Carola Rackete prosciolta dal GIP: questo è il finale di una vicenda di cui avevate chiesto lumi sin dall’ormai lontanissimo 2019.
Potevamo, allora come adesso, offrire un approfondimento, ma potevamo solo ipotizzare, con l’olio della legge e della dottrina, gli esiti processuali. Senza pretesa di sostituirci alla giustizia, ma ad essa, con certezza, affidandoci.
Se il diritto non è una “scienza esatta” ha comunque delle sue regole, e anticipammo all’epoca che, secondo l’evidenza di quelle regole, un proscioglimento sarebbe stato l’esito più probabile. Ricordate?
Possiamo ora passare ad incassare questa piccola scommessa: non perché questa pagina tenga ad un esito piuttosto che un altro, ma perché i fatti ci interessano, e nulla altro. E quando un evento accade secondo logica, consentiteci la soddisfazione di aver provato a prevederlo con logica e senza emotività, e per questo anticipandolo.
Il 29 Giugno Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3 si trova letteralmente tra l’incudine e il martello.
Da un lato, è su una nave, la Sea Watch 3, piena di gente, disperati, stremati da 14 giorni in mare.
Per essere precisi 42 persone racchiuse in tre metri quadri di spazio per ciascuna, esposti alla salsedine che brucia (letteralmente: macerare nella salsedine e nel carburante provoca ustioni chimiche) la pelle e la carne, tra cui minori abusati, persone sull’orlo del suicidio ed un quadro clinico e psicologico drammatico.
L’incudine è in questo caso il Decreto Sicurezza 2 che prevede ingenti multe ed il sequestro della nave per chi operi senza rispettare e le convenzioni internazionali e le istruzioni delle autorità competenti per il soccorso secondo area SAR. Autorità competenti che in questo caso erano le autorità Libiche. Libia all’epoca non considerata e considerabile porto sicuro.
Il martello è lo stato di necessità attinto ulteriormente dal dovere di soccorso.
Ne riparleremo citando le precedenti analisi, nel capitolo precedente. Per quanto attiene questa discussione basti pensare che se vedo un ferito a ciglio strada, o qualcuno che affoga in mare, ho il dovere oltre che morale giuridico di non lasciarlo morire. E una volta che mi prendo tale responsabilità, non posso cavarmela con un “perdirindina, non posso andare avanti, mi dispiace, è stato bello, mi sa che ti tocca morire”.
Non posso. E la legge mi riconosce espressamente lo “stato di necessità come scriminante”, ovvero anche se la mia azione non fosse consentita, riconosciuta la necessità e l’inevitabilità di tale gesto, lo Stato si rende conto che non può punirmi per qualcosa che era inevitabile e ormai sottratto dalla mia volontà e non lo fa.
Il 29 Giugno il Capitano Rackete decide di attraccare in porto mettendo al sicuro i 42 disperati.
C’è una vedetta della Guardia di Finanza per impedire lo sbarco: ma parliamo della Sea Watch 3, un bestione di 600 tonnellate che una volta messo in moto è praticamente impossibile da fermare.
La manovra va a termine, il capitano Rackete viene accusata di aver tentato di speronare la nave.
Immaginate di avere un ferito a bordo. State guidando un’autolettiga, un’ambulanza privata o pubblica (poco importa) o altro mezzo.
Il ferito sta tirando gli estremi: se non arrivate in tempo, il ferito muore. Quindi accendete i lampeggianti se li avete, se non li avete strombazzate come assatanati e correte alla massima velocità raggiungendo l’ambulanza.
Un soggetto a caso decide di fermarsi davanti all’ambulanza, minacciando di denunciarvi perché state violando (come state violando, effettivamente), diverse norme di sicurezza, chiama la polizia e vi sbarra l’accesso con la sua macchina dicendo che è nel suo diritto farlo.
Nel frattempo il trasportato muore, la polizia arriva, raccoglie i dati e si porta via l’omarino, accusato del gravissimo reato di omicidio.
Cos’è successo?
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo
La ratio è simile, ma non coincidente con la scriminante della legittima difesa, che proprio in questi giorni abbiamo scoperto non essere poi stata così tanto allargata.
Citando i professionisti di Studio Cataldi
Non c’è quindi un’aggressione da cui difendersi ma uno stato oggettivo di necessità.
Dalla lettura testuale della norma si desume che i requisiti perché si possa invocare lo stato di necessità sono:
– l’esistenza di un pericolo attuale e inevitabile;
– l’esistenza di un pericolo che riguardi un danno grave alla persona.
Anche i requisiti del danno e del pericolo non sono limitati al solo pericolo di vita come nel nostro esempio. Infatti gli esempi devono essere inesatti e semplificati, per far capire un concetto.
Ma la realtà dei fatti è assai complessa e degna di maggiori esami, e quindi
Al fine dell’operatività della scriminante, la situazione di pericolo che rende l’azione necessitata deve essere attuale e l’attualità del pericolo deve essere valutata ex ante con riferimento alla situazione in cui versa l’agente prima di porre in essere la sua condotta offensiva. Il pericolo attiene ad un grave danno alla persona propria o altrui: non necessariamente ad essere minacciato deve essere il bene vita o l’integrità fisica; la situazione di pericolo può investire anche altri diritti della personalità come la libertà personale, l’onore e il decoro.
La norma, poi, prescrive che lo stato di pericolo non deve essere stato volontariamente causato dall’agente e che non sia altrimenti evitabile, nonché che l’azione lesiva sia necessaria. Ulteriore presupposto richiesto, ai fini della configurabilità della scriminante, è la proporzionalità tra il danno arrecato con l’azione necessitata ed il pericolo di danno determinato dalla situazione necessitante. La comparazione deve effettuarsi con riferimento al valore dei beni in conflitto e con riguardo al grado di lesione minacciato e arrecato.
Premettiamo che una verità processuale spetta al sistema giustizia.
Sul “coscientemente” possiamo già opinare. E per bocca di esperti veri, non il solito consiglio dei Dieci Assenti o grandi anonimi. Incorporeremo un fortunato post che sta facendo luce sulla questione.
Trattasi di Mario Piazza, abilitato al comando e persona di comprovata esperienza.
Trattasi di persona che formalmente vi diffidiamo dall’infastidire per piaggeria o rabbia politica perché ogni insulto nei suoi confronti sarà debitamente segnalato e comporterà ban ed una chiacchierata col Comandante.
Trattasi di persona che vi ricorda le più elementari regole della fisica: l’abbrivio.
Leggerete il suo post, che per quanto tecnico è redatto in un linguaggio assai semplice. In questo caso la verità, e non la “Verità” di Carola è che alle leggi della fisica non si comanda.
L’abbrivio e la conservazione del moto e della massa esistono: se pensate che si possa fermare una nave della stazza della Sea-Watch 3 una volta iniziata la manovra di attracco con la stessa velocità con cui fermate il vostro pandino usato, non solo dovrebbero togliervi la patente, ma non dovrebbero farvi usare più neppure le scarpe da ginnastica.
Cala ora la fine sull’inchiesta, e tutti gli elementi che abbiamo elencato si incastrano a vicenda come in un puzzle.
Aggiungiamo solo un ultimo tassello: già dalla mancata convalida dell’arresto avevamo anticipato l’esistenza della scriminante e appurato che la vedetta non era da considerarsi, in quel momento, avente funzione di mezzo militare, escludendo quindi l’esistenza del reato di resistenza o violenza verso nave da guerra.
Che, oltretutto, non vi sarebbe stata perché, per le ragioni predette, sarebbe come querelare le stesse leggi della fisica per prevedere che un corpo messo in moto continua a muoversi per inerzia anche quando la forza che lo sospinge è cessata.
Riporta secondo la stampa il legale dell’imputata ora prosciolta
A commentare la decisione di archiviare l’inchiesta anche il legale della comandante Alessandro Gamberini, che ai microfoni dei giornalisti ha affermato: “Do per scontato che il decreto di archiviazione si muova sull’itinerario con cui la stessa Corte di Cassazione aveva ritenuto che non fosse da convalidare l’arresto di Carola Rackete, perché aveva adempiuto al suo dovere di soccorso e di portare i migranti in un porto sicuro”.
Per AdnKronos il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, ha confermato che nella decisione odierna “ci siamo adeguati alle indicazioni della Corte di Cassazione che aveva confermato l’annullamento dell’arresto. Pur avendo qualche perplessità sul bilanciamento dei beni giuridici in gioco”.
Perplessità, ovviamente, condivisibili. Anche noi, del resto, usammo la formula dubitativa doverosa in questi casi. Venendo tirati per la giacchetta da utenti sin troppo frettolosi.
Ovviamente, i diversi schieramenti politici restano sulle posizioni già evidenziate due anni fa, con le posizioni di Orfini e Meloni nettamente divergenti.
Ma il gioco della politica appartiene, appunto. Alla politica. In filo di diritto, questo è tutto quanto avevamo da dire.
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