per scalzare le cartucce dal loro trono, anche se tutt’ora, anche se in una forma assai semplificata rispetto al passato, sono il medium di elezione di Switch e Switch 2.

E, in un certo senso, ogni scheda di espansione sul PC è una strettissima parente delle cartucce, se non legata alla stessa modalità di funzionamento.

Ma andiamo con ordine.

Le antenate delle cartucce: le schede di gioco

La prima generazione non aveva cartucce: il Magnavox Odyssey veniva venduto con “schede gioco” che di fatto “ponticellavano” i diversi generatori di logica e segnale per modificare input ed output, una sorta di “programmazione meccanica al volo”.

Non c’erano suono, né possibilità di “salvare” il gioco o tenere traccia di punteggi e affini, e neppure colori. Il Magnavox Odyssey fu venduto da Magnavox,con 27 giochi su 12 schede, di cui una scheda spedita a chi avesse compilato un sondaggio e schede “omaggio” coi vari tipi di controller.

Schede gioco del Magnavox Odyssey, poco più che ponticelli a catena

Schede gioco del Magnavox Odyssey, poco più che ponticelli a catena

Sostanzialmente le “schede gioco” non avevano alcuna logica: mettevano in contatto alcune piste consentendo di indicare alla console quali componenti attivare per disegnare determinate immagini.

Di fattto non erano cartucce, funzionalmente, agli occhi del giocatore, facevano quello che ora sappiamo fa una cartuccia: spegni la console, cambi la scheda, accendi la console, il gioco è cambiato.

La nascita delle prime cartucce

Le cartucce sono un lascito della seconda generazione di console, anzi, il punto che la definisce.

Ne parlammo quando Google, con una grossolana semplificazione che rasenta l’errore, decise di attribuire la nascita delle cartucce al solo Jerry Lawson, con tanto di Google Doodle dedicato.

La storia delle cartucce comincia da Wallace Kirschner e Lawrence Haskel, dipendenti di una piccola azienda chiamata ALPEX.

Nel 1960 accade che AMF, un acronimo traducibile con “Fonderie e macchinari Americani”, si occupava di creare tabelloni da Bowling, entrando nel mondo dell’informatica con nuovi sistemi per tracciare i punteggi in modo individuale.

Nel 1969, a causa degli effetti di un trasferimento aziendale, parte degli impiegati di AMF decidono di “mettersi in proprio” e restare in Connecticut. Norman Alpert fonda così Alpex Computer Corporation, che come abbiamo visto fallirà l’ingesso nel settore Business, già colonizzato dai produttori stabiliti.

L’arrivo dei primi microprocessori commerciali, come Intel 4004, apre la porta all’idea di avere non solo come nella prima generazione di console un singolo videogame o una console “già programmata” da ponticellare, ma veri computer su cui far girare software da vendere.

Wallace Kirschner propone così ad Alpert l’idea di una console dedicata a più videogiochi che l’utente potesse cambiare liberamente.

Immagine del Fairchild F

Immagine del Fairchild F

Alpex assume Lawrence Haskel, ingegnere software per aiutare nel progetto, e tutti assieme cominciano a pensare al RAVEN (“Remote Access Video Entertainment”, “Intrattenimento con accesso video remoto”), console di gioco/computer dedicata a programmi distribuiti da Alpex che così avrebbe potuto profittare non sulla cartuccia ma sul gioco.

Kirschner e Haskel cominciano a pensare ad un supporto per distribuire i giochi: le schede perforate erano troppo fragili e troppo poco performanti, i nastri magnetici e i floppy disk ancora troppo costosi e limitati: verranno usati, superata le limitazioni, non prima della Terza Generazione, col VIC20 (in parte), il Commodore 64, l’Apple II e il Famicom Disk System.

Il nastro magnetico fu ritenuto inadeguato, il floppy aveva costi ancora troppo proibitivi: l’idea base fu distribuire delle EPROM, piccoli circuiti di memoria.

Ma immaginate il ragazzino medio alle prese con un piccolo integrato dall’aspetto di un parallepipedo nero con tante zampine metalliche fragilissime da togliere e rimettere: sarebbe stato un disastro di EPROM danneggiate e restituite incolpando il produttore.

Haskel e Kirschner decisero di saldare la EPROM su un circuito stampato e avvitare il circuito stampato su una graziosa scatola di plastica, arrivando così al primo elemento fondante della cartuccia: l’involucro.

Arriva il Fairchild F (e la cartuccia moderna)

Haskel e Kirschner avevano idee e non avevano soldi.

Fairchild Semiconductor International Inc. aveva denaro, interesse ed un abilissimo programmatore e ingegnere, il citato Jerry Lawson, brillante creativo che aveva costruito nel suo garage un arcade, Demolition Derby ed era diventato la punta di diamante della ditta.

Tutti assieme riuscirono a convertire il RAVEN nel Fairchild F, la prima console a cartucce commercialmente diffusa nella storia e araldo della seconda generazione.

Il nuovo team si arricchisce dell’ingegnere Ron Smith, che introduce nel team Nick Talesfore, designer industriale. In quanto designer Talesfore decide che lo scopo della cartuccia non deve essere solo la funzionalità, ma la bellezza.

Si guarda intorno e decide di ispirarsi ai nastri a 8 Tracce, dove il nastro veniva custodito da una rigida custodia (come indicato da Haskel), ma essa stessa un oggetto di design colorato e illustrato, facile da estrarre e manipolare, munito di etichette colorate disegnate dall’illustratore e artista Tom Kamifuji allo scopo di colmare il divario tra la povera grafica di una console di seconda generazione e l’immaginazione del piccolo giocatore.

Cartucce del Fairchild F

Cartucce del Fairchild F

Abbiamo quindi le cartucce del Fairchild F: involucri di plastica gialla con sgargianti etichette colorate (una sul frontale, una sul dorso superiore), custoditi in scatole di cartone per la vendita con immagini ispirate ai giochi.

Il meccanismo era lo stesso del regisratore a 8 tracce: cerchi la cassetta che vuoi tu nella tua collezione, la inserisci nel lettore, godi del prodotto. Il guscio colorato e solido rende possibile anche ai bambini più goffi o con le dita sempre sporche di merendine e bibite di interagire con la cartuccia senza rovinare il delicato contenuto.

La cartuccia può cadere per terra, anche incrinarsi e funzionerà lo stesso, purché i contatti tra console e cartuccia funzionino.

L’evoluzione successiva: Atari, Commodore, Nintendo

Tutta la seconda generazione adotterà le cartucce: il ColecoVision, ma anche l’Atari VCS, il più famoso esemplare della sua generazione, e Commodore e Nintendo, araldi invece della generazione successiva, nonché SEGA.

Altri produttori si spingeranno nel ricordarsi i vantaggi delle cartucce: una cartuccia è, di fatto, un PCB con una memoria flash caricata direttamente dalla console, ma possono esservi anche espansioni connesse alla console stessa, esattamente come una moderna scheda di espansione su un computer.

Già con l’Atari VCS Pitfall II – The Lost Caverns introdusse il DPC, “Display Processor Chip”, creazione di David Crane che espandeva le capacità della console rendendo Pitfall II in grado di caricarsi con suono e immagini superiori: il successore del VCS, l’Atari 7800 ebbe due giochi, Ballblazer e Commando, muniti di un chip audio potenziato, il POKEY, per migliorare il suono.

Cartuccia Atari 2600

Cartuccia Atari 2600

Il VIC20 e il suo immediato successore, la MAX Machine (predecessore direto del Commodore 64) godettero al lancio di una serie di giochi prodotti da HAL Laboratories, riconoscibili perché in Giappone avevano confezioni coloratissime (in Occidente meno affascinanti) e l’enorme vantaggio di accelerare i tempi di caricamento e consentire di superare i limiti della carente memoria RAM di VIC20 e MAX Machine dando accesso diretto alle memorie già nella cartuccia.

Caricando da Floppy o Datassette, dovevi accontentarti dei pochi Kb di memoria disponibile: la memoria su una cartuccia non era un problema, ed anzi Commodore vendette anche cartucce per il VIC20 contenenti espansioni di memoria da utilizzare.

Commodore mise in pausa la cartuccia come strumento di elezione per la distribuzioni giochi grazie al Commodore 64: con 64Kb di RAM di cui 39 circa usabili da programmi in BASIC (il VIC20 si fermava a 3,5, MAX Machine aveva 2Kb di RAM in tutto e non poteva essere usato senza cartucce), floppy e Datassette divennero di nuovo utilizzabili.

Cartuccia per VIC20

Cartuccia per VIC20

C’era abbastanza RAM per caricare i giochi più pregiati anche senza scomodare espansioni come la REU 1764, anche essa distribuita su cartuccia, e lo slot cartuccia divenne il luogo dedicato all’installazione semipermanente di cartucce cheat come Action e Retro Replay e della Fastload, cartuccia in grado di velocizzare i tempi di caricamento dei floppy.

Fu proprio una cartuccia, la “Cartuccia CP/M” che consentiva al Commodore 64 di caricare il CP/M ma smise di funzionare dopo il primo lotto di esemplari Commodore a stimolare la creazione del Commodore 128, o quantomeno a portare alla sua forma attuale.

In Oriente, Nintendo e SEGA continuarono a servirsi abitualmente delle cartucce.

Il FamiCom offrì sin dall’inizio la possibilità di usare cartucce colorate come quelle a cui ci aveva abituato Alpex/Fairchild, che però nella versione Occidentale divennero assai più grosse.

Una costante leggenda metropolitana per malfidati vuole Nintendo aver provato a ingannare e “truffare” l’acquirente facendogli pagare cartucce sostanzialmente vuote: ci ritorneremo, ma questa leggenda era vera solo in parte.

Le cartucce del NES sono in parte vuote, in molti casi PCB del Famicom con un adattatore inserito nel guscio, ma lo scopo era impressionare il pubblico occidentale col caricamento frontale, in stile VHS, rendendole ergonomiche per un pubblico di ragazzini che avrebbero dovuto inserirle maneggiando un sistema di inserzione complesso e utile non al caricamento (sono esistiti sia il NES con carica frontale che un NES con carica dall’alto) ma ad una certa ergonomia ed esperienza tattile di utilizzo.

Cartuccia per NES

Cartuccia per NES

In Giappone si proseguì con l’aggiunta di chip sulle cartucce per espandere le capacità del FamiCom, come la versione Giapponese di Castlevania III, con un chip audio aggiuntivo.

Cartuccia Famicom

Cartuccia Famicom

In Occidente si preferì non incorporare simili aggiunte: le cartucce occidentali furono però fornite di un “lockout chip”, un chip di protezione per impedire il caricamento di giochi non autorizzati da Nintendo, allo scopo di prevenire la deriva affrontata da Atari in passato dell’invasione di giochi di terze parti dalla qualità infima.

SEGA invece divise la sua vendita tra Cartucce e Schede di gioco: le schede erano “mini cartucce” più economiche, con giochi meno bisognosi di spazio e nel 1985, mentre Nintendo giocava col suo Floppy Disk System, SEGA provò a munire le schede di memorie riscribili EEPROM che potesseroe essere programmate in appositi chioschi, senza ottenere troppo successo.

Le schede SEGA potevano essere usate sul SG-1000/3000 e sul Master System: furono rimosse nel Master System II, la versione economica del Master System.

Interno delle cartucce per NES

Interno delle cartucce per NES

Anche console portatili come tutte le generazioni del GameBoy e il GameGear utilizzarono cartucce: da principio nelle cartucce non potevi salvare. Dovevi finire il gioco in una soluzione unica, o inserire delle password per sbloccare i livelli già superati, ma proprio con la Terza Generazione furono introdotte cartucce in grado di salvare.

Legend of Zelda ad esempio aveva delle istruzioni che invitavano a salvare il gioco tenendo premuto il tasto di reset in caso di spegnimento (per una serie di questioni tecniche risolte in cartucce successive: il salvataggio era una novità in quel periodo, e bisognava “forzare” la console a non scrivere istruzioni nell’area di salvataggio), e le cartucce di Pokémon fino al Nintendo DS avevano batterie per il salvataggio saldate sul PCB e inclini a scaricarsi dopo un decennio o giù di lì cancellando i ricordi di Millennials e X.

Alcune cartucce denoteranno una creatività di base: “Boktai”, per GameBoy Advance, sarà venduto su cartucce con un sensore luminoso che consente di combattere i vampiri del gioco usando la luce solare del mondo reale, e le console Nintendo vedranno accessori come telecamere, stampanti e persino sensori di glucosio per diabetici collegati allo slot cartuccia, ma anche sistemi per controllare le centraline di automobili e scooters.

Ascesa e declino (ma non trapasso) delle cartucce

Le cartucce continuarono ad esistere per diverso tempo: al loro apice persino un IBM Compatibile, il Pc Jr., aveva ben due slot cartucce da usare per varie applicazioni, che però scomparirono dal suo clone migliore e di più grande successo, il Tandy 1000.

Sopravvissero nelle console di gioco: anche Nintendo SNES e SEGA Mega Drive usavano cartucce, e giochi come Starfox in Occidente portarono la gioia di cartucce con espansione incorporata, come il sistema SuperFX per avere una resa grafica se non 3D pseudodimensionale ignota per l’epoca.

La Game Card SEGA

La Game Card SEGA

Successe però che come l’aggiunta di RAM maggiorata, floppy disk e dischi rigidi sui computer aveva limitato l’efficacia delle cartucce, i supporti ottici come i CD resero immediatamente disponibili vaste quantità di dati a prezzi accessibili.

SEGA saltò sul treno del MegaCD, espansione CD per il Sega Mega Drive, e col Saturn relegò le cartucce all’uso come espansioni di memoria mentre i giochi venivano distribuiti su CD.

Il disco ottico, l'avversario principale delle cartucce

Il disco ottico, l’avversario principale delle cartucce

Come abbiamo visto, anche Nintendo cercò allo stesso modo di creare un lettore CD per il SNES per poi sviluppare la sua prima console con sistema ottico: la cosa fallì tragicamente consentendo a SONY di creare la prima Playstation.

Nintendo passò la quinta generazione al palo delle cartucce: Yamauchi, l’allora CEO, dichiarerà che le cartucce erano ancora il mezzo superiore, difficili da piratare e in grado di caricare dati più velocemente.

A parte la questione della pirateria, dato che tutti ricordano le varie modifiche, interne ed esterne, per caricare CD masterizzati in casa o comprati dai bagarini sulla PlayStation, la storia proverà che Yamauchi aveva torto, e Nintendo rimase l’unico “fossile” al palo delle cartucce fino al GameCube, quando sposò i supporti ottici.

Collezione di cartucce: Game Gear, Game Boy, Switch, Game Boy Advance, SEGA Master System, 3DS, DS

Collezione di cartucce: Game Gear, Game Boy, Switch, Game Boy Advance, SEGA Master System, 3DS, DS

I sistemi portatili restarono però legati alle cartucce: il Nintendo DS abbiamo già visto aveva al lancio sia accesso alle cartucce del GameBoy Advance che sue nuove cartucce, SONY prenderà una piccola sbandata con gli UMD, piccoli dischi ottici rinchiusi in cartucce di plastica per poi usare direttamente le cartucce sulla PSVita, ultima console standalone portatile della casa.

Le cartucce torneranno in una console fissa quando Nintendo Switch, ibrido portatile-fisso di Nintendo, erediterà il sistema a cartucce del 3DS, ma praticamente dai tempi del DS.

Le cartucce oggi: un ritorno al passato

Le cartucce prodotte per Nintendo DS/3DS e Switch sono di fatto un ritorno al primo prodotto Alpex: le Nintendo GameCard della Switch sono di fatto memorie flash su un PCB coi contatti per essere lette dalla console.

Alcuni giochi per DS e 3DS, come ai tempi di NES e SNES, incorporavano alcune funzioni peculiari, ad esempio un sensore a infrarossi in Pokemon OroCuore/AnimaArgento per caricare un animaletto virtuale in un contapassi abbastanza preciso e simpatico da usare, ma tale funzionalità è andata del tutto persa.

Interno di una cartuccia per Master System

Interno di una cartuccia per Master System

Anche le cartucce della PSVita di fatto erano schede di memoria: un’evoluzione successiva saranno le “Passkey” della Switch 2, che neppure contengono il gioco ma una “licenza virtuale” che consente di scaricare il gioco e usarlo.

Il cerchio si chiude: in Prima Generazione le “Schede gioco” erano ponticelli da inserire per sbloccare giochi già “fisicamente” nella console, almeno in qualche modo.

In Nona Generazione le Passkey sono schede che consentono di sbloccare un gioco che hai pagato ed installato nella memoria della console.

Leggende metropolitane sulle cartucce

Come abbiamo visto, molte cartucce erano “più grandi all’esterno”: per questione di praticità, stabilità meccanica, o semplicemente per essere usate in sistemi di aggancio percepiti come “lussuosi” e “di pregio”

Un mito pervasivo dichiara che le cartucce smettono di funzionare perché si accumula la polvere e soffiando esse si rianimino: in realtà quello che impedisce il corretto contatto è uno strato di ossido che tende a formarsi nel tempo e può essere rimosso con un cottonfioc imbevuto di alcol o una gomma da cancellare, preferibilmente dopo aver smontato la cartuccia per un accesso rapido.

Cartuccia per Game Boy aperta. Notare la batteria

Cartuccia per Game Boy aperta. Notare la batteria

Soffiare nelle cartucce è un gesto inutile: quello che “riattiva” le cartucce sono i continui tentativi di inserire la cartuccia nello slot, che sgrattano l’ossido oppure consentono di inserirla in quell’angolo “perfetto” in cui piedini e morsetti fanno ancora il contatto necessario.

Anzi, la saliva può generare un ambiente umido che accelera la formazione di umidità.

Manutenzione delle cartucce – Rimpiazzi moderni

Come abbiamo visto, molte cartucce contengono batterie usate per il salvataggio: munirsi di un buon saldatore e imparare a dissaldare aiuta a riattivare la possibilità di salvare correttamente i propri giochi.

Si può provare ad operare la cartuccia “a cielo aperto”, connessa ad una console per non perdere il salvataggio, oppure acquistare appositi kit per salvare su computer i salvataggi e reintegrarli prima del cambio.

Immagine "un po' amatoriale" delle confezioni Master System

Immagine “un po’ amatoriale” delle confezioni Master System

Cartucce per dipositivi vintage possono essere sostituite da particolari “cartucce emulatore”, di cui abbiamo parlato, che consentono di caricare diverse immagini di giochi con relativi salvataggi.

Ne esistono recentemente anche per la Switch: ma in questo caso sono un biglietto di sola andata per essere bannati dai servizi online.

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