BUFALA Quello che si sta scoprendo sui vaccini vi farà gelare il sangue nelle vene. Guardate… – bufale.net

Ci sono  delle notizie che, semplicemente, sono più viralizzabili della smentita. Ci sono accuse che hanno più valore virale delle scuse, e scuse che non perverranno mai perché se il viralizzatore dovesse fare ammenda dovrebbe interrompere la condivisione del suo contenuto virale, e perderne in clic.

Ancora oggi ci segnalano un lunghissimo articolo targato Attivo.tv, pubblicato il 29 Gennaio  2017, relativo ad una vicenda  conclusasi sei mesi fa, e non nel senso indicato nell’articolo stesso

Il lunghissimo articolo sostanzialmente è una sequela di accuse ad  Ilaria Capua, virologa e deputato. Vi citiamo solo alcune “perle” contenute nell’articolo

Ceppi di aviaria spediti in Italia per posta. Accordi tra scienziati e aziende. L’inchiesta segreta dei Nas e della procura di Roma ipotizza un vero e proprio traffico illegale. E nel registro degli indagati c’è un nome eccellente: quello di Ilaria Capua, virologa di fama e deputato. Che respinge le accuse.

Creano le epidemie, fomentano la paura e poi ti vendono la presunta cura, che magari non funziona nemmeno.

Dentro, in una confezione termica, alcuni cubetti di ghiaccio molto speciali: contengono uno dei virus dell’aviaria, l’epidemia che dieci anni fa ha scatenato il panico in tutto il pianeta. Quando il postino lo consegna, il destinatario è assente: è il manager italiano di una grande azienda veterinaria. La moglie lo chiama al telefono: «Cosa devo farci?». «Mettilo subito nel congelatore». Sembra il copione di un film apocalittico, con la malattia trasmessa da continente a continente scavalcando tutti i controlli. Invece è uno degli episodi choc descritti in un’inchiesta top secret della procura di Roma sul traffico internazionale di virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli e dirigenti di industrie farmaceutiche: tutti pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie. Questa indagine svela il retroscena dell’emergenza sanitaria provocata dall’aviaria in Italia. E si scopre che i ceppi delle malattie più contagiose per gli animali e, in alcuni casi, persino per gli uomini viaggiano da un Paese all’altro, senza precauzioni e senza autorizzazioni. Esistono trafficanti disposti a pagare decine e decine di migliaia di euro pur di impadronirsi degli agenti patogeni: averli prima permette di sviluppare i vaccini battendo la concorrenza.

L’indagine è stata aperta dalle autorità americane e poi portata avanti dai carabinieri del Nas. Perché l’Italia sembra essere uno snodo fondamentale del traffico di virus. Al centro c’è un groviglio di interessi dai confini molto confusi tra le aziende che producono medicinali e le istituzioni pubbliche che dovrebbero sperimentarle e certificarle. Con un sospetto, messo nero su bianco dagli investigatori dell’Arma: emerge un business delle epidemie che segue una cinica strategia commerciale. Amplifica il pericolo di diffusione e i rischi per l’uomo, spingendo le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d’urgenza. Che si trasformano in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie, sia per proteggere la popolazione che per difendere gli allevamenti di bestiame. In un caso, ipotizzano perfino che la diffusione del virus tra il pollame del Nord Italia sia stata direttamente legata alle attività illecite di alcuni manager.

[…]

Secondo gli investigatori del Nas, anche la Capua e l’Istituto Zooprofilattico sono coinvolti nel traffico illegale: la scienziata sarebbe stata pagata per fornire agenti patogeni. In una conversazione registrata è la stessa virologa a farne esplicito riferimento, sostenendo di aver ceduto ceppi virali in favore di un veterinario americano. Per i carabinieri, da alcune intercettazioni “appare evidente come il contrabbando dei ceppi virali dell’influenza aviaria, posto in essere dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, nelle persone di Ilaria Capua, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli, con il concorso del marito della dottoressa Capua, Richard William John Currie, costituisca di fatto un serio e concreto pericolo per la salute pubblica per il mancato rispetto delle norme di biosicurezza”.

L’unica cosa che appare evidente è che chi condivide contenuti virali dovrebbe quantomeno aprire un giornale.

Ilaria Capua è stata  assolta da tutte le accuse riportate in quell’articolo datato gennaio 2017  (che in realtà è un brano dell’Espresso del 2014 artatamente rimaneggiato con qualche frasetta caricata e l’espunzione di ogni elemento datario per calcare la mano sulle accuse e bloccare la vicenda in un eterno Giorno della Marmotta).

Partiamo con ordine, seguendo quanto affermato da Il Post

Il caso è iniziato negli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, quando nel timore di un attacco con agenti biologici, diverse società farmaceutiche furono messe sotto indagine. Le autorità federali americane scoprirono che alcuni anni prima il Maine Biological Laboratory, un laboratorio che produce vaccini, aveva importato illegalmente negli Stati Uniti un ceppo di influenza aviaria dall’Arabia Saudita, aveva elaborato un vaccino e poi ne aveva rivenduto circa ottomila dosi nel paese da cui proveniva il virus. La società venne multata per mezzo milione di dollari e diversi manager furono condannati. Il caso venne fuori grazie a un informatore. Secondo le ricostruzioni italiane, quell’informatore era Paolo Candoli, originario di Cesenatico, in Romagna, e manager di Merial. I documenti riguardanti Candoli furono inviati in Italia, dove cominciarono a indagare i carabinieri del NAS e poi il magistrato della procura di Roma Giancarlo Capaldo.

Le carte su Candoli arrivarono in Italia dagli Stati Uniti nel 2005. Quell’anno i magistrati iniziarono a fare le prime intercettazioni telefoniche. Le indagini continuarono per i dieci anni successivi, fino a quando nel 2015 la procura di Roma non chiese il rinvio a giudizio per 41 tra ricercatori, funzionari del ministero della Salute e manager di case farmaceutiche. Dell’inchiesta non si conosceva nulla fino all’anno precedente, quando nell’aprile del 2014 qualcuno consegnò una parte delle carte dell’inchiesta a Abbate (curiosamente, nonostante la lunghissima durata delle indagini, Capua non venne mai sentita dai magistrati).

Il caso era estremamente complesso e confuso e i documenti delle indagini, come si capirà in seguito, erano pieni di errori e imprecisioni. L’Espresso decise di titolare in copertina con un sommario molto duro: «Accordi tra scienziati e aziende per produrre vaccini e arricchirsi, ceppi di aviaria contrabbandati per posta rischiando di diffonderli. L’inchiesta segreta dei NAS e dei magistrati di Roma sul grande affare delle epidemie». Il giornale tornò sul caso poche settimane dopo, con un articolo di Gianluca Di Feo intitolato “La cupola dei vaccini“. Nel 2015, quando la procura di Roma chiese il rinvio a giudizio per i 41 indagati, l’Espressoscrisse: «Esiste una cupola dei vaccini, che ha trasformato in business la lotta a virus pericolosi, garantendo l’arricchimento e la carriera di funzionari pubblici. È la conclusione della procura di Roma, che ha chiuso l’istruttoria durata otto anni, confermando l’inchiesta pubblicata da “l’Espresso” nello scorso aprile».

L’inchiesta però non rimase alla procura di Roma, ma venne “spezzettata” per ragioni di competenza territoriale e inviata a diverse procure, tra cui quella di Verona che si è espressa ieri, prosciogliendo tutti gli indagati perché “il fatto non sussiste”. Dell’indagine si parlò anche all’estero, soprattutto a causa della fama internazionale di Capua. La rivista Science dedicò all’inchiesta un lungo articolo piuttosto critico, in cui notava diversi errori scientifici nelle carte dei NAS e della procura: «I documenti non sembra siano stati revisionati da esperti scientifici». Per esempio i NAS a un certo punto parlando di una malattia trasmessa dalle zanzare chiamata “West Nair”, quando è più probabile che intendessero “West Nile”.

Altri problemi riguardano le accuse di aver “diffuso l’epidemia”, della quale nelle carte dell’indagine non esistono prove. Marco Datti, capo del NAS e autore delle indagini, ha detto ai giudici che la sua squadra non ha trovato alcuna prova aldilà delle conversazioni intercettate (Datti si trova al momento sotto processo per un altro caso non collegato). Capua ha fatto notare che il tipo di virus che ha causato l’epidemia di influenza aviaria era di un ceppo diverso da quello che lei aveva a disposizione nel suo laboratorio. Science ha chiesto l’opinione di Christianne Bruschke, un veterinario ed ex specialista di influenza aviaria presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo Bruschke è difficile da credere che una società internazionale come Merial commerci in vaccini illegali o addirittura cerchi di diffondere epidemie. Le accuse a Capua sono particolarmente ironiche, scrive Bruschke. Secondo i magistrati, la ricercatrice avrebbe aiutato una società privata a fare profitti grazie al virus dell’influenza, ma Capua è famosa a livello internazionale per il suo impegno per mantenere la ricerca sui virus aperta e fruibile da tutti. Nel 2006, per esempio, ha sostenuto la necessità di diffondere immediatamente tutti i dati sui virus dell’influenza aviaria, invece di tenerli chiusi in un cassetto in attesa di una pubblicazione su una rivista scientifica.

Sostanzialmente, nel complesso clima di panico post-11 Settembre, alcune società farmaceutiche finirono sotto scrutinio, e si scoprì che una società americana  aveva importato dei ceppi virali allo scopo di avere delle ricerche “già pronte” in caso di necessità.

Fu fatto il nome di Ilaria Capua, che però durante le indagini si scoprì star svolgendo le sue ricerche  su un ceppo virale completamente diverso quindi, per usare un linguaggio semplice, non gliene poteva importare di meno dell’oggetto delle indagine.

Già nel 2014 l’interessata ebbe a dichiarare

«Sono sbigottita, queste ipotesi si basano su errori grossolani che trasformano la realtà», dice al Corriere la scienziata, n primo errore consiste nella confusione tra ceppi virali che emerge dal resoconto pubblicato dall’Espresso. «Si ipotizza che dei virus spediti illegalmente a terzi dall’Arabia Saudita abbiano acceso nel 1999 un focolaio di influenza aviaria nel Nord Italia. Ma si tratta di due virus che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Quello saudita è del tipo H9N2, l’italiano è H7N1». L’idea che sia stato un campione di virus importato in barba a tutte le norme di biosicurezza a far ammalare i nostri volatili non regge, dunque. Ma è vero che lei e i vertici del suo istituto (lo Zooprofilattico sperimentale delle Venezie) avete stretto accordi illeciti con l’azienda che ha prodotto il vaccino per il virus italiano? «E’ nostro dovere fornire i ceppi alle aziende farmaceutiche che ce li richiedono attraverso i canali ufficiali. L’istituto riceve un rimborso di poche migliaia di euro»

Arriviamo così al 5 luglio del 2016, quando

Il 5 luglio la procura di Verona ha quindi deciso di prosciogliere la ricercatrice italiana da accuse pesantissime. La decennale inchiesta della magistratura romana sul “traffico di virus” che ha coinvolto, fra gli altri,  Ilaria Capua, ha finalmente concluso le udienze preliminari.

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Dall’inchiesta si legge anche che la virologa avrebbe costituito una società segreta – in codice “444” – nella quale metteva i proventi dei suoi traffici. Ma come ha chiarito Capua, il 444” è un centro di costo che afferisce al suo laboratorio presso l’Istituto zooprofilattico delle Venezie, dove i fondi introitati dal suo centro venivano utilizzati per pagare personale, reagenti e altri materiali. “Le conversazioni intercettate sul “444”, se interpretate con obiettività” commenta la scienziata “sono chiarissime in questo senso. E poi bastava chiedere il bilancio all’Istituto”. Le conseguenze di un’indagine e dei rumors della stampa possono essere molto pesanti per una persona. “Ho passato momenti molto bui sia nella mia sfera personale che in quella professionale” continua la virologa. Forse una delle conseguenze peggiori è quella di rendere poco credibile l’indagato e quindi di privarlo della possibilità di presentare le proprie opinioni senza essere attaccato e respinto in maniera strumentale. “Il fatto che si sia aspettato a far emergere le accuse quando ero  parlamentare mi ha peraltro impedito di esercitare la mia funzione politica”.

La ricercatrice ne sarebbe uscita definitivamente sfregiata se dall’estero non fossero arrivati, anche dopo le rivelazioni giornalistiche, attestati di stima. Nel 2014 le è stato assegnato l’Excellence Award dell’ESCMID; la massima autorità epidemiologica europea (ECDC) l’ha invitata a tenere due lectio magistralis a Stoccolma; l’ESPID (European Society for Pediatric Infectious Diseases) l’ha invitata a tenere la opening lecture del loro congresso annuale  a Lipsia nel 2015, e poi ancora l’European Public Health Association (EUPHA) l’ha chiamata a tenere lo speech più importante  all’ultimo  Convegno internazionale di Milano.Infine l’Università della Florida a Gainesville le ha offerto una full professorship  e  la direzione del centro di eccellenza  su “One Health”. Ilaria Capua nel frattempo  si è dimessa da parlamentare e ha lasciato l’Italia alla volta degli States, per iniziare una nuova carriera, una nuova vita. Un cervello in fuga da una brutta storia, che speriamo di non perdere definitivamente. E forse qualcuno, come sottolinea Paolo Mieli in un nuovo editoriale, dovrebbe pure chiedere scusa.

Il resto è storia per chi legge i giornali veri, o quantomeno Wikipedia:  prosciolta da ogni accusa, ma ormai disgustata dal clima di caccia alle streghe,  Ilaria Capua si unì all’esercito dei “cervelli in fuga”, allontanati dall’Italia, accettando una  nuova carriera negli USA.

E non solo non ha mai ricevuto le scuse richieste da menti illuminate come Paolo Mieli, ma come vedete qualcuno insiste anche nell’ignorare l’epilogo di una vicenda forse più cliccabile agli esordi.

 

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