Cancellata la pagina Facebook di Casapound: la sentenza arriva dopo tre anni dal provvedimento di cui avevamo parlato nel 2019. Quello iniziato con la decisione di Meta (allora solo “Facebook”) di rimuovere i profili del movimento politico per violazione delle loro policy.
Ne seguì nell’immediato una querelle giudiziaria nella quale Casapound ottenne dal Tribunale di Roma il reintegro dei propri account social, respingendo il ricorso della società avverso il provvedimento cautelare.
La decisione del merito ributta la palla in campo.
Con la sentenza 17909 del 5 dicembre 2022 il Tribunale decide in primo grado di consentire a Meta la rimozione dei profili.
La sentenza quindi dispiega i suoi effetti giuridici superando quelli della precedente ordinanza con un effetto giuridico del tutto opposto e motivazioni allineate alla decisione dell’allora Facebook, ora Meta
“I discorsi d’odio, poiché in grado di negare il valore stesso della persona così come garantito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione – si legge nella sentenza – non rientrano nell’ambito della tutela della libertà di manifestazione del pensiero che non può spingersi fino a negare i principi fondamentali e inviolabili del nostro ordinamento”.
Dichiara la sentenza, negando dunque che nel caso di specie (enfasi, solo nel caso di specie) la manifestazione del pensiero possa essere considerata un assoluto in grado di fare da scudo ad ogni decisione.
Riconosciuti i contenuti contestati come hate speech, il Tribunale come passo successivo dichiara che Meta avrebbe dovuto già provvedere illo tempore “risolvendo il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate al momento della sua conclusione”.
Non solo secondo la Sezione diritti della persona e immigrazione civile Meta a suo tempo poteva rimuovere, ma nel caso di specie doveva rimuovere, infatti
“aveva il dovere legale di rimuovere i contenuti, una volta venutone a conoscenza, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità (si veda la sentenza della CGUE sopra citata e la direttiva CE in materia), dovere imposto anche dal codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea”.
La sentenza, molto rigida e ferrea, ha dispiegato immediatamente i suoi effetti: Meta non ha perso tempo nel provvedere alla rimozione.
Va detto che, ovviamente, riteniamo controparte non starà a guardare: consegue ad una sentenza di primo grado la possibilità di gravame, quindi appello per legittimità e merito e, nel caso, il terzo grado di legittimità ovvero la Cassazione.
Intanto la vicenda di cui vi avevamo parlato nel 2019 va avanti: se sembra che vi “neghiamo aggiornamenti” non è per censura. La Giustizia ha il piede lento, ma lentamente si muove, ed inesorabilmente.
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