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C’era una volta il beeper: storia dell’audio sul “PC multimediale”

Dopo una pausa dedicata a console e computer che non avevate mai visto ed un momento storico di elevata importanza, torniamo ai reperti della storia dell’informatica di tutti i giorni. Quella degli oggetti che amate dare per scontato, come la soundbar o le casse attaccate alla scheda audio, ormai spesso integrata, sul vostro computer.

C’era una volta il beeper: storia dell’audio sul “PC multimediale”

Naturalmente non dovrebbe stupirvi sapere che per molto tempo chip e schede audio sono stati appannaggio quasi esclusivo del mondo console, e che la storia dell’audio su PC comincia dal “buzzer”, croce e delizia di tutti coloro che usavano computer negli anni ’80 e ’90 e vivevano lo sconcertante paradosso di avere computer con processori fino a 30-40 volte più performanti di quelli del Commodore 64 dell’amico “arretrato” ma doversi arrangiare col pigolio di un “beeper” o “buzzer” che dir si voglia per i propri bisogni audio.

Il beeper o buzzer: dove tutto cominciò

Siamo a cavallo tra gli anni ’40 e ’50. Prendendo per buona (ma tranquilli, abbiamo controllato prima) l’eccellente Wikipedia, l’Electronic numerical integrator and computer (ENIAC) è, tra quelli di cui si ha notizia, il quarto computer elettronico digitale della storia, il quarto computer Turing completo della storia, il secondo computer elettronico Turing completo della storia e il primo computer elettronico general purpose della storia.

In un’epoca in cui i bug informatici erano veri e propri insetti che andavano a morire negli enormi circuiti dell’epoca creando falsi contatti, in un mondo in cui come abbiamo visto esistevano monitor e tastiere ma nessuno aveva pensato a collegarli ad un computer, joystick e trackpad venivano usati per pilotare aerei e radar e le interazioni con un PC dipendevano da schede perforate e pannelli luminosi qualcuno si pose il problema di rendere facile la diagnostica di errori software e hardware.

Immagine dell’ENIAC, primo computer ad avere un buzzer

Un “trucco” usato per aiutarsi nella diagnostica fu collegare un “beeper” o “buzzer” ad una delle componenti dell’ENIAC stesso, in modo da udire un suono durante il funzionamento della macchina. Se ci fosse stato un blocco per qualsiasi motivo il suono sarebbe passato dall’essere una serie di beep a intervalli regolari ad essere un suono acuto e spaccatimpani, incitando gli operatori a porvi rimedio.

E per molto tempo nella storia del computer il “buzzer” interno fu dedicato alla diagnostica di errori, con tanto di manuali per associare a ogni singolo suono un tipo di errore, consentendo la diagnostica “a orecchio”.

Eppure, a ben vedere, l’essere umano era già riuscito in passato a produrre musica “meccanica”, e presto ci sarebbe riuscito di nuovo.

Musica “non umana” prima dei computer

Escludiamo dall’orizzonte fonografi e grammofoni, di cui abbiamo parlato in passato, in quanto essi erano in fondo registrazioni di voci e suoni prodotti da esseri umani.

Già nel XVmo secolo alcune torri campanarie cessarono di avere un “campanaro” umano per avere una macchina, un vero e proprio “carillon enorme”, simile a quelli a cui ora siamo abituati, con le campane al posto delle lamelle.

Le campane di San Babila, fonte C-Historia

Semplicemente nel passaggio dalle corde legate al batacchio ad una tastiera legata alle corde stesse, qualcuno si chiese se non si potesse inserire un meccanismo automatico “tarato” per suonare le campane in un determinato ordine legato ad una delle intonazioni sacre usate nella pratica liturgica.

Nel XIXmo secolo il carillon divenne l’oggettino grazioso e popolare che tutt’ora possiamo comprare in negozietti di chincagliera e “giocattoli educativi”, un cilindro dentato che “stuzzica” delle lamelle riproducendo una piccola melodia.

Carillon cilindro rotante, fonte eBay

Sempre nell’800 la Pianola o Pianoforte Meccanico ci ha regalato lo scenario tipico dei film ambientati nel “Selvaggio West” del pianista che si accompagna con un nastro perforato che lo aiuta suonando alcune note e che, comicamente, continua a suonare mentre i pistoleri gli sparano addosso ignorando il cartello “non sparate al pianista” e mentre le pallottole flagellano il delicato meccanismo.

Pianoforte automatico, fonte Giornale della Musica

Tra strumenti meccanici e veri e propri automi (anche qui ne abbiamo parlato) con congegni perfezionati in grado di emettere suoni e melodie, era fatale che prima o poi l’uomo si sarebbe interrogato sull’opportunità, come fatto per tastiere, monitor, trackpad, joystick e modem, su come dare simili facoltà anche ai suoi computer.

E ci riuscì.

Primi esperimenti musicali in ambito informatico

Il Ferranti Mark 1, costruito per l’Università di Manchester nel 1951, era perfettamente in grado di suonare, ancorché in un certo modo goffo e non equiparabile ad un PC moderno, melodie di canzoni come “Dio salvi il Re/la Regina” e “Baa Baa Black Sheep”.

Ovviamente parliamo della sola melodia, e “suonata” in un modo così stonato da far rimpiangere il più scalcinato dei buzzer del più repellente computer anni ’80 che ricordate, ma ricordiamo che passare dal beeper “per errore” ad una intera melodia per gli standard dell’epoca fu un vero e proprio miracolo.

Ferranti Mark-1, primo computer in grado di suonare una melodia

La doppietta fu ripetuta col programma MUSIC, scritto negli anni ’60 per mainframe IBM, in grado di rendere possibile programmare ed eseguire canzoni, dapprima a tono singolo e poi polifoniche.

MUSIC ebbe varie iterazioni: in ognuna di queste avevi bisogno di ore di tempo macchina per ottenere minuti di suono pigolante, ma polifonico e udibile.

Per avere un computer in grado di suono dovremo però aspettare l’era degli Home Computer, ed un piccolo aiuto del mondo dei videogiochi.

Dal Videogame all’home computer passando per il VIC20 e il Commodore 64

Nel 1972 Pong, parte della prima generazione delle console, introdusse effetti sonori, l’omonimo “Pong” ad ogni colpo della racchetta virtuale (poco più che una linea), mentre nella seconda generazione Space Invaders aveva già introdotto una colonna sonora “interattiva”, in grado cioè di diventare più concitata nell’avanzare delle fasi di gioco.

Immagine dell’Atari 2600

Console come l’Atari 2600 avevano chip audio/video come il TIA in grado di produrre non solo immagini, ma suoni convincenti con due canali audio.

Prima di Commodore

Il mondo degli home computer? Per capirci, l’Apple II aveva ancora il buzzer, controllato in un modo alquanto bizzarro ancorché efficiente. Sostanzialmente accedendo ad un determinato indirizzo di memoria ($C030 per essere precisi) potevi attivare il buzzer in modo che facesse un suono. Sempre lo stesso suono, qualsiasi cosa tu cercassi di scrivere in quell’indirizzo di memoria.

Acceso o spento, “click” o silenzio. Giocando con la velocità degli accessi potevi ottenere toni acuti o meno, avendo come effetto la possibilità di creare musiche semplici ma accattivanti.

L’Apple II

Con appositi programmi ad aiutarti in questo compito semplice ma assai noioso potevi simulare dei tamburi ad esempio e comporre intere musiche, come Marco Valleggi, noto maker e divulgatore virtuale è riuscito a fare con una demo di “Bad Apple”, musichina semplice e accattivante usata per testare l’audio di qualcosa che abbia la capacità astratta di produrre audio.

Musiche che suonavano per altro abbastaza bene, sicuramente meglio del Ferranti.

Ma non esattamente secondo gli standard cui siamo abituati.

Capire Commodore

Per capire come mai in un mondo di beep e buzz Commodore portò la rivoluzione del sonoro, dobbiamo prima capire perché. Siamo sul finire del 1970 (il PET è del 1977, diretto successore del MOS KIM-1) e Commodore ancora non aveva home computer con capacità audio.

Era però al crocevia di una scelta che all’epoca era perfettamente logica ed oggi uno spreco: usare componenti disponibili sul libero mercato o fare tutto in casa.

Commodore PET

Oggi come oggi, una startup che decidesse di progettare e costruirsi i suoi stessi chip, carrozzerie e tastiere probabilmente non ci riuscirebbe: ieri era il modo più efficace per sfondare sul mercato, con “l’effetto collaterale” di proteggerti da tentativi di imitazione: ad esempio esistono svariati cloni Sovietici e Sudamericani delle principali console e computer di quegli anni ma non esistono cloni del VIC20 e del Commodore 64 e non è stato possibile costruire un Commodore 64 di sole “nuove parti” prima del 2023 e senza un aiuto delle riproduzioni in FPGA.

Commodore risolse il problema acquistando MOS Technology, uno dei principali produttori di integrati che poi sarebbe diventato CSG, “Commodore SemiConductors Group”, e provvedendo a produrre case in proprio.

Nel 1979 MOS cominciò a lavorare su un chip audiovideo multifunzione che potesse essere usato in terminali a basso costo, apparecchiature mediche e videogames: era il MOS6560/6561 (il codice identificava la versione NTSC o PAL), altrimenti detto “VIC chip”, ma finì ad usarlo nel VIC20, successore del PET.

Commodore VIC20, primo computer Commodore con audio incorporato

Come moltissimi computer dell’epoca il PET non aveva audio: i modelli successivi avevano un buzzer, che poteva essere inserito nei modelli precedenti con qualche lavoretto di saldatura, ma non aveva chip audio.

Nel momento in cui si decise di creare qualcosa di più compatto, avanzato e “per le famiglie” del PET, Commodore prese il VIC che aveva letteralmente in casa, e diede al suo home computer sedici colori, tre canali audio a onda quadra e un canale audio per il rumore bianco e lo usò nel suo progetto del “successore del PET”: non più un “miniPET” ma il Commodore VIC20 un computer che però avrebbe potuto competere con le console dando all’utente giochi coinvolgenti sia nell’audio che nel video in un’epoca storica in cui il “buzzer” era tutto quello che si poteva ragionevolmente aspettare.

MAX Machine, Commodore 64 e la rivoluzione SID

Bob Yannes, ingegnere elettronico presso MOS si ritrovò quindi in una ditta che aveva condotto il mondo del suono al mondo degli home computer: e non era soddisfatto di quello che vedeva.

Né in casa, né nel mondo delle console di seconda e terza generazione: persino il blasonatissimo e famoso Atari gli sembrava “manchevole” e “prodotto da persone che di musica ne capivano poco”.

Si mise al tavolo di lavoro per creare un chip avveniristico per l’epoca, un vero e proprio “sintetizzatore in un chip” in grado di rendere ogni home computer un sintetizzatore perfetto. Non tutto quello che aveva progettato potè essere ottenuto, ma molto vi arrivò: il SID 6581 arrivò sul commercio con tre voci più una per il rumore bianco, tre formati d’onda (onda quadra, triangolare e dente di sega, più rumore pseudocasuale), inviluppo, modulazione e filtri analogici.

MAX Machine, il debutto del SID

Anche qui, se lo scopo iniziale era avere un chip audio perfetto, l’obiettivo finale fu usarlo in proprio.

Quasi parallelamente in Giappone uscirono MAX Machine, anello di congiunzione tra un computer e una console per videogames e il Commodore 64, indiscusso protagonista della storia informatica degli anni ’80.

Per essere precisi, i piani iniziali di Commodore prevedevano una intera linea di computer: il VIC20 sarebbe rimasto in commercio affiancato dalla MAX Machine, ribattezzata per i mercati Occidentali “UltiMAX” o “VIC10” e il VIC20 sarebbe stato affiancato da un VIC30, vale a dire un UltiMAX maggiorato in RAM ma con lo stesso SID chip.

Alla fine si decise di puntare tutto sul solo Commodore 64, peraltro compatibile con la MAX Machine grazie ad una modalità interna chiamata “Modalità UltiMAX” e ritirare MAX Machine: il rivoluzionario SID divenne appannaggio esclusivo del Commodore 64, del 128, del più raro CBM-II e, come vedremo, di una particolare scheda audio per PC.

Ci vorranno quindi anni prima che nel mondo dei computer arrivi qualcosa di rivoluzionario come il SID 6581 (e il suo diretto successore SID 8580, versione “bugfix”, diremmo ora) arrivi nel mondo dell’informatica.

Le meraviglie del SID

Immaginate di essere nel 1983. Siete abituati ai due canali audio del vostro Atari 2600 che avete ormai da qualche anno, avete visto i vostri amichetti giocare con l’Apple II e avrete sicuramente notato che giochi iconici come “Karateka”, “Prince of Persia” e simili hanno delle musiche per quanto “pigolanti” bellissime e ornate ad inizio e fine del gioco ma poco o niente durante.

Commodore 64, fonte Lombardia Beni Culturali

Il perché è ovvio: mentre una console o un gioco arcade ha chip audio dedicati che possono fornire audio alla bisogna, un home computer e un personal computer IBM compatibile senza scheda audio devono fare “tutto da soli” distraendo prezioso tempo alla CPU.

Mettete quindi la cassetta di Ghostbusters nell’apposito lettore Datassette e sentite una voce esplodere dalla cassa mono del vostro TV Color scassato, o, per i ricchi, dal monitor 1702 originale o da un monitor di terze parti Philips o SONY

“Ghostbusters! Ahahahahah!”

Non avreste mai ritenuto possibile sentire la voce del cantante Ray Parker Jr., per quanto alquanto distorta, uscire da un computer ed esplodere in una risata dissacrante.

Eppure è successo: in realtà questo accade non perché il SID fosse perfetto, ma perché come tutti i sintetizzatori analogici aveva mille imperfezioni e sbavature che lo rendevano assolutamente programmabile.

I due modelli del SID, fonte Etsy

Prova è che arrivati al SID 8580 quel particolare bug che consentiva la creazione di “frammenti digitalizzati” manipolando schiocchi e volumi fu corretto costringendo i programmatori ad altri modi per arrivarvi.

Un gioco per Commodore 64 aveva musiche ed effetti sonori per tutto il tempo, e le tre voci con tre tipi di onda sonora (quattro contando il rumore) potevano essere alternate e inviluppate in modo che l’orecchio ne percepisse molte di più.

Il ricco manuale del Commodore 64 descriveva la polifonia a tre voci come avere una piccola orchestra da camera con tre cantanti e quattro timbri vocali diversi. Cantanti che potevano però cambiare melodia a comando cantando ogni composizione tu avessi nella mente.

A tutt’oggi ci sono raccolte di musiche composte per il SID, che possono essere ascoltate mediante emulazione su un PC o collegando ad esso un SID originale (sarebbe meglio una replica, per non lasciare un Commodore 64 “orfano” della sua componente) mediante USB, dalle irripetibili sonorità.

La storia va avanti

Nel 1983, complice anche il grande successo del SID, il mondo dei computer apre all’audio: appare una scheda audio per l’Apple II, la “Mockinboard”, prodotta da terze parti.

Perché Apple non si sia dedicata direttamente alla produzione di una scheda audio è ignoto: forse perché l’audio era ancora percepito come parte “non essenziale” di un computer dai tempi dell’ENIAC, forse perché per decenni ci fu maretta tra Apple ed Apple Corps, l'”etichetta” dei Beatles che reclamava l’uso del marchio Apple su qualsiasi cosa parlasse di musica, ma Mockingboard mise sul piatto audio a sei canali e l’opzione per un chip di sintesi vocale.

Immagine di una Mockinboard, aste online

Commodore contiuò il suo feeling con l’audio, munendo i computer Amiga del Paula, chip audio e I/O forniva 4 canali DAC (Digital to Analogue Converter) PCM 8 bit, in modalità stereo (2 sul canale destro, 2 sul sinistro), ancorché non supporto MIDI, cosa che come vedremo fu una pecca su un sistema straordinariamente moderno (l’Amiga era l’equivalente moderno di un sistema con coprocessori multipli, ognuno dedicato ad una funzione) e che spinse gli interessati ad un dispositivo in grado di usare MIDI verso l’Atari ST, col suo chip Yamaha YM2149F.

Nel mondo dei PC la cosa più simile all’audio dedicato fu il tentativo in quegli anni di munire il PCJr, computer IBM dedicato come suggerisce il nome ad un pubblico di videogiocatori giovanile, di un chip audio a tre voci a onda quadra più rumore bianco, audio mono, affine al suono prodotto dalle console di terza generazione come il SEGA Master System.

MOS 8364, ovvero Paula

Sia la sezione audio che video del PCJr furono migliorate nel Tandy 1000 e discendenti, clone così di successo da eccedere per capacità e ricezione nel mercato il PCJr.

Ma la rivoluzione vera arrivò con la AdLib, prodotta nel 1987 dalla canadese Ad Lib, Inc., del professore di musica e vicedecano del dipartimento musicale dell’Università Laval in Quebec, Martin Prevel col nome diAd Lib Music Synthesizer Card (ALMSC).

Una scheda audio non è niente senza un programma che la supporti, limite che aveva ostacolato ad esempio la “Mockingboard” degli Apple II, supportata da alcuni giochi, ma non tutti.

Da Adlib a Soundblaster, con qualche eccezione

Ad Lib Inc. ebbe l’idea di promuovere attivamente la sua scheda mediante Top Star Computer Services, Inc., società di controllo qualità per i videogiochi, che a sua volta promosse la Adlib come standard per i videogames.

Quando le famose avventure grafiche Sierra cominciarono a supportare nativamente la Adlib, chiedendo espressamente in fase di installazione se l’utente ne avesse una e volesse usarla, le fortune di Ad Lib e dell’audio nel mondo dei PC cominciarono assieme, ma la corsa della Ad Lib si interruppe bruscamente con l’arrivo della Sound Blaster, nota a tutti i giocatori degli ultimi trenta anni.

Immagine di una AdLib

“Si legge Ad Lib, ma si usa Sound Blaster”: finì tutto esattamente così, quando nel 1989 (preceduta nel 1988 da una linea venduta come “Game Blaster” nella catena di negozi Radio Shack dalle stesse qualità) Creative Labs produsse una scheda perfettamente retrocompatibile con la Ad Lib ma munita di Audio PCM ed una “Game Port” utilizzabile sia per i joystick che come supporto MIDI (cosa di cui parleremo in seguito, sia pur cronologicamente parallela al discorso che stiamo intrattenendo ora).

In un’epoca in cui dovevi fisicamente aprire il tuo computer per inserire e configurare una selezione di schede di espansione in formato ISA, avere una scheda in grado di fare più cose contemporaneamente, tenere un prezioso slot libero, ridurre i costi e semplificare la costruzione aiutava molto.

La Soundblaster si impose nello “standard Ad Lib” sorpassando “l’originale” e venendo descritta dalle riviste dell’epoca come una soluzione superiore non solo alla Ad Lib, ma all’uso di sintetizzatori MIDI esterni.

Soundblaster16, fonte eBay

O quantomeno la miglior soluzione in base al fattore costo/beneficio, introducendo audio a nove voci (11 in modalità tamburo), sintesi FM e demo per l’epoca imprevedibili e improbabili con sintesi vocale, come il Dr. SBAITSO citato nel precedente articolo sui “nonni delle AI”, chatbot in grado di “parlare” con una voce gracchiante e dall’accento bizzarro ma comprensibile.

Seguirono diverse generazioni dello standard SoundBlaster, tutte il “golden standard” dell’audio su PC fino all’arrivo di Windows 95 e del Plug’n Play prima e del concetto di PC multimediale già nato con la sua scheda audio integrata.

Nel frattempo: il MIDI

Nel 1982 una serie di produttori di equipaggiamento musicale, come Roland, Yamaha, Korg e Sequential Circuits decisero per un procollo unitario per il controllo delle apparecchiature.

Immaginate un sintetizzatore o una tastiera elettronica: grazie al formato MIDI, che di fatto consente di trasmettere informazioni relative a quale nota o strumento suonare, potevi collegare una qualsiasi tastiera ad un qualsiasi sintetizzatore o computer sicuro di trovare quegli strumenti.

Una tastiera MIDI ad esempio non ha “il necessario per suonare”, ma invia ad un PC o un sintetizzatore le istruzioni per suonare “Un determinato strumento in un determinato modo quando il tasto tale viene premuto”, per capirci.

Roland MT-32, fonte RaspberryPi

Senza entrare nel dettaglio, esattamente come Sierra, Origins, LucasArts e i maggiori produttori di videogiochi per PC compatibili avevano adottato Ad Lib e SoundBlaster come standard di fatto, introdussero anche il supporto per i sintetizzatori.

Esempio è il celebre Roland MT-32, che compare tra gli strumenti audio selezionabili in installazione di giochi come King’s Quest e Space’s Quest.

Un esempio da manuale è dato da “Space’s Quest III: I Pirati di Pestulon”, che supporta tutti i formati audio citati, dal buzzer alla SoundBlaster/Adlib passando per il formato Tandy e la Roland MT-32.

Collegando un sintetizzatore Roland MT-32 e impostando gli strumenti usati da chi aveva composto ad origine la melodia, si veniva accolti da una nota sul display del sintetizzatore che, facendo riferimento ad una valuta esistente nel mondo futuristico di Space’s Quest chiedeva di “Inserire un Buckazoide” in un immaginario Jukebox virtuale (pensate ad un sintetizzatore come ad una pianola meccanica in grado di suonare quello che un nastro perforato “attivi”).

Facendolo il PC avrebbe “ordinato” al sintetizzatore di suonare la traccia audio originale sul momento in formato MIDI. Tecnicamente non eri più davanti al computer che “ordina ad un buzzer di suonare”, o a un gioco con una traccia audio già presente nel suo programma e data in pasto ad una scheda audio, ma ad una serie di istruzioni per ordinare ad un sintetizzatore MIDI di suonare una melodia convincente.

Perché l’esperimento MIDI finì presto (tra i gamers)

Ancora oggi MIDI è uno strumento essenziale per i musicisti. Per i gamers semplicemente fu reso obsoleto perché era diventato assai più semplice ad esempio inserire tracce audio ad alta qualità nel CD di gioco, che avrebbe funzionato sia come supporto dati che come supporto per musica e vero e proprio audio doppiato.

A questo punto non avevi più bisogno di una “orchestra virtuale”, peraltro assai costosa, quando potevi avere audio su CD.

Come questo colpì il “terzo concorrente”

Abbiamo visto Adlib, abbiamo visto Sound Blaster, ma molti di voi ricorderanno “Gravis UltraSound” nella lista delle schede audio selezionabili. La GUS, prodotta da Advanced Gravis Computer Technology Ltd e dallo stesso team dietro il Paula degli Amiga, aveva 32 canali audio e suoni campionati da strumenti reali e non sintetizzati.

Scelta che pagava in termini di qualità sonora e di compatibilità MIDI, ma rendeva più difficoltoso per i produttori di giochi programmare un approccio simil-sintetizzatore a “patches” musicali, ovvero dedicato ad una banca dati di strumenti e la rendeva scarsamente compatibile con la Soundblaster.

Gravis Ultrasound

Potevi emulare una Roland MT-32 e la parte “solo digitale” di una Soundblaster caricando le apposite patches in memoria, ma molti giocatori casuali semplicemente si accontentavano della Soundblaster.

La Soundblaster di generazione in generazione cresceva di canali audio e qualità generale, restando compatibile con se stessa e con la Adlib, la Gravis Ultrasound non poté usufruire di questo vantaggio e, come l’uso dei sintetizzatori MIDI, presto svanì nell’ottica di “avere tanto con pochi soldi”.

Un esperimento poco noto, la SSI Innovation 2001

Nel 1989 prese piede un bizzarro esperimento, supportato da un numero limitato di giochi, la SSI 2001 di Innovation.

Parliamo di una scheda audio “orfana” che poteva supportare un chip SID: quello del Commodore 64.

Come abbiamo visto, il SID era un’esclusiva dei computer Commodore, anche se l’esistenza nel mercato del “New Old Stock”, ovvero del “fondo di magazzino mai toccato” di modelli 8580 marchiati come 6582 suggerisce l’esistenza di un mercato per MOS/CSG del “singolo SID”.

SSI Innovation 2001, fonte www.vgmpf.com

Il SID (il modello originale della SSI 2001 supportava solo il 6581, arrivarono modelli successivi modificati per supportare l’8580) veniva inserito in una scheda ISA, che veniva inserita nel PC dando allo stesso le capacità audio, nel 1989 ancora apprezzatissime, del chip MOS/CSG.

SidBlaster, “ricreazione” moderna

Ovviamente eravamo alla fine dell’era Commodore, il cui tracollo sarebbe arrivato pochi anni dopo, e con Sound Blaster e Roland a lavorarsi il mercato dell’audio di lusso la SSI divenne una curiosità, recentemente resuscitata con cloni dell’originale scheda e col citato SIDBlaster USB, strumento per usare un SID su un computer moderno.

Da Quicktime a Windows 95 fino ad oggi, l’audio moderno

Nell’agosto del 1995 si consuma una vera rivoluzione nel mondo del PC Compatibile: arriva Windows 95, con una vocazione multimediale ostentata nel modo più fracassone possibile.

Il paradigma era mutato: Apple, superate le incertezze con Apple Corps, già nel 1991 aveva portato l’audiovideo nelle case dei suoi utenti.

E non sottoforma di Laserdisc o VideoCD: ma proprio con file audiovideo leggibili con un lettore presente sul proprio computer, Quicktime.

Microsoft non volle essere da meno: Windows 95 col plug’n play aveva liberato l’audio dal confine della retrocompatibilità Soundblaster forzata, e voleva spingere la multimedialità oltre ogni confine.

Windows 95 era costruito intorno al concetto di multimedialità: suoni di sistema liberamente sostuibili ed espandibili, lettori musicali e video in grado di supportare musica da CD e da qualsiasi altro formato, e uno spezzone di Happy Days con una canzone di Buddy Holly messo direttamente nel CD di installazione.

Immagine di “Weezer”, fonte VEVO

Eravamo al cambio di Paradigma: non compravi più un austero e silenzioso PC per poi aggiungervi in qualche modo “abbastanza audio” per giocare al livello delle console domestiche.

Compravi un vero “PC Multimediale”, assemblato con audio, video e un lettore CD già pronti all’uso e facile da usare, e ti aspettavi che suonasse e ti intrattenesse, anche solo con uno spezzone di Happy Days ad una qualità che oggi non accetteremmo.

Da quel momento in poi si aprì un mondo: non eri più tu, utente, a cercare di rincorrere la chimera del suono, ma il tuo Macintosh e il tuo PC nascevano multimediali e un paio di casse audio di qualità decente erano tutto quello che ti serviva per entrare in un mondo di suono e colore.

E oggi?

Oggi è scontatissimo per un utente MacOS trovarsi Garageband e “Musica” sul proprio desktop in modo da ascoltare file musicali o comporre la propria musica nel tempo libero.

È palese che un “gamer” su PC si aspetti di avere giochi arricchiti dalla massima esperienza sonora raggiungibile, o che l’utente domestico possa godere delle meraviglie dei film e dell’audio in streaming guardando film e video musicali sul proprio PC senza alcuno sforzo.

Dal 1995 ad oggi siamo passati dallo scambiarci in vari modi (non sempre legali…) intere librerie di musica da ascoltarsi rigorosamente su WinAMP e film al considerare la nostra esperienza informatica completa solo scambiandoci video e audio al punto di avere interi social dove la comunicazione passa dal colore e dal suono.

Storica immagine di WinAMP

Oggi troviamo perfettamente logico comprare un computer ed aspettarci che abbia un audio eccellente. Anzi, solo un ristretto numero di audiofili attualmente sceglierà una scheda audio diversa da quella che ha già incorporata nel suo computer.

La media degli utenti, anche gamer accaniti o cinefili, vive in un mondo in cui il suo computer è già un “mediacenter” naturale e il suo Macbook è pronto al montaggio audiovideo appena uscito dalla scatola.

Dimenticandosi un tempo non lontano in cui la musica era l’ultima cosa a cui avresti pensato parlando di un computer.

 

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