Capire i mali della disinformazione: e farlo con gli strumenti giusti
Capire i mali della disinformazione è il titolo di uno studio pubblicato su Nature recentemente ma sottoposto nel 2021. La situazione che descrive è gravissima, ma, tranquilli, negli ultimi anni è peggiorata.
Il testo si basa su un assioma di fondo: noi siamo quello che consumiamo e i contenuti a cui siamo esposti in Rete sono ormai buona parte della nostra visione del mondo.
Ma quello che abbiamo in Rete è ormai poco più che “slop”: un miscuglio di falsità, falsità create con AI, agenti malevoli (troll, fabbriche del troll filorusse, gruppi organizzati “notutto”), boccaloni veri e bot creati artificialmente per spingere narrazioni che come un’orda zombie, zombificano chi le tocca.
Un clima volutamente tossico che influenza la vita politica, sociale e pubblica di intere nazioni agendo sull’anello più debole della catena: l’analfabeta funzionale.
Capire i mali della disinformazione: e farlo con gli strumenti giusti
Partiamo da un pubblico di base: pubblico in grado di leggere e scrivere a livello scolastico, ma di non essere in grado di selezionare fonti.
Un pubblico per cui la fake news di “Biden confuso trascinato dalla Meloni” è vera perché “Lo dicono i giornali online quindi se è scritto su Internet è vero”, e per cui è perfettamente normale ritenere che la suddetta Premier Italiana nel tempo libero venda Bitcoin online perché “Quella è la faccia sua e se appare su Internet è vero uguale”.
Un pubblico che non è in grado di districarsi tra una fake news, un deepfake, un contenuto manipolato o un falso giornale, che crede al “Fatto Quotidaino” come al “Fatto Quotidiano” e che convidive articoli di Der Spiegel “Made in Russia” rispondendo convinto a chi gli fa notare che negli archivi della testata non esistono che “i Poteri Forti li hanno censurati”.
Ma in realtà lo studio ci ricorda che gli agenti di cui parliamo sono una minoranza.
Ma una minoranza rumorosa e amplificata, in una sorta di profezia che tende ad autoavverarsi. Sono esistiti novax, non meno risibli, dal giorno dopo l’esistenza del primo vaccino.
Oggi quando un novax diventa imbrattamuri, riesce ad arrivare sulle pagine dei giornali conquistandosi una immeritata gloria e cavalcando un algoritmo che altrimenti gli sarebbe negato.
Se è pur vero che i nuovi media sono una miniera per i complottisti, è il “passaggio analogico” che ancora influenza l’informazione: molti contenuti diventano virali perché, come abbiamo visto, “saltano” da Telegram alla stampa (vedi il caso del “video di Biden del Team Trump” finito sulle testate di mezzo mondo), e molti contenuti sfuggono all’occhio vigile dei volontari.
La legge di Brandolini e i nuovi strumenti
La Legge di Brandolini dichiara che ci sarà sempre uno sforzo maggiore nel combattere la disinformazione che nel produrla: non tutti gli articoli vengono esaminati, abbiamo già avuto modo di vedere in passato come le bufale hanno una diffusione brevissima ma effetti eterni e il fact checking una diffusione lenta e spesso tardiva.
Da un lato bisognerebbe disincentivare la diffusione delle fake news: meno spazio sui giornali per “lo scoop del giorno”, ma anche demonetizzazione degli hub principali (meno di quanto si pensa) della disinformazione online per togliere ai professionisti del fake benzina per le loro creazioni.
Il cittadino potrà evitare di affidare il suo voto a forze politiche che, nel mondo sembrano cavalcare la disinformazione, ad esempio formando agende antieuropeiste, antioccidentali, antivacciniste e anti ambiente traslando la fake news, altrimenti confinata al “gruppo carbonaro” alla vita politica della nazione e i Social dovranno fare trasparenza, invertendo decisioni come quella di X di rendere onerose le API che consentono a fact checker e altri enti di esaminare la penetrazione delle fake.
Tutto questo, dando fondi per il contrasto alla disinformazione e creando agenzie sovranazionali: siamo consapevoli di sapere quali fake news si diffondano in Occidente, ma siamo del tutto a digiuno o quasi di quello che accade poco oltre i nostri confini, come Cina ed economie emergenti, spesso campo di lotta della Guerra Ibrida.
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