Solo la settimana scorsa abbiamo parlato del disco rigido: il floppy disk, o “disco floscio” (la traduzione letterale) deve ogni cosa al suo diretto antenato, anche il nome.
Ma per un certo periodo, il floppy disk fu onnipresente in tutte le case e piccoli uffici, anche dove il disco fisso non poteva entrare per limiti di costo e dimensione. E poi divenne un simbolo.
E poi, come tutti i simboli, divenne un martire: nel vostro computer c’è ancora un “Disco C”, sia esso un HDD o un SSD, ma il disco floppy esiste solo sottoforma dell'”icona di salvataggio”.
Un eco lontano di qualcosa che ha accompagnato il suo padre nobile, l’ha anticipato nelle nostre case per poi, ad un certo punto della storia, scomparire dopo avergli preparato il terreno.
Il primo disco fisso della storia, abbiamo visto assieme, fu l’IBM RAMAC del 1956. Nel 1967 sempre IBM decise di affrontare due dei problemi più grandi del disco fisso: essere enorme e scarsamente portatile.
Il RAMAC aveva enormi vantaggi su qualsiasi cosa esistente prima: al contrario dei nastri perforati non dovevi scorrere metri e metri di nastro per trovare il dato che cercavi, al contrario del nastro magnetico non dovevi mandare un nastro avanti e indietro.
Ma aveva l’enorme difetto di essere grosso come due frigoriferi e così antieconomico che IBM doveva affittarlo agli interessati e non venderlo. Nel 1967, mentre i dischi fissi continuavano ad evolversi, IBM decise che sarebbe servito qualcosa di simile per caricare programmi sui suoi computeri.
Si diede un budget impossibile: il lettore doveva costare 200 dollari dell’epoca, il medium 5 al massimo.
Un team guidato da Alan Shugart, lo stesso di Shugart Associates e Seagate, futuri principali produttori di hard e floppy disk, tirò fuori dal cilindro l’unità IBM 23FD Floppy Disk Drive System, per gli amici: Minnow.
Il Minnow leggeva dischi da 8 pollici e circa 80Kb di spazio: una piccola frazione anche dei “quasi quattro mega” dei primi Dischi Fissi, ma decisamente meglio di niente.Al principio, il floppy disk era solo un dischetto di materiale magnetico floscio, ma ditate e sporcizia lo avrebbero devastato: quasi immediatamente il floppy disk assunse il suo aspetto moderno o quasi, quantomeno quello a cui siamo abituati nei ricordi.
Un contenitore flessibile quadrato di plastica contenente un disco altrettanto flessibile.
Il Minnow era di sola lettura: leggeva floppy scritti da una unità gemella, il Mackerel.
Shugart decise che un’unità in grado di fare ambo le cose avrebbe popolarizzato il floppy: creò quindi il Memorex 650 nel 1972, anno in cui peraltro non lavorava più da IBM ma da una ditta che sarebbe diventata uno dei principali attori del mercato del floppy disk.
Il Memorex 6500 poteva contenere oltre il doppio del suo avo, 175 kB, con 50 tracce e 8 settori per traccia, indicati in modo hardware, da forellini nello strato magnetico.
Al Memorex si deve un altro vantaggio: stimolò IBM a tornare nell’agone creando il 33FD “Igar”, sua prima unità floppy che fosse anche in grado di scrivere, sostituendo così per i consumatori le schede peforate con floppy disk da 8 pollici da ben 250Kb.
Molto di più del floppy Memorex, ma estremamente più capiente, efficiente e rapido dei nastri e delle schede perforate, che Igar di fatto contribuì a rendere obsolete.
Nel 1976 Shugart si mise in proprio con Shugart Associates, creando l’SA800, prima unità araldo del form factor moderno di tutte le unità floppy, stimolando IBM alla rincorsa con unità da 500Kb e da un megabyte.
Salvo piccoli aggiustmenti, come passare da un’unità floppy costantemente attiva collegata alla corrente alternata (quindi dipendente dal tipo di corrente presente nella località d’uso) ad una alimentata da corrente diretta, il prossimo passo erano le dimensioni..
Una nota leggenda metropolitana volle An Wang dei Wang Laboratories invitare al bar Jim Adkisson e Don Massaro di Shugart Associates per chiedere un floppy grosso come un fazzoletto da bar.
Questo incontro non avvenne mai: 200$ dell’epoca erano comunque troppi per l’utente medio e An Wang, produttore di macchine da scrivere elettroniche, aveva bisogno di un’unità di memoria che costasse quantomeno la metà e non fosse più grossa della macchina da scrivere suddetta, che a sua volta aveva il fattore di forma che in futuro avrebbe avurto un computer trasportabile, ovvero una grossa valigetta o un bagaglio a mano da aereo.
Si arrivò così allo Shugart SA-400, interfaccia da 34 pin, venduto a 400$ (più di quanto richiesto da Wang per i suoi esemplari comunque) e con pacchi da dieci floppy per 60$.
Tempo 2 anni e Shugart Associates si trovò addosso la concorrenza di diversi produttori del nuovo standard: Shugart si spostò alla ditta che sarebbe diventata Seagate per produrre hard disk, e il mercato dei lettori floppy si arricchì di produttori come Tandon (per IBM) e Alps (prediletta da Apple, usata anche nei lettori Commodore assieme alle meccaniche Mitsumi e Newtronics).
Nel momento di munire l’Apple II di floppy, Steve Jobs, all’epoca non un miliardario eccentrico ma un eccentrico giovane di molte speranze, affidò al partner commerciale e ingegneristico Steve Wozniak il compito di lavorare sulle unità Shugart.
Wozniak “risolse” il problema chiedendo unità Shugart SA-400 con la sola parte meccanica: ne ottenne di difettose, apparantemente nessuno a Shugart Associates pensava ache Apple sarebbe riuscita nel suo intento, ma Wozniak ci riuscì: per 500 dollari circa compreso il controller, l’Apple Disk II fu uno dei lettori più economici della storia.
Ben più costoso fu il Commodore 1540, diventato poi il 1541 quando la sua ROM fu adattata per l’uso dal VIC-20 al Commodore 64. Commodore aveva preso, abbiamo visto, una via diversa.
Il PET usava lettori, come il Commodore 8050, basato su meccaniche Tandon, Micropolis, Microp Safari o MPI: il 1540/1541 su meccaniche ALPS, Mitsumi e Newtronics (quello che si riusciva a trovare).
Il 8050 e successori per il PET usavano una connessione parallela, il 1541 una seriale: ma entrambi erano di fatto computer indipendenti con una loro RAM e processore in grado di elaborare il contenuto del floppy e “inviarlo” via seriale al computer, cosa che ne elevava di molto il prezzo e consentì a home computer come il Commodore 64 di fruire del floppy drive anche se nati per memorie di massa più umili come il Datassette.
Più dell’otto pollici, il 5 1/4” divenne ubiquitario: tutti ricorderanno aver avuto in mano un floppy Verbatim, 3M o Kodak ad esempio. La prima, ditta un tempo nota per essere la stessa Information Terminals Corporation che aveva rivoluzionato il mondo dei floppy proponendo di custodire in gusci flessibili con un po’ di stoffa dentro il prezioso dischetto magnetico.
A questo punto della storia un floppy disk da 5 1/4” a Doppia Densità aveva una dimensione massima di 180Kb per faccia: essa poteva essere raddoppiata con lettori a doppia faccia, con due testine che leggevano contemporaneamente i due lati del floppy, o con l’uso del “flippy” disk, ovvero girando a mano un floppy a doppia faccia per usare entrambi i lati (non contemporaneamente, ovviamente) su un lettore.
Gli utenti più smaliziati si accorsero che in realtà la differenza tra un DD a doppia e singola faccia era essenzialmente la certificazione del produttore e poco altro, nonché il blando suggerimento di evitare il “fai da te” per evitare che la polvere entrata nella custodia girasse in due sensi diversi.
Dato che il lettore floppy usava un sensore basato su una “tacca” intagliata nel floppy disk per sapere se nel drive c’era un floppy scrivibile (tacca aperta) o non scrivibile (tacca sigillata o richiusa con un adesivo), e che ovviamente il floppy certificato per la faccia singola aveva una sola tacca, sul mercato domestico si diffusero i disk notcher, o taglierine per dischi.
Si trattava di piccole bucatrici in grado di effettuare il buco quadrato richiesto e allinearlo con una dima interna: ma nulla impediva all’utente con meno disponibilità o più incline ai fai da te di usare una normale bucatrice a fori tondi, un taglierino e un righello o un foglio di carta millimetrata o un paio di forbici dritte da sarto (o per coloro sicuri della propria manualità, normali forbici da ufficio).
Per buona parte dell’era Commodore il formato più comune era il Doppia Densità, “Doppia Faccia fatto in casa” comprando un singola faccia per dedicarsi all’arte del traforo libero.
Presto anche i produttori di programmi italiani passarono dal Floppy Disk (sia pur conservando una maggiore percentuale di “giochi in cassetta da edicola”, come visto), con istruzioni un po’ ingenue e assurde come, in caso di malfunzionamento a causa del floppy disk maltrattato e spiegazzato per essere stato esposto in una rivista incellofanata, di provare prima di restiuirlo a piegarlo sul comodino e sbatacchiarlo per raddrizzarlo in maniera amatriciana.
Il punto debole del floppy disk a 5 1/4” era proprio questo, la sua flessibilità che lo rendeva gracile.
Nel passaggio al mondo PC, il formato HD consentì al floppy disk da 5 1/4” di sopravvivere arrivando fino a 1,2Mb. IBM introdusse il formato HD nel 1984: se computer come il Commodore 64 e 128 restarono al palo del DD, i PC IBM profittarono del nuovo formato, cosa che creò un ulteriore problema in quanto le differenze nelle qualità magnetiche dei due formati rendevano quantomeno “instabili” i tentativi di usare i diversi tipi di floppy in diversi tipi di lettori.
Dal punto di vista tecnico i floppy disk da 5 1/4” furono sconfitti solo dall’arrivo di Windows 95, venduto su CD o su pacchetti di floppy da 3 1/2”: per aver la versione su floppy da 5 1/4” avresti dovuto comprare una delle due versioni disponibili e richiedere il media mancante a parte con un apposito coupon.
Nonostante questo, come vedremo nel finale, alcune amministrazioni hanno continuato a comprare lettori e floppy finché ciò è stato disponibile.
Il floppy che associamo più spesso all’unità è l’ultimo arrivato.
Abbiamo visto esperimenti in tal senso come il Mitsumi Quick-Disk, usato in Giappone per gli MSX ed in una versione rimarchiata per il Nintendo Famicom Disk System.
Ma fu quando Microfloppy Industries Commitee, un consorzio di produttori floppy, adottò e modificò un formato introdotto l’anno prima, che nel 1982 apparì sul mercato il floppy moderno da 3 1/2”, inizialmente quindi destinato a coesistere col floppy da 5 1/2”.
Lo “stiffy disk” fu adottato dai computer Apple, dal Commodore Amiga, dagli Atari e dai PC Compatibili. Commodore lo usò anche per il 1581 per il Commodore 64, ma arrivato tardi nell’epoca del computer e che forse avrebbe avuto più successo se fosse nato il Commodore 65, evoluzione finale mai venuta al mondo del 64 con un lettore 1581 incorporato.
Lo “stiffy disk”, come veniva chiamato solo in alcuni dialetti regionali (vedi Sud Africa), deve il suo nome ad una capsula di protezione più rigida con una linguetta metallica di protezione tenuta a coprire la parte magnetica con una piccola molla per ritrarla.
Ovviamente molla e lamierino potevano usurarsi e cadere via, ma il floppy avrebbe continuato a funzionare, sia pur privo della protezione.
Anche i floppy da 3 1/2” ebbero la loro evoluzione, passando dai 400 Kb ai 720Kb usati ad esempio nell’IBM PC Convertible e poi al 1,44Mb tipico del formato HD.
Ci fu anche un formato ED da 2,88Mb, ma poco usato.
Come per i floppy disk, la differenza fisica tra HD e DD era nella mancanza di un forellino: che poteva essere intagliato con un coltello rovente o un piccolo trapano “trasformando” i DD in HD, con una certa perdita di affidabilità (empiricamente presente, ancorché meno pronunciata che cercare di mischiare i vecchi HD e DD nel precedente formato) che il ragazzino medio tendeva ad ignorare inseguendo lo storage raddoppiato.
Almeno fino al 1995, i due tipi di floppy continuarono lietamente a coesistere.
Questo è il motivo per cui il disco fisso un PC si chiama disco C.
Abbiamo già visto come il disco fisso, sia pur nato prima, sia rimasto più costoso per molto tempo.
Quindi per buona parte degli anni ’80, l’utente medio aveva uno o due floppy, da 5 1/4” o 3 1/2”.
Il setup ritenuto migliore era a due floppy: uno per il Sistema Operativo, uno per i programmi.
MS-DOS riservava le lettere A e B per i floppy: all’arrivo del disco fisso diffuso, esso divenne il Disco C.
Il setup medio aveva quindi un disco A, un floppy. Oppure due dischi floppy, A e B.
Il disco fisso diventava C: quando il disco fisso divenne ubquitario quindi avevi un disco A (floppy) e un disco C (disco rigido). Col PC Multimediale nell’era di Windows 95 si aggiunse il “Disco D”, ovvero il lettore CD-ROM.
Ancora oggi chi dispone di un lettore floppy USB (ancora disponibili per recupero di dati “vintage” anche se vedremo i floppy non sono più disponibili) vedrà Windows 11 assegnargli la lettera mancante, la A.
Ed è ironico, sapendo che, come abbiamo visto, ad un punto della sua storia il disco rigido dovette evolversi per essere installabile negli spazi fisici deputati all’installazione dei floppy disk stessi.
Per molto tempo il Floppy fu così uno standard dorato che molti tentativi di superarlo non potevano prescindere da lui. IoMega lanciò lo Zip Drive, lettore a cartucce di forma simile al floppy ma non compatibili dalla dimensione di 100 Megabyte.
Imation provò a lanciare invece le unità LS-120 ed LS-240, dalla dimensione di 120 e 240 Mb ma retrocompatibili coi floppy disk.
Fu troppo poco e troppo tardi: fino agli anni ’90 come recitava un noto meme, in un floppy c’era tutto il mondo di un giocatore. Poi i floppy diventarono sempre di più, e lo scenario da cartone animato e telefilm del “floppy che contiene ogni piano segreto” divenne sempre meno verosimile.
Unità come i SuperDrive Imation e le IoMega servivano per soddisfare la fame di spazio, ma i lettori CD e DVD riscrivibili erano già in grado di farlo, e l’arrivo dei pendrive nel 1999 fu l’ultimo chiodo sulla bara del floppy.
Ne abbiamo parlato in un altro articolo: le unità IoMega finirono la loro carriera con l’infamia della loro scarsa resistenza tecnica, venendo riscoperte solo recentemente come mezzo per spostare grandi quantità di dati tra computer vintage.
Lentamente le ultime amministrazioni che ancora usavano i floppy si sono mosse a soluzioni come il Gotek, emulatori di floppy basati su pendrive USB.
Esistono ancora installazioni della metropolitana, come quella di San Francisco, che usano floppy disk, anche se si stanno evolvendo verso il trasferimento di dati wireless da cellulari e proprio quest’anno il Giappone finalmente ha abbandonato, anche dal punto di vista legislativo, floppy e CD per muoversi in ottica cloud first: ma ormai l’unico modo per avere dei floppy disk, è comprarne di riformattati o New Old Stock, mai aperti in qualche magazzino.
L’ultimo floppy disk mai prodotto, un 3 1/2”, ha lasciato la fabbrica nel 2011, mentre gli hard disk continuano ad essere prodotti.
Giusto recentemente, l’ultimo sistema basato su floppy disk installato in una “municipalizzata” occidentale (termine usato in modo improprio dato che parliamo degli USA), sorprendentemente una serie di lettori da 5 1/2” ad alta densità nella metropolitana di San Francisco, ha ricevuto l’ultima tranche di finanziamenti per completare il processo già iniziato di passaggio a cloud e stato solido.
Esiste di fatto una generazione per cui il floppy disk è “l’icona di salvataggio di Word”, e per la quale un HDD ed un SSD si distinguono solo perché il primo è più lento e rumoroso.
Ma va bene così.
Chi però è stato stato attivo negli anni ’80 e ’90, si ritrova esattamente come San Francisco, alle prese con qualche scatolone di floppy in più: su Amazon è possibile trovare, oltre ai citati floppy in fondo di magazzino lettori floppy da 3 1/2” di nuova produzione su USB, ironicamente al costo di un lettore DVD portatile.
È anche possibile trovare unità per munire i retrocomputer, e ne abbiamo parlato assieme, di equivalenti a stato solido non solo per le cartucce delle principali console vintage, ma per i lettori floppy.
Del resto tutti i problemi dell’epoca vengono acuiti dall’età.
Verbatim dovette inventare le custodie per il floppy disk per evitare che polvere, ossidazione e invecchiamento li grattugiassero e sfarinassero: decenni di polvere e, anche per i fondi di magazzino, muffa, rendono la lettura del floppy un’esperienza complicata, e se in passato l’apposito “disco di pulizia” (un panno di tessuto non tessuto dentro una custodia da floppy, umettato di alcol) era un appuntamento mensile o bimensile, gli affezionati collezionisti dovranno tenere in conto di usarlo più spesso, se non “scoperchiare” i lettori floppy e usare un cottonfioc con alcol per pulire le testine.
Già in passato poteva capitare che un lettore, specie gli esemplari più economici, richiedesse periodicamente di essere riallineato e la velocità di rotazione dei motorini regolata: oggi il numero di persone in grado di farlo è drasticamente ridotto.
Alcuni lettori floppy avevano un sistema a cinghie e ingranaggi, altri a ingranaggi diretti: gli ingranaggi di plastica col tempo cominciano a sgranare, le cinghie ad allentarsi e rompersi.
Quello che un tempo era un rito periodico rischia di diventare una spina nel fianco anche del collezionista più accanito: diventa quindi un dovere morale di chi possiede file e programmi su disco conservarli per le generazioni successive, trasbordandoli allo stato solido.
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