Carola dice “Guarda che io a mio padre gli ho già sputato in faccia”
La passione dei mematori per le bufale, come dimostra il caso “Guarda che io a mio padre gli ho già sputato in faccia” tende a rasentare i limiti del grottesco.
Chi mema, abbiamo già appurato, non lo fa per la verità. La verità si fa coi fatti e le prove, e i mematori spesso agiscono animati da calcolo e pregiudizio.
Chi mema, sappiamo, non lo fa per satira. La satira è coraggiosa, se la prende col potente. Il meme è un linguaggio vile e codardo, se la prende col debole, con chi versa in difficoltà e con chi non può rispondere. Il meme si nasconde come un bambino viziato dietro i pantaloni del potente implorando protezione in cambio di servilità.
Il meme non è satira né verità, non è critica né risata. È il meme, il discendente dei disegnetti della propaganda dei più vili totalitaritasmi.
E credere nel meme non è segno di arguzia. Specie quando il mematore non ha fantasia.
Specie quando si ricicla la frase “Guarda che io a mio padre gli ho già sputato in faccia” da un film: per essere precisi Un sacco bello di Verdone, denunciando la chiara matrice ideologica alle spalle del meme stesso.
La frase, dicevamo, è presa dal film Un sacco bello di Verdone. E viene proferita dal personaggio di Fiorenza, una becera parodia dell’hippy strafatta e dalla mente ottenebrata dagli stupefacenti che biascica luoghi comuni per tutto il film.
Abbiamo visto in passato meme non meno falsi con termini come rastona, drogata e altri insulti non meno lesivi.
Il senso è lo stesso: il mematore vuole accomunare, per i pochi piranha che ha eccitato lanciando il prosciutto in grado di riconoscere la citazione, il Capitano Rackete al vacuo personaggio sfatto e dal cervello bruciato raffigurato dal film di Verdone.
Tutti gli altri vuole solamente indinniarli.
E qui, ribadiamo, siamo anni luce dalla satira. Anni luce dall’ironia, ma siamo nell’aperta piaggeria politica nell’opulento stile dei Due Minuti di Odio previsti da George Orwell.
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