Proprio mentre stavamo per pubblicare l’articolo che trattava il tema delle due ragazze rapite in Siria, arriva l’annuncio da Palazzo Chigi che Vanessa Marzullo e Greta Ramelli sono state liberate.
Ancora una volta in queste fredde giornate invernali dobbiamo occuparci, tra le varie bufale, di testi che sfuggono anche solo alla classificazione.
Una bufala, come avrete senz’altro appreso scorrendo queste pagine, è sostanzialmente un resoconto artefatto, falso in tutto o in parte di un evento. Una bugia bella e buona, per usare un linguaggio chiaro e comprensibile, oppure una mezza verità ricoperta di tante piccole menzogne che si cerca di far passare nella mente del lettore usando la mezza verità al suo interno come un autentico Cavallo di Troia.
Poi ci sono testi come questo, attacchi frontali a persone come Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, portati con lame appena spuntate dal ricorso continuo alla “formula dubitativa”.
La notizia la conoscerete tutti: Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, in un’era in cui l’informazione è tanto assoluta quanto l’accidia, in cui tutti possiamo sapere precisamente e puntualmente quanti bambini e civili muoiono in un determinato conflitto, ma molti di noi scelgono di “aiutarli” cliccando “mi piace” sulle loro foto e premendo il tasto “Condividi” come servisse davvero a qualcosa, decidono di partire e provare a dare una mano.
Greta Ramelli, ci ricorda il Giorno, è
Volontaria nella Croce Rossa e nelle case di riposo, dove fin dalle medie leggeva libri e accudiva gli ospiti. Mesi dedicati alle vittime dell’Aids e ai malati terminali in Africa e in India. Una passione per i bambini e per gli anziani. È un ritratto inedito quello di Greta Ramelli, la giovane diGavirate (Varese) rapita il 31 luglio ad Aleppo insieme aVanessa Marzullo. A tracciarlo è Claudia Ceniti, fondatrice della onlus «Il Cuore in Siria», che da circa due anni invia medicinali e beni di prima necessità alle vittime civili del conflitto.
Vanessa Marzullo lascia invece le sue parole dinanzi alle telecamere del Messaggero, manifestando un forte interesse per l’infanzia di Damasco, le tasche piene delle foto di bambini bisognosi, il rifiuto di pensare per categorie, per scatole chiuse, il tentativo forse ingenuo, forse giovanile di salvare più vite possibili, di andare là dove c’è bisogno, di capire e parlare.
Ingenuità, dicevo. E proprio tanta ingenuità, ma nel senso più puro e meno derisorio del termine, alla fine si è scontrata con le durezze della vita. Non sempre le cose vanno come desidereremmo, e due ragazze andate in un paese in guerra per aiutarne bambini e civili, alla fine sono diventate vittime anche loro. Capita, purtroppo, quando si è in guerra.
Ora sono vittime anche loro, e ad una vittima si deve aiuto. Se non aiuto, almeno il briciolo di compassione umana che in passato le spinse a partire e che in molti di noi può anche solo concretarsi nell’impegno di capire, approfondire la complessa situazione Siriana, contribuire nel nostro piccolo all’invio di medicinali e beni di prima necessità per malati e vittime civili ed uscire dal gioco della condivisioni facili.
Poi, alla fine, arrivano articoli come quelli che ci vengono sottoposti.
Formule dubitative, buttate lì a caso come i biblici sassi lanciati addosso all’adultera da persone cui non ci resta che chiedere se siano davvero “senza alcun peccato”.
Del data mining allo stato puro, i commenti di persone terze dal nome arabo che scrivono frasi atroci, “provolonesche” (Carina. Così adesso vieni a combattere con noi eroina. In qualsiasi momento sei la benvenuta) additate come la “pistola fumante” di un complotto che vorrebbe le due ragazze delle spietate guerrigliere e non delle volontarie malamente “tacchinate” da un giovane provolone come ce ne sono in tutto il mondo, anche dove c’è guerra.
Data mining ed insinuazioni: foto dello status quo siriano, con miliziani in divisa, tacciate di essere manifestazioni di “interesse”, come se si fotografasse un miliziano solo per “il fascino della divisa” e non per narrare una storia, l’impietoso cercare ogni manifestazione di scoramento e rabbia per dipingere un quadro a tinte fosche.
Un florilegio di manifestazioni dubitative, tra “Potrebbe”, “Probabilmente” ed ipotesi di ogni tipo.
Ipotesi, si badi. Ipotesi da opporre a concreti atti di generosità.
Cui prodest cercare in ogni modo di appendere, ai ganci del “potrebbe” e “probabilmente” una presunta patente di terrorista, di cattiva, di nemico a delle volontarie che stanno già pagando un prezzo sin troppo alto a causa del forse ingenuo desiderio di spegnere un monitor ed andare ad aiutare lì dove quelle immagini di sangue e violenza sono vere e concrete?
Forse, e sottolineo forse, è un errore fare un eroe di ogni uomo e donna di buona volontà. Ma non è un errore ancora più grave farne un mostro, così da tacitare ogni dubbio nelle nostre coscienze?
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