C’era una volta il disco rigido (ed ancora esiste, mutato dalla storia)
C’era una volta il disco rigido, ma come abbiamo visto per cose come la tastiera, il monitor e il mouse, la sua presenza per molto tempo non è stato un dato scontato.
E, quando il disco fisso è venuto a nascere, per molto tempo “avere il disco fisso” era un segno di lusso e distinzione. Oggi gli utenti PC più abbienti possono vantarsi di una nuova GPU di lusso, di un case con led RGB o di un sistema di raffreddamento particolarmente costoso.
Per molto tempo il marchio del professionista abbiente era la presenza di un disco fisso.
Prima del disco rigido
Il disco fisso deve uno dei suoi nomi più comuni, il “disco rigido” dall’opposizione col formato allora più comune e che comune fu per decenni dopo la sua nascita. Il “disco floscio”, per gli amici il “floppy disk”.
Abbiamo visto come per molto tempo caricare i dati sui computer ha richiesto i formati oggi più strani: il nastro perforato, in diretta dai telai settecenteschi e dalle macchine industriali ad esempio, con una pletora di appositi perforatori di cui abbiamo parlato.
O anche le carte magnetiche, formato popolarizzato dalla Programma 101, la “Perottina” Olivetti, calcolatore programmabile che si contende nella storia il titolo di “primo computer” con altri candidati.
Storicamente, l’articolo che abbiamo letto assieme il primo giugno non sfiora nemmeno la follia dei formati usati come memorie di massa: l’Apollo 11 partì per lo spazio con delle ROM (memorie di sola lettura) contenenti l’intero software necessario intessuto in fili metallici passati in anelli magnetici, i giovani smanettoni erano abituati a ricopiare righe e righe di codice a mano ogni volta e presto si diffusero memorie magnetiche su nastro e floppy disk, che nella sua variante a otto e e cinque pollici e un quarto erano custoditi da gusci di plastica flessibile (da cui “Floppy”), al contrario del disco da tre pollici e mezzo che sarà inserito in una “cartuccia” di plastica rigida con un cappuccio metallico in cima che oggi ricordiamo per essere “il simbolo universale dell’icona di salvataggio”.
Ma nel 1956 IBM decise di introdurre una novità che sarebbe sopravvissuta al floppy ed alla cassetta, imparando a sua volta a reinvetarsi nei decenni.
La nascita del disco rigido
Nel 1956 IBM decide di inventare l’IBM STORAGE UNIT 350 RAMAC (Random Access Method of Accounting and Control), il primo disco fisso “moderno” della storia, dalla fantastica capacità di 3,75Mb
Un paio di floppy da 3,5 HD (da un 1,44Mb quindi), o per i moderni una singola canzone in MP3, basata su 24 dischi magnetici in grado di girare alla fantastica velocità di 1200 rotazioni per minuto (RPM).
Per intenderci oggi è ancora possibile acquistare, qualora non siate passati alla tecnologia SSD, dischi rigidi in grado di ruotare a 5400 o 7200 RPM, grandi non più di un cellulare o un power bank.
Il RAMAC pesava una tonnellata ed era grosso come due frigoriferi “di lusso” appiccicati assieme.
Come suggerisce il nome aveva l’enorme vantaggio della non sequenzialità: cercare un’informazione su un nastro magnetico o perforato richiedeva esaminare ogni dato dall’inizio, sul RAMAC potevi semplicemente “girare i piattini” e trovare il dato.
Contando che il primo floppy disk della storia sarebbe nato nel 1967 e venduto dal 1971, RAMAC non era ancora “un disco rigido”.
Era lo storage unit: la prima vera unità di massa a dischi magnetici della storia.
RAMAC non era prodotto per la vendita, era venduto per essere concesso in leasing.
Potevi acquistare un mese di utilizzo del RAMAC per 3200 dollari dell’epoca, al cambio andiamo sui 30mila odierni
Contando che l’alternativa per elaborare quasi quattro mega di dati sarebbe stata esaminare 64000 schede perforate, affittare un RAMAC era considerato l’alternativa più pratica.
Accademie, università e persino il Comitato Olimpico delle Olimpiadi Invernali del 1960 usarono un RAMAC per aiutarsi nell’elaborazione dati, dimostrando che le memorie di massa sono sempre state il collo di bottiglia finale di ogni computer.
Ovviamente il mercato cominciò a richiedere il nuovo disco magnetico: Bryant Chucking Grinder Company produsse una sua variante del RAMAC nel 1959, così pesante da richiedere pavimenti rinforzati.
Tra disco rigido e disco removibile
Negli anni ’60 IBM introdusse qualcosa che potremmo considerare l’anello di congiunzione tra il floppy disk e il disco fisso: una memoria di massa a “dischi removibili”, il modello IBM 1311 Disk Storage Drive, basato sulla possibilità di rimuovere i piatti magnetici e sostituirli alla bisogna avendo così “spazio illimitato”.
Cosa che aprì la strada vedremo in un futuro articolo al concetto ed all’uso del floppy disk, ma anche contribuì a rendere popolare il disco rigido e la nascita del concetto di PCM, “plug compatible manufacturer”.
Entrarono nell’agone firme note come 3M e Memorex, tutte in grado di creare i loro dischi magnetici in grado di essere usati coi computer della IBM, tra cui il Memorex 630 del ’68.
Negli anni ’70 ci fu il vero “strappo digitale” tra le due tecnologie: il primo floppy disk della storia fu venduto infatti nel ’71 abbiamo visto, ma questo non pose certo fine alla storia del disco fisso o disco rigido.
Semplicemente fece in modo che i dischi removibili, per mille ragioni, arrivassero primi nelle case degli hobbisti, ma non fermò la corsa dei dischi fissi verso la forma che conosciamo.
Nel 1971 l’IBM 3330 introdusse il sistema della correzione di errore e dei servomotori attuali. Nonostante le dimensioni ancora imponenti, nacquero i dischi col “braccetto magnetico”, per spiegarla semplicemente e in grado di tollerare dei settori danneggiati riconoscendoli e “sostituendoli al volo”, perfezionaato col successivo 3340, con dischi lubrificati e testine di tipo Winchester, che restavano con la “cartuccia disco” e non nel lettore, avvicinandosi ancora al concetto di disco fisso attuale, venendo ulteriormente perfezionato con l’invenzione dell’IBM 62GV, 5Mb, con un braccetto a forcella moderno, come quello degli attuali dischi.
I dischi fissi non si evolveranno mai più di così, se non per minuzie. Da quel momento in poi ogni disco fisso sarà per sempre un guscio chiuso e sigillato per evitare polvere e contaminanti con un braccettino a forcella che danza su un piattino magnetico leggendo e scrivendo dati, collegato a sua volta ad una scheda logica connessa al vostro computer, internamente oppure mediante un cavetto all’esterno.
Il salto nel mondo del computer
Come abbiamo avuto modo di vedere, molti home computer fecero a meno del disco fisso. Commodore 64, Apple II, i Tandy-Radioshack… la prima generazione di Home Computer domestici si accontentava di nastri magnetici e floppy, ed anche con l’arrivo dei primi personal Computer era considerato del tutto accettabile avere uno o due lettori floppy, nel mondo PC uno da destinarsi per DOS e l’altro per i programmi, oppure un’eternità di “cambiare dischetto”.
Il disco rigido era un marchio di ricchezza e distinzione: fornitori come Corvus Systems producevano dischi rigidi per Apple II e Atari basati sulla tecnologia Winchester sin dal 1982 (pensate che il primo disco fisso commercialmente disponibile per il Commodore 64, il CMD HD sarebbe arrivato solo negli anni ’90), ma anche così erano un lusso per programmatori e abbienti.
L’IBM PC XT del 1983 fu uno dei primi computer a proporre un disco fisso di serie, mentre Shugart Technology, ditta produttrice di floppy disk e hard disk che poi sarebbe diventata la famosa Seagate lanciò nel 1980 l’ST506, primo disco fisso da 5 pollici e mezzo, con codifica MFM e un proprio controller.
Non era certo economico: aggiungere un ST506 al proprio setup comportava un prezzo di 1500 dollari per cinque mega.
Fu il calcio di inizio per l’arrivo del disco rigido domestico, sempre più piccolo. Negli anni ’80 arrivarono i formati da tre pollici e mezzo e due pollici e mezzo, tramite Rodime e PrairieTek. Ironicamente, Rodime fallirà subito dopo aver creato il formato più usato dai PC desktop.
Le dimensioni, ancora oggi usate, non sono un caso e non lo erano neppure all’epoca: il senso era inserire gli hard disk negli spazi inseriti nei PC fissi, nei portatili e nei portabili dedicati ai floppy, e cominciarono a sorgere formati per la connessione ai PC, come ATA (diventato retroattivamente PATA, “Parallel ATA” con l’introduzione del moderno SATA nel 2000) e SCSI, formato introdotto da Shugart Associates (da non confondersi con l’attuale Seagate).
A questo punto della storia, il disco fisso era diventato con prepotenza una parte essenziale di ogni computer e ne seguì l’evoluzione: la pletora di produttori di dischi fissi si consolidarono intorno ai grandi tre, Western Digital, Seagate e Toshiba e i dischi fissi divennero sempre più veloci ed affidabili.
Se solo negli anni ’80 potevi vivere benissimo senza un disco fisso, il concetto stesso di “PC Multimediale” introdotto con Windows 95 sarebbe stato impensabile, anzi inconcepibile senza.
Nel 1992 Seagate introdusse col Barracuda il primo disco fisso da 7200RPM, ad oggi la massima velocità disponibile quantomeno per dischi fissi dedicati al consumatore finale.
Il disco fisso oggi
Nel 2003 arriva il primo vero competitore del disco fisso: Trascend innova la tecnologia già preesistente dei dischi a Stato Solido, aprendo la via perché nel 2006 Samsung e altri produttori comincino a proporre SSD da 2,5 come rimpiazzi diretti per i dischi fissi.
Ciò nonostante, il disco fisso sopravviverà ancora a lungo, ed ancora lo fa. Gli iPod, ad esempio, nacquero con piccoli dischi fissi da 1,8Gb, ed ancora adesso, nel 2024, è possibile acquistare dischi fissi con tecnologia magnetica.
Solo negli ultimi anni gli SSD sono diventati competitivi economicamente, e la superiorità storica dell’HDD si evince solo tenendo in mano un disco SSD. Perlopiù un guscio vuoto con una schedina con pochi componenti, praticamente un “disco SSD” (a “stato solido”) incapsulato in una staffa di montaggio per consentirgli di essere ospitato in un case tradizionalmente nato per gli HDD come un tempio gli HDD erano stati ospiti dei floppy.
Ancora adesso, gli SSD vincono sull’affidabilità ma gli HDD vincono per il rapporto “prezzo per Giga”.
Siamo arrivati molto, molto lontano dai primi dischi fissi domestici da 5 e 10Mb, ma per 70 euro puoi scegliere tra un HDD Seagate da 4Tb o una SSD Crucial da un 1TB, assai più veloce e in grado di essere montata in un bay da 2,5 pollici anziché da 3,5, ma pur sempre più piccola di un quarto.
Oppure, all’interno della stessa casa madre, comprare un’unità SSD portatile da un Tera per 150 Euro scontati a 100, o risparmiare e portarsi a casa un HDD sempre Western Digital per 69 euro.
I dischi rigidi hanno quindi ancora un futuro, ed un futuro imponente, nonostante siano stati insidiati dai dischi a stato solido.
Se di fatto i pendrive e le schede SD hanno ucciso ogni prospettiva futura per il ritorno del floppy disk, l’unità SSD ha scalzato dal podio del desiderio l’unità HDD, ma non quando non è necessaria la velocità, bensì solo la capacità di stivare una grande mole di dati.
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