Una ventina di migranti provenienti da Zambia, Mali e Senegal ha manifestato oggi davanti all’ufficio immigrazione della Questura di Firenze, improvvisando una protesta in strada e bloccando temporaneamente il traffico in via della Fortezza. Polizia in assetto antisommossa è stata schierata davanti all’ingresso dell’ufficio in via precauzionale.
Durante la protesta, terminata nel primo pomeriggio, si sono registrati disagi alla circolazione nella zona. Secondo quanto spiegato, alcuni dei profughi, inseriti nel programma di protezione umanitaria e trasferiti nei giorni scorsi da Firenze a Roma, sono tornati stamani nel capoluogo toscano e si sono presentati davanti all’ufficio immigrazione chiedendo di essere nuovamente assegnati a strutture fiorentine. A loro si sono uniti altri migranti, per i quali il trasferimento è previsto nei prossimi giorni. Poco prima di raggiungere la Questura il gruppo di migranti si era fermato di fronte a Palazzo Vecchio: ad incontrarli, per ascoltare le loro richieste, è scesa in cortile il vicesindaco Cristina Giachi. «Mi hanno esposto le loro ragioni ed io ho offerto loro un caffé, spiegando che essere inseriti nel programma di protezione umanitaria era un’opportunità, e non un problema» ha raccontato Giachi.
Vi preghiamo ora di riscontrare gli elementi evidenziati: l’intervento della forza pubblica era meramente precauzionale, in quanto nessun disordine, a parte un temporaneo blocco del traffico, è stato cagionato ai cittadini. Non ci sono dunque facinorosi, né sono stati riscontrati veri ed effettivi disordine tali da richiedere un intervento diretto di vigili e polizia. Cosa che avrebbe invece esacerbato inutilmente gli animi.
Ulteriore ed evidente prova della qualità pacifica della manifestazione è derivata dalle parole del vicesindaco Cristina Giachi: pensate forse che un vicesindaco, dinanzi ad un gruppo di individui facinorosi (e potenzialmente pericolosi) avrebbe offerto loro un caffè fornendo loro i chiarimenti del caso?
E pensate che dei “facinorosi” si sarebbero contentati di una spiegazione? Lo scrivente non ritiene: anche in questo caso, la protesta è riassumibile con una richiesta di chiarimenti, irrituale e confusa certo, ma del resto, sfido chiunque tra i presenti, esule ed in terra straniera, a saper individuare i canali ufficiali cui porre dubbi e domande su questioni importanti da cui dipende la propria stessa esistenza. Doverosa appare inoltre una digressione: nella catena di condivisioni compare la citata menzione secondo cui, essendo gli stati di provenienza non attinti da un conflitto riconosciuto, lo status di profugo ed il programma di protezione umanitaria non dovrebbero applicarsi. Ciò è una interpretazione imperfetta e pertanto inapplicabile al caso di specie della normativa richiamata. Volendo risparmiare ai lettori una secca lettura del testo normativo, ed al contempo volendo evitare di surrogarmi ad una Lectio Magistralis sul D.Lgs. n. 286/98, lo scrivente vi indicherà un perito commento da cui trarre indicazioni:
La protezione umanitaria é una forma di protezione (non internazionale) diversa rispetto allo status di rifugiato e allo status di protezione sussidiaria, e infatti è disciplinata dal Testo Unico sull’immigrazione e richiamata dal cosiddetto Decreto procedure ai fini della sua applicazione nell’ambito della procedura di asilo. Detta forma di protezione è riconosciuta al richiedente protezione internazionale quando la Commissione Territoriale, pur non accertando la sussistenza di esigenze di protezione internazionale, ritiene che esistano seri motivi di carattere umanitario che giustificano la permanenza del richiedente sul territorio nazionale: “Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione trasmette gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, c. 6, del D.Lgs. n. 286/98” (art. 32 D.Lgs. 25/08).
Il riconoscimento della protezione umanitaria comporta il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari da parte della Questura competente per territorio.L’art. 5, c. 6, del D.Lgs. n. 286/98, che appunto disciplina l’ipotesi della sussistenza di esigenze di protezione umanitaria, prevede che “Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (art. 5 comma 6 D.Lgs. 286/98).
La disposizione normativa non enuncia in via esemplificativa quali debbano essere considerati i seri motivi, pertanto, è suscettibile di ampia interpretazione, e possono esservi ricondotti i bisogni di protezione a causa di particolari condizioni di vulnerabilità dei soggetti, quali per esempio motivi di salute o di età, ma anche una grave instabilità politica del paese di origine, episodi di violenza o insufficiente rispetto dei diritti umani verificatesi nello stato di provenienza, carestie, disastri naturali o ambientali ecc., ecc.
Le disposizioni in materia di protezione umanitaria previste dall’ordinamento interno possono peraltro trovare applicazione anche laddove nei confronti della persona interessata sussista comunque un concreto pericolo di essere sottoposto a torture e/o a pene o trattamenti inumani e/o degradanti in caso di rientro nel Paese d’origine (art. 3 Convenzione europea dei diritti dell’uomo).
La normativa italiana non definisce in termini univoci quali siano le esigenze di protezione umanitaria di un individuo: l’art. 5, co. 6 del D.Lgs. n. 286/98 adotta una previsione di carattere generale che consente la tutela di una vasta categoria di fattispecie soggettive, non riconducibili alla protezione internazionale. Riferimenti normativi si rintracciano nella Direttiva. 2005/85/CE nel D.Lgs. 25/08 e nel D.Lgs. 286/98.
Possono richiedere asilo coloro che non possono o non vogliono tornare nel loro Paese perché temono persecuzioni. Per richiedere il riconoscimento dello “status di rifugiato” è necessario presentare una domanda motivata e, nei limiti del possibile documentata, con l’indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio Paese.
Il termine “persecuzione” non è definito nella convenzione di Ginevra. Il manuale dell’Unchr del 1992 chiarisce che “dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 si può dedurre che costituisce persecuzione ogni minaccia alla vita o alla libertà”.
ATTI DI PERSECUZIONE (AI SENSI DELL’ARTICOLO 1A DELLA CONVENZIONE DI GINEVRA RELATIVA ALLO STATUS DEI RIFUGIATI)
- atti sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
- quando la somma di diverse misure – tra cui violazioni dei diritti umani – ha un impatto sufficientemente grave sulla persona
ESEMPI DI COMPORTAMENTI PERSECUTORI
- atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale
- provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e\o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio
- azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie
- rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata e discriminatoria
- azioni giudiziarie o sanzioni penali come conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini o reati
- atti specificamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia
In ogni caso, ai migranti di Firenze risulta dalla stampa locale essere stato applicato l’istituto della Protezione Umanitaria, non già dello status di rifugiati, ed azzarda lo scrivente che, data la complessa materia giuridica del tema di indagine, l’Alta Corte di Facebook non sia foro competente a rendere parere motivato. Si dovrà ritenere ogni decisione dell’Autorità corretta.
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